Le tante "gocce di pace" che possono placare l'ansia della guerra

L'analisi | 3 maggio 2024
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Esistono decine di modi di declinare il pacifismo. Analizzeremo tre tipologie: “pacifismo fazioso”, “pacifismo senza aggettivi”, “gocce di pace”. In un mondo sempre più militarizzato nel quale governi, opinion makers e organi di stampa ci stanno imponendo un lavaggio del cervello a base di parole come “armi”, “soldati”, “guerra”, finalmente il pacifismo batte un colpo. Poco attivo e reattivo nel 2022 sul dossier Ucraina, appare invece più visibile, presente, impegnato a proposito di quanto succede nel Medio Oriente.
Per sua natura il pacifismo dovrebbe essere non violento. Tuttavia assistiamo anche a degenerazioni e scontri a base di scazzottate, di aggressioni, di prevaricazione. Come a Roma e ancor più a Milano il 25 aprile quando un gruppo di attivisti filopalestinesi – centri sociali, collettivi studenteschi, in particolare giovani immigrati originari di paesi musulmani – ha preso di mira nelle celebrazioni la Brigata Ebraica. Come se il genocidio nella Seconda Guerra Mondiale con la liquidazione di sei milioni di ebrei ad opera dei nazisti tedeschi, da noi assecondati dai fascisti, potesse ridursi a sbiaditi ricordi, ad acqua fresca. Attenzione a scrivere “genocidio” a Gaza quando coloro che additiamo come colpevoli di genocidio presentano credenziali storiche in fatto di sopraffazioni, espulsioni, genocidio che ben pochi altri popoli, forse nessuno, sono in grado di esibire.
L’istintiva ondata di condanna mista a rabbia nei confronti degli strateghi israeliani del massacro di oltre 34.000 palestinesi a Gaza è naturale. Di più: è un atto dovuto. Al contrario ci sarebbe da stupirsi se l’indifferenza dovesse coprire ciò che succede da sette mesi nel carnaio ormai raso al suolo che risponde al nome di Striscia di Gaza. Ed è normale che nelle università a protestare siano i giovani, come sempre succede in casi del genere. Quando eravamo giovani e universitari noi protestavamo. Non i padri e le madri di famiglia. Ma ciò debitamente premesso, attenzione alla marea montante di odio antiebraico. L’antisemitismo rialza prepotentemente la testa e mette sullo stesso piano le istituzioni, la classe dirigente, gli ultraortodossi, il cosiddetto “establishment”, come dicono quelli bravi, di Israele con lo studente e persino lo scolaro ebreo cittadino italiano o il commerciante di religione ebraica italiano da decine di generazioni, ben più di tanti che protestano e scazzottano o scazzotterebbero volentieri. Dovessero scapparci gesti violenti, attentati, sedi di culto e di lavoro incendiate torneremmo a tristissimi ricordi di terrorismo antiebraico che credevamo di avere definitivamente seppellito. 

“Finché c’è guerra c’è speranza” 

 Al signor Benjamin Netanyahu calza il titolo di un film diretto e interpretato da Alberto Sordi nel 1974 - che tutti abbiamo visto e faremmo bene a rivedere - sul tema del commercio delle armi: “Finché c’è guerra c’è speranza”. Finché impazza la guerra Netanyahu rimane in sella come primo ministro d’Israele. Poi, contestatissimo com’è dai suoi connazionali, farà il pensionato. Perciò ha tutto l’interesse a continuare la guerra. Il premier Netanyahu si porterà nella tomba con quello che ha ordinato di fare al suo esercito a Gaza non anni ma decenni o secoli di nuovo odio antiebraico nel mondo. Guardate i padri e le madri dei bambini uccisi a Gaza. Piangono sui loro martoriati cadaveri di piccoli innocenti. E giurano vendetta. Come faremmo noi al loro posto. Israele era riuscito lentamente nel corso degli ultimi anni a risalire la china dell’isolamento e dell’odio nel mondo nei confronti degli ebrei. Aveva anche tessuto nuovi importanti contatti diplomatici con alcuni paesi arabi, i cosiddetti “Accordi di Abramo”. Ora – meritatamente visti i crimini di cui si sta macchiando nella gara con Hamas a chi si supera in stragi ed eccidi – è di nuovo precipitato, e sempre più in fondo, in un abisso oscuro di perdizione e di cecità dei suoi governanti. Alla macelleria a domicilio di Hamas in terra di Israele del 7 ottobre 2023 si poteva rispondere con forme diverse di ritorsione, meno efferate, meno da bulldozer che tutto travolge e mette sotto i cingoli. Netanyahu e i suoi colleghi al governo e ai vertici di esercito e servizi segreti meritano solo di essere cacciati dai loro incarichi – speriamo che avvenga al più presto – e vanno condannati come criminali di guerra. 

