L’intuizione di La Torre tra sfide globali e tentate delegittimazioni
Gli strumenti messi in piedi 42 anni fa da Pio La Torre per combattere la mafia sono ancora quelli più efficaci: riconoscerla come organizzazione criminale e colpire i patrimoni dei boss. Oggi siamo di fronte a una mafia che non spara quasi più, si respira ma non si vede, ma abbiamo il dovere di comprenderla per individuare nuovi strumenti - anche di tipo legislativo - per contrastarla efficacemente. Consapevoli, però, che contro il crimine globalizzato serve un contrasto globale.
Gli affari criminali delle mafie, oggi come ieri, si consolidano attraverso il controllo del mercato degli stupefacenti. Nuove droghe sintetiche dai costi sempre più bassi inondano le nostre città, incontrando una domanda sempre più diffusa, specie tra i giovani, determinando conseguenze a cascata più gravi da gestire a livello sociale. Occorre affinare le tecniche di individuazione dei flussi di denaro e trovare degli strumenti normativi comuni sia per i Paesi europei che per quelli del bacino euro-mediterraneo per intercettare l’obiettivo che Pio La Torre individuò come lo strumento principe del contrasto: colpire i patrimoni dei boss, ma soprattutto far sentire il tema della criminalità organizzata come un problema globale e non dei singoli Paesi.
Tuttavia, a 42 anni dalla legge Rognoni-La Torre, ci troviamo a un bivio, anche a causa degli effetti delegittimanti della vicenda Saguto. Il principio del doppio binario dell'azione penale e patrimoniale introdotto da tutta la giurisprudenza degli ultimi 40 anni è stato un incubo per le organizzazioni mafiose. C'è un tentativo di delegittimare e cancellare le misure patrimoniali, con un'erosione continua del sistema antimafia, che va nella direzione opposta rispetto alla visione di Pio La Torre: i colpi inferti in questi anni alle cosche dimostrano la validità di questi strumenti.
Oggi assistiamo a un processo di finanziarizzazione dei capitali illeciti criminali, stentiamo a comprendere e anticipare le nuove modalità di condizionamento mafioso. Molte delle misure patrimoniali, inoltre, risalgono agli anni '90. Siamo sicuri di non dover affinare, piuttosto, il contrasto in ambito internazionale? Che fine hanno fatto i capitali di Matteo Messina Denaro o Bernardo Provenzano? Se vogliamo onorare chi si è sacrificato, come Pio La Torre, dobbiamo affinare gli strumenti di contrasto, non solo per rispettare il senso di quella memoria, ma anche per adeguare la lotta ai tempi moderni e non sacrificare i risultati di quelle conquiste.
Bisogna, dunque, rivedere la legge 109 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati verificando i colli di bottiglia sull'assegnazione: 28 anni dopo c'è la necessità di fare una sorta di 'tagliando', partendo dal fatto che questa materia non può essere gestita come una pratica amministrativa o burocratica da parte dello Stato. Perché, ad esempio, non pensare a un'assegnazione temporanea per i beni confiscati in attesa di essere destinati? Mai come ora abbiamo necessità di una legge che parta dalla conoscenza dei problemi sul campo e che ci deve supportare nel dare soluzioni possibili a un contesto complicato, ma che va cambiato.
Se vogliamo dare valore all'intuizione di Pio La Torre, dobbiamo avere un'autorità politica che si assuma la responsabilità della gestione e questa non può essere l'agenzia nazionale dei beni confiscati. Occorre ammettere che l'Italia ha la più grande agenzia immobiliare, che è l'agenzia dei beni confiscati, che è però prigioniera del suo sistema burocratico. Dobbiamo rompere l'immobilismo che ha contraddistinto finora il sistema e creare maggiore pressione territoriale, attraverso dei comitati, provincia per provincia, che comprendano il terzo settore. Serve il coinvolgimento di Comuni e prefetture che conoscano i beni, altrimenti questi muoiono tra le carte burocratiche.
C'è il problema delle competenze nella gestione del bene, necessarie per ridare valore alla restituzione sociale, gestione che invece, il più delle volte, appare improvvisata.
Serve poi riformare i criteri di assegnazione attraverso un regolamento uniforme che superi la frammentazione dei regolamenti comunali esistenti.
Per dare un senso all'unicità del sacrificio di quanti, come Pio La Torre, hanno composto quel calendario laico che costella ogni giorno dell'anno con il nome di una vittima di mafia, serve però l'impegno corale di tutti, perché il consenso sociale e l'indifferenza di molti ha consentito alle mafie di guadagnare terreno, lasciando soli i siciliani che con coraggio l'hanno sfidata.
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