Non solo cerimonie, una rete per l'antimafia sociale
Come non condividere le preoccupazioni e le considerazioni che il presidente Emilio Miceli ha espresso in piena estate sul sito web del Centro Pio La Torre? Non è un caso che l’invito a questa riflessione collettiva parta da qui. In questi anni infatti il Centro Pio la Torre non è stato un muto testimone dell’antimafia celebrativa o parolaia, ma assieme a pochi altri è stato un attivo centro di impegno antimafia e di studi sul sistema mafioso e sulle sue evoluzioni sofisticate.
D’altronde, da tempo, come dice Gian Carlo Caselli, si è consolidato “il passaggio della mafia, dalla strada, alle stanze ovattate dei Consigli di amministrazione”. Per usare la sintesi dell’ultima relazione della Commissione regionale antimafia, quella del 2024, “una mafia capace di infiltrarsi sempre più nell’economia legale… complice un calo generale della tensione antimafia”. D’altronde basta leggere ogni giorno, tutti i giorni, la cronaca di indagini che mettono assieme interessi mafiosi, interessi economici e interessi politici.
La mafia era, e rimane, una organizzazione criminale che agisce all’interno di un sistema di rapporti con soggetti diversi, dagli strati popolari alle classi più alte. Il tema dunque non è cosa è o che cosa fa la mafia. Questo in qualche modo lo sappiamo, ci sono intere biblioteche piene di libri e poi ne abbiamo conoscenza ogni giorno sul territorio e tramite i resoconti delle indagini che continuano per fortuna, tutti i giorni. Indagini che tutti i giorni producono arresti e indagati.
Il tema per noi è cosa fa l’antimafia? Ovvero cosa fanno tutti quei soggetti, dalle istituzioni democratiche (Stato, Regione, Comuni, magistratura, corpi di polizia, eccetera) a quelli che una volta avremmo definito società civile (associazioni, partiti e movimenti politici, associazioni di impresa, sindacato, chiesa, eccetera), per contrastare la mafia e il suo sistema di potere politico? Cioè di quell’intreccio perverso di interessi che da sempre lega mafia, massoneria e malaffare.
Il mercato del consenso comprato
Esiste, e da tempo, un mercato del voto: soldi sporchi in cambio di voti sporchi, un traffico che mina l’esistenza stessa della nostra democrazia. In molte parti delle nostre città il voto non è libero, è sotto ricatto, è comprato e venduto. Questo malaffare si alimenta di prestanomi per finte aziende, per finte associazioni. Un sistema, quest’ultimo, però vero che lucra sui bisogni della gente, alimentando una economia illegale, e anche le fortune di alcuni politici, candidati e cacicchi, che andrebbe messo sotto i riflettori della magistratura.
La politica deve fare pulizia, deve guardarsi dentro e cominciare da sé stessa, ma questo vale anche per il resto della società civile, dalle associazioni di impresa alle stesse associazioni antimafia, al movimento sindacale.
La lotta alla mafia deve essere declinata nella lotta per i diritti, tutti i diritti: al lavoro, alla casa, all’ambiente, alla scuola, alla salute, ai diritti civili e di genere. Per questo a Palermo abbiamo dato vita, assieme a una rete di associazioni, al “Coordinamento per una antimafia sociale e intersezionale”. Ha ragione Umberto Santino quando dice che non è un problema di terminologia e che occorre ripensare il ruolo e i compiti dell’antimafia nel contesto attuale. Proprio perché l’attualità non è solo cronaca, ma è anche politica, lo scorso 23 maggio siamo scesi nuovamente in strada per una “Resistenza antimafia”. Chi ci vuole omologare nella celebrazione della lotta alla mafia che si esaurisce con la posa delle corone di fiori non ci interessa. Le corone di fiori dopo qualche giorno cominciano a puzzare e in Sicilia sono decenni che si depongono corone di fiori. Gli ultimi quarant’anni, dall’omicidio La Torre a Dalla Chiesa e poi ancora con quelli di Falcone e Borsellino, hanno certamente prodotto, nelle coscienze e nella azione, più di quanto sia stato prodotto nei cent’anni precedenti. Una intensa stagione, cioè, di partecipazione e di impegno collettivo a cui adesso va data allo stesso tempo regolarità e discontinuità, se pensiamo alle gravi vicende che hanno segnato la credibilità dell’antimafia istituzionale e sociale degli ultimi anni.
Nessuna rassegnazione ci è consentita, né nei confronti della politica della mafia, né nei confronti della mafia della cattiva politica, di quella che parla di Falcone e Borsellino e poi scende a compromessi a fa affari con la mafia. Noi non possiamo adesso tornare indietro e correre il rischio di vanificare anni di iniziative e di lotta che è stata, che è allo stesso modo, e allo stesso tempo, lotta per la libertà dalla mafia e lotta per la giustizia sociale.
Noi ne abbiamo abbastanza di parole retoriche, vogliamo fatti concreti.