Il “pacifismo fazioso” e manicheo 

Scrivevamo all’inizio che le declinazioni di pacifismo sono numerose. Ma alcune dovrebbero essere considerate “altro” o “border line” rispetto al pacifismo. È il caso del “pacifismo fazioso”. Su cui è opportuno spendere qualche riflessione. Così come merita una considerazione – che non può che essere positiva – il “pacifismo senza aggettivi”. O il pacifismo che ci piace definire (poi capiremo perché) “Gocce di pace” o “Gocce di pacifismo”. Cominciamo la nostra analisi da quello che non sappiamo classificare altrimenti se non “pacifismo fazioso”.
Il rischio che chi lo pratica diventi una specie di replicante del professore Alessandro Orsini aleggia nell’aria. Lo schema è sempre il solito, ormai collaudato, storico: si scrive pacifismo e si legge antiamericanismo, antioccidentalismo, anti europeismo, anti democrazie. I “cattivi” sono sempre i soliti cinque: Stati Uniti, Unione Europea, Nato, Paesi occidentali, Israele. Tutti gli altri sono i “buoni” appunto e solo perché li avversano. È “buono” Putin per le cui quasi ventennali dichiarate mire espansionistiche abbiamo comprensione visto che sono dettate dalla necessità che ha di “reagire all’espansionismo della Nato” (questa la giustificazione). Non diciamo una sola parola, anzi una sola virgola, sul fatto che fa uccidere i suoi avversari politici, gli oppositori, i giornalisti. Come facevano da noi i Signori al tempo del Rinascimento. Putin è di cinque secoli in ritardo sulla storia. Non diciamo una sola virgola sui massacri provocati dei raid russi – con missili di tutte le specie, con droni, con bombe a grappolo - che quotidianamente uccidono abitanti di città e villaggi in Ucraina. Dove i morti civili accertati da fonti indipendenti sono già oltre diecimila (altre fonti indipendenti sostengono molti di più). Di cui quasi seicento bambini.
Ma del resto che ce ne frega? Gli ucraini sono tutti nazisti, compresi scolari e lattanti. C’è posto persino per idee assurde e aberranti come queste. Non diciamo una virgola sulla sistematica distruzione in tutta l’Ucraina di scuole, ospedali, asili. Per chi ragiona secondo queste linee di pensiero gli ucraini hanno l’imperdonabile colpa – sobillati dal cattivo e guerrafondaio Occidente – di non essersi arresi ai russi, di non avere aperto le porte delle loro case all’esercito russo e alle milizie filorusse, di essersi ostinatamente fissati a combattere la loro resistenza contro l’aggressore russo. Colpa imperdonabile. Non c’è spazio in elucubrazioni del genere per una lapalissiana lettura storica: nessuno con i carri armati schierati ha costretto i paesi baltici – Lituania, Estonia, Lettonia – la Polonia, la Romania, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Bulgaria ad aderire alla Nato. Colpevole di “essersi allargata troppo a est”. Possono essere le scelte più discutibili di questo mondo ma sono state scelte democratiche e volute da quei popoli e da quei governi, memori dell’oppressione sovietica. A proposito: quanto era stata non imposta, democratica, voluta da quei popoli nell’era sovietica l’adesione al Patto di Varsavia di Polonia, Ungheria, Romania, Cecoslovacchia, Bulgaria, Germania Est? Attendesi risposta.
Allo stesso modo è evidente che ci siamo dimenticati o sottovalutiamo o non ce ne importa un granché di quanto successo in Israele il 7 ottobre 2023. È accertato che miliziani di Hamas in qualche caso hanno arrostito dentro il forno della cucina delle loro case neonati mentre violentavano le madri. È accertato che hanno stuprato donne a decine quel giorno e hanno continuato a farlo con le prese in ostaggio. Anche in questo caso un ragionamento analogo al precedente: gli ebrei sono gli occupanti delle terre che formano lo stato di Israele mentre quella fatta esplodere platealmente dai terroristi di Hamas è da considerare la ribellione, l’insofferenza, la resistenza dei palestinesi. A parte che gli ebrei vivono in quelle aree da cinquemila e passa anni e suona difficile considerali occupanti nel loro territorio, come si possono definire “resistenza” atti del genere? Per noi italiani la parola resistenza è troppo nobile per identificarla con massacri di una gravità pari solo a quella dei massacri di cui si erano macchiate le SS nel 1940-1945. Quelli compiuti da Hamas il 7 ottobre, dalle uccisioni di interi gruppi familiari al rapimento di neonati e vecchi ultraottantenni, sono niente altro che crimini di guerra. Volutamente efferati per obbligare Israele a reagire, a scoprirsi vulnerabile, a venire attratto nella trappola della vendetta. Ricacciando così indietro ogni spiraglio di normalizzazione non solo con i paesi arabi sottoscrittori degli “Accordi di Abramo” ma anche con altri paesi arabi sunniti, a cominciare dall’Arabia Saudita, in funzione antiraniana scita. Trappola nella quale Netanyahu si è cacciato lancia in resta. Una strategia perversa, luciferina, quella di Hamas nella quale non c’è posto per due cruciali domande: che ne sarà della popolazione di Gaza? Quali sofferenze dovrà affrontare quando scatterà la reazione israeliana? Dettagli che davvero non tolgono il sonno agli strateghi di Hamas e a chi li ispira e li arma. Episodio quanto mai indicativo: solo l’1 aprile 2024, dopo quasi sei mesi di raid israeliani e stragi di civili, Hamas si è sentita in dovere, con una striminzita dichiarazione sui social, di scusarsi per la prima volta con gli abitanti di Gaza per le sofferenze causate dal conflitto contro l’esercito israeliano. Ma ha ribadito la volontà di continuare la guerra per ottenere “vittoria e libertà” per i palestinesi. Un ringraziamento “al popolo” della Striscia di Gaza di cui riconosce “l’esaurimento”. (“Hamas si scusa con gli abitanti di Gaza, ma la guerra continua”, Agenzia Giornalistica Italia, 1 aprile 2024). Così come è crimine di guerra – ma questo in Occidente lo ammettiamo in tanti, senza giustificazione alcuna – la carneficina compiuta dall’esercito israeliano che ha “coventrizzato” la Striscia di Gaza. Così come non ha nessuna giustificazione affamare gli abitanti di Gaza. Ci chiediamo: la ferocia, la negazione dell’umanità, l’inferno di Gaza, tutto quello che sta succedendo in quel fazzoletto di terra sarebbe successo se non ci fosse stato alla guida di Israele un governo di ultradestra come l’attuale di Netanyahu, Ben-Gvir, Smotrich, Galant?
Di questa narrazione a senso unico fa parte anche la “comprensione” che in tanti ambienti si ha per l’Iran. Per la sola ragione che combattono i “cattivi” di Israele e Usa, gli ayatollah sono “buoni” e ci dimentichiamo che quel regime uccide le ragazze che non si coprono la testa con il velo, imprigiona i giovani, non lascerà nulla di intentato pur di dotarsi di armi nucleari, produce ed esporta droni e missili a migliaia, usa strumentalmente la causa palestinese (di cui non gliene frega niente) solo per realizzare l’aspirazione che da 2.500 anni hanno i Persiani: dominare l’intero Medio Oriente e occupare stabilmente l’intera area del Mediterraneo orientale. Apriamo gli occhi, questo è il regime teocratico, fanatico, espansionista di Teheran.
Rispetto a simpatie estremistiche del genere non ci rimane che ribadire l’attaccamento alla democrazia, alla partecipazione, alla libertà. Saremo fuori moda in questo nostro tempo e in questo mondo così affascinato dagli autocrati ma continuiamo più che mai a credere al primato della democrazia sulle autocrazie, sui regimi, sui sovranisti, sugli estremismi, sui fanatismi religiosi, sulle dittature, sulle capocrazie, sui golpisti, sulle democrature. Con questa ultima definizione si intendono gli stati nei quali i futuri tiranni sono eletti democraticamente ma poi – sovvertendo a loro uso e consumo sia la costituzione che le regole giuridico-elettorali – diventano capi a vita.
Inoltrandosi su questa strada, andando avanti con scelte preconfezionate di “buoni” e “cattivi”, il pacifismo diventa altro rispetto a quello che deve essere. Inaccettabile che un pugno di facinorosi che magari saranno iscritti da anni all’Università ma neppure le frequentano debba imporre a Rettore e Senato accademico se intrattenere o meno rapporti di collaborazione scientifica con le università israeliane. Chi sono queste minoranze per imporre diktat del genere? È soprattutto in tempo di guerra che due canali – cultura e sport – devono restare più che mai aperti. Bisogna essere contrari a queste imposizioni così come bisognava essere contrari all’estromissione di squadre e atleti russi e bielorussi dai tornei sportivi e dalle competizioni internazionali. O addirittura – ricordate quelle scempiaggini? – c’era chi propugnava di interdire nei teatri e nei centri culturali la rappresentazione di classici della letteratura e della composizione musicale russa. 