Lo spartiacque tra prima e dopo
La lotta alla mafia non è una cerimonia. La lotta alla mafia è impegno quotidiano, disciplina e trasparenza dei comportamenti. La lunga stagione di lotta alla mafia affonda le radici nella prima forma di associazionismo antimafia (senza fondi e senza retorica), fatta da contadini e operai siciliani. Diciamolo, senza le ragioni e la passione di quel movimento e senza le intuizioni di Pio La Torre, non avremmo avuto questa legislazione antimafia, che segna uno spartiacque tra un prima e un dopo.
La legge sul sequestro, la confisca e il riuso sociale dei beni sottratti alla mafia sono un’idea di riappropriazione democratica delle cose, del territorio, insomma di ciò che la mafia ha tolto, accumulato, con la violenza, governando come uno Stato nello Stato. Da questo punto di vista il protocollo sottoscritto tra ministero della agricoltura, ministero dell’interno e Anbsc (Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati) rappresenta una involuzione che sostituisce l’idea stessa di antimafia sociale con una nuova di sostituzione sociale. L’iniziativa sociale e collettiva nella gestione e nel riuso dei beni sottratti alla mafia viene prima affiancata per poi essere sostituita dalla iniziativa privata e personale. Questo è lo stato delle cose.
C’è un’antimafia che è in astratto contro la mafia. Per noi la lotta alla mafia è il dovere di ciascuno, il dovere di tutti, cioè quello della “battaglia comune” come scrive il presidente del Centro Pio La Torre, Emilio Miceli, o della “responsabilità collettiva “, così come viene richiamata da Franco La Torre.
L’antimafia è patrimonio ideale e allo stesso tempo è debole e diviso. Vero! Per questo occorre, forte delle esperienze che ciascuno di noi ha maturato in questi anni, puntare a un “cammino comune” come hanno scritto don Cosimo Scordato e Francesco Romano lo scorso 15 maggio sulle pagine del Giornale di Sicilia.
Questo “cammino unitario, comune dell’antimafia”, questo fronte unico deve costruire una piattaforma comune e condivisa così come richiama Emilio Miceli, che contrasti innanzitutto lo “smantellamento legislativo”, l’attacco politico alla legislazione antimafia, ma che allo stesso tempo rielabori le buone pratiche di questi anni e le nuove strategie, in considerazione proprio della capacità di mutazione delle mafie e lo deve fare attraverso la costruzione di una “rete sociale antimafia”, che includa e non escluda le esperienze antimafia fin qui realizzatesi, e come si sa in una rete non esiste un centro, perché ogni nodo della rete è centrale allo stesso modo.
Ognuno, dunque deve esercitare il dovere della responsabilità alla unità del fronte antimafia, sapendo che gli interessi della mafia oggi si muovono in tanti settori e su tanti livelli. La spesa pubblica comunitaria, nazionale e locale, la sanità, gli appalti per ogni opera, le droghe, le criptovalute, ma anche i più classici interessi legati alla terra, all’acqua.
Un controllo sull'uso delle risorse
Noi d’altronde, ad esempio, proprio in riferimento al tema della spesa attorno alle ingenti risorse del Pnrr già all’indomani di una iniziativa pubblica, in una lettera alla Repubblica di Palermo del 21 marzo 2021, dicevamo inascoltati dalla politica che “… per questo serve oltre il recovery fund anche una recovery della legalità. È ancora vero, forse non è ancora tardi. Le risorse del recovery fund, proprio come la vaccinazione di massa, sono l’occasione forse irripetibile per uscire dalla crisi ormai strutturale del Sud Italia. Per questo però bisogna fare Rete, fare sistema, costruire cioè un controllo pubblico e un controllo sociale sull’uso delle risorse”.
Per questo, per la nostra volontà di “ non lasciar fare”, dopo tanto impegno e tante iniziative abbiamo sottoscritto col Comune di Palermo il protocollo d’intesa su appalti, forniture e servizi relativi al Pnrr (protocollo simile a quelli già sottoscritti anche in altre importanti città italiane come Bologna, Roma, Genova e Firenze). Certo, non basterà e a questo bisognerà accompagnare ogni iniziativa utile affinché questa volta la mafia e la cattiva politica non producano nuovi mostri.
Per questo, parafrasando il titolo di un film, l’antimafia non si ferma neanche d’estate, nemmeno in questa estate così torrida.
Ultimi articoli
- Ovazza, l'ingegnere ebreo comunista
padre della riforma agraria - Uno studio sui movimenti
studenteschi e le università - Le reti di Danilo Dolci
per la democrazia diretta - I molti punti oscuri
del consumo di droghe - La “vita online”
di tanti giovani
sedotti
dal mondo digitale - Non solo Cosa nostra,
ecco le mappe
della mafia in Sicilia - Don Ignazio Modica,
storia del prete
che sfidava la mafia - Il progetto educativo
indaga sulle droghe - In piazza la protesta contro
le manovre che pesano
sui lavoratori - Due anni fa l'addio
Il ricordo di Nino Mannino