Un pacifismo partecipato e propositivo 

Se dunque il pacifismo o non è ideologico e preconfezionato su catene di montaggio ideologiche o non può neppure definirsi pacifismo (sarà attivismo, sarà solidarismo ma non è pacifismo o non va oltre un pacifismo a senso unico) la domanda che ci si deve porre adesso è la seguente: a quale forma di pacifismo dare contenuti, sostanza, proposte? Per esemplificare: in Italia io cittadino, una classe scolastica, un comitato locale per la pace in una città o in un paese, un circolo di lettura, una associazione culturale o assistenziale, un movimento religioso, una compagnia teatrale, un gruppo di scout dell’Agesci, una sezione di partito, può fare qualcosa per la pace in questi mesi in cui tutto sembra precipitarci verso i massacri del conflitto, l’abisso della distruzione, la stupidità senza limiti della guerra? Di quali proposte concrete nel nostro piccolo e nel quotidiano potremmo farci portatori? Insomma, noi che non siamo decisori, noi che non contiamo niente, cosa potremmo fare? “Che fare?”
Accanto alle pur indispensabili sfilate, fiaccolate, manifestazioni, accanto al coinvolgimento delle scuole, dalle elementari alle università, riteniamo sia necessario costruire una serie di iniziative che facciano da stimolo e da pungolo per i cosiddetti “potenti” e per coloro che sono definiti decision makers ossia i decisori. Si tratta di iniziative che vanno dalla più smisurata utopia alla più realistica concretezza. Dobbiamo essere consapevoli di dover introdurre qualche precondizione: bisogna spogliare il nostro modo di operare da ogni retaggio ideologico così come da ogni incrostazione ideologica. La pace non ha aggettivi e non ha colore. Altrimenti è altro. Ognuno di noi ha nella sua mente, depositati da decenni, i suoi “buoni” e i suoi “cattivi”, i suoi “aggressori” e i suoi “aggrediti”. Non facciamone una bandiera che poi diventa una gabbia ideologica inevitabilmente nociva per il concetto stesso di pacifismo.
Al contempo dobbiamo essere consapevoli della nostra irrilevanza come soggetto propositivo. Ma non tenere affatto conto di questo limite. Santa Caterina da Siena era solo una giovane suora, peraltro praticamente analfabeta, eppure scriveva a papi e re e le sue lettere hanno avuto peso nella storia del Medioevo e del Papato. Vero è che era una mistica, animata da una fede incrollabile. Noi siamo laici ma dobbiamo avere la stessa ostinazione e la stessa convinzione di potere scrivere, e proporre, a chiunque e dovunque. La stessa convinzione di potere raggiungere chiunque. Anche e soprattutto ai più alti livelli. 

“Gocce di pace” 

Perché intitolare questo approccio “Gocce di Pace”? È evidente. La situazione è talmente deteriorata, nelle Cancellerie – in particolare del continente europeo dal Portogallo agli Urali, del Medio Oriente, dell’Indo-Pacifico, dell’Africa – c’è una tale sete di guerra, una tale accelerazione delle spese in armamenti, un tale lavaggio del cervello a “prepararsi alla guerra” che le proposte che definiamo “Gocce di Pace” rappresentano solo una goccia in un oceano di acque sempre più torbide. Vanno controcorrente, con l’ostinato obiettivo di cercare spiragli di pace o frammenti di pace ma in un mondo ogni giorno più preso, convinto, rassegnato a “fare la guerra”. Questa angosciante realtà non deve fermarci. Dobbiamo essere contemporaneamente ingenui e determinati. Consapevoli della nostra pochezza e presuntuosi. Non sta scritto da nessuna parte che siamo condannati all’Apocalisse. L’Apocalisse la architettano e la concretizzano gli uomini.
Lavoriamo alla realizzazione di proposte che debbono partire nel nostro caso in Italia da noi singoli cittadini, dalle associazioni, dagli insegnanti, dalle loro classi. Alcune sono utopistiche ma guai a non credere alla forza delle idee e delle utopie. Altre sono caratterizzate da una buona prospettiva e da una precisa logica attuativa. Tutte le iniziative risponderanno all’idea che ci accomuna: non dobbiamo essere soggetto inattivo, passivo, inerme in attesa che la valanga ci seppellisca. Al contrario – pur nel nostro piccolo – dobbiamo diventare soggetto di proposta. Ovvero, come scrivevamo all’inizio, “dobbiamo fare qualcosa”. 

Esempi di “Gocce di pace” 

Non è un decalogo. Semmai si tratta di un esercizio, di esempi. Ecco di seguito quattordici mirate iniziative di “Gocce di Pace”. Naturalmente non una ma decine di altre iniziative come queste e accanto a queste possono essere ideate e messe in opera. Con gli stessi percorsi e le stesse finalità.
1. Iniziativa “Tregua olimpica”. Gli antichi Greci si scannavano nelle tante guerre intestine fra le città-stato elleniche. Ma ogni quattro anni durante le Olimpiadi i combattimenti dei conflitti in corso si fermavano. Dobbiamo scrivere al Coni e al ministro dello Sport perché inoltrino la richiesta al Cio. Deve fare il possibile e l’impossibile per esigere da tutti gli stati in guerra e in particolare da Mosca, Kiev, Tel Aviv, Teheran una tregua olimpica. Anche non dell’intera durata delle imminenti Olimpiadi di Parigi ma limitata, di pochi giorni. Sarebbe comunque un segnale di pace e una potente manifestazione della voglia di pace che hanno i popoli (e purtroppo non i loro leader politici).
2. Iniziativa “Ripresa della mediazione del Cardinale Zuppi”. La precedente tornata non ha dato i risultati sperati e tuttavia ci è apparso uno dei pochi tentativi di mettere in collegamento Mosca e Kiev, refrattarie a contatti anche per interposta persona. Dobbiamo scrivere alla Segreteria di Stato vaticana e al cardinale Zuppi perché rimettano in moto la mediazione. Si punti intanto a risultati anche marginali, secondari, ma si tenga sempre aperto questo canale di mediazione e dialogo.
3. Iniziativa “Mediazione della Cina”. Tutti sappiamo che la Cina è schierata apertamente con Putin nel conflitto seguito all’aggressione all’Ucraina da parte della Russia. Sostiene e aiuta il Cremlino sul piano finanzio, politico, economico. E tuttavia dobbiamo anche essere consapevoli di come l’unico interlocutore che potrebbe indurre a più miti consigli e avere un peso sulle decisioni di Putin, in virtù dello stretto legame tra Pechino e Mosca, è il suo collega cinese Xi Jinping. Scriviamo all’ambasciata cinese a Roma per chiedere che Pechino si appropri finalmente e concretamente – come richiesto da tanti nel mondo – di questa compito di mediazione per mettere fine al conflitto in Ucraina.
4. Iniziativa “Ricoverare 10.000 feriti e malati palestinesi di Gaza (bambini in particolare) negli ospedali italiani”. Sarebbe un gesto di impatto umanitario di portata storica in una epoca che ha smarrito il significato stesso di umanità. Si tratta di un’operazione costosa ed impegnativa sul piano organizzativo. Ma pensate quanto controcorrente andrebbe un massiccio impegno militare della nostra Marina, della nostra Aeronautica per una operazione su vasta scala del genere mentre navi ed aerei militari di altri paesi servono solo per sparare ed uccidere. Bisogna scrivere ai ministri della Difesa e della Salute per proporre di pianificare urgentemente una operazione del genere. Per i costi da sostenere non ci crollerebbe il mondo addosso se, in mancanza di risorse finanziarie disponibili, si dovesse introdurre una nuova piccola imposta a carico per esempio dei redditi superiori a 30-40mila euro l’anno.
5. Iniziativa “Liberazione spontanea e senza condizioni da parte di Hamas di un gruppo di ostaggi israeliani del 7 ottobre”. Avrebbe un rilevantissimo significato come gesto umanitario. Senza chiedere nulla in contropartita Hamas liberi gli ostaggi israeliani superstiti del loro raid nei villaggi israeliani. O quanto meno il gruppo dei più malmessi per condizioni di salute ed età. Dobbiamo scrivere alle ambasciate a Roma di Iran, Qatar, Egitto, Turchia – stati che intrattengono rapporti con Hamas – perché esercitino tutte le pressioni possibili per costringere i miliziani a rendere concreto questo gesto come importante segnale di buona volontà negoziale. Comprensibile che ci sia qualche remora ad indirizzarsi all’Iran (la “Testa del serpente” in Medio Oriente, a nostro modesto avviso) e all’Egitto di Al Sisi dei casi Regeni e Zaki. Ma in nome della pace e dei gesti di pace, come abbiamo scritto, dobbiamo mettere da parte per un bene superiore e per un fine superiore le nostre convinzioni e le nostre idee/ideologie.
6. Iniziativa “Paesi neutrali per la pace in Ucraina”. Accanto alla mediazione della Santa Sede e della Cina di un terzo tentativo di mediazione si potrebbero intestare i cosiddetti “Paesi neutrali”. Ovvero stati che già nelle loro Carte costituzionali hanno messo nero su bianco lo status di paesi neutrali: Svizzera, Irlanda, Malta, Moldavia, Messico, Costarica, Panama, Singapore, Turkmenistan, Uzbekistan, Ruanda e i “piccoli” Liechtenstein, Monaco, San Marino. Potrebbero dare vita a un gruppo di lavoro che apra o tenti di aprire, rendendolo sempre aperto, un ulteriore canale negoziale. In concreto si tratterebbe di proporre allo loro ambasciate a Roma di inoltrare ai rispettivi governi e ministeri degli Esteri questa proposta che chiede loro, in virtù del peculiare status giuridico internazionale, di intraprendere un ruolo attivo e non a tempo di mediazione tra Mosca e Kiev.
7. Iniziativa “Lo sport resti veicolo di pace”. In tema di gesti di pace dobbiamo fare capire al CONI e alle singole federazioni sportive – a cominciare dalla Figc – che è importante convincere il CIO, così come la FIFA e l’UEFA, della opportunità di riammettere squadre e atleti russi e bielorussi con la loro bandiera alle manifestazioni sportive in Europa e nel mondo. Sport e contatti scientifici tra le università devono rimanere aperti sempre. Anche nel pieno infuriare dei conflitti. Naturalmente si prenderanno le precauzioni del caso evitando che nei sorteggi possano scontrarsi – eventuali finali a parte – formazioni russe e bielorusse con quelle ucraine. Ma per il resto chiudersi e ostracizzare non fa che peggiorare il clima e i rapporti tra i paesi. 

“Dividendo della Pace”: rilanciare la proposta dei cinquanta Premi Nobel 

8. Il 13 dicembre 2021 cinquantatré Nobel e otto accademici, studiosi e scienziati – il top dell’intelligenza mondiale – firmavano il seguente appello per ridurre le spese militari:
“La spesa militare, a livello globale, è raddoppiata dal 2000 ad oggi, arrivando a sfiorare i duemila miliardi di dollari statunitensi all’anno. Inoltre, è in aumento in tutte le aree del mondo. I singoli governi sono sotto pressione e incrementano la spesa militare per stare al passo con gli altri Paesi. Il meccanismo della controreazione alimenta una corsa agli armamenti in crescita esponenziale, il che equivale a un colossale dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate a scopi migliori.
In passato, la corsa agli armamenti ha spesso condotto a un’unica conseguenza: lo scoppio di guerre sanguinose e devastanti. Noi vogliamo presentare una semplice proposta per l’umanità: che i governi di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite si impegnino ad avviare trattative per una riduzione concordata della spesa militare del 2 per cento ogni anno, per cinque anni.
La nostra proposta si basa su una logica elementare:
• Le nazioni nemiche ridurranno la spesa militare, e così facendo rafforzeranno la sicurezza dei rispettivi Paesi, pur conservando l’equilibrio delle forze e dei deterrenti.
• L’accordo siglato servirà a contenere le ostilità, riducendo il rischio di futuri conflitti.
• Enormi risorse verranno liberate e rese disponibili, il cosiddetto «dividendo della pace», pari a mille miliardi di dollari statunitensi entro il 2030.
La metà delle risorse sbloccate da questo accordo verrà convogliata in un fondo globale, sotto la vigilanza delle Nazioni Unite, per far fronte alle istanze più pressanti dell’umanità: pandemie, cambiamenti climatici e povertà estrema. L’altra metà resterà a disposizione dei singoli governi. Così facendo, tutti i Paesi potranno attingere a nuove e ingenti risorse, che in parte si potranno utilizzare per reindirizzare le notevoli capacità di ricerca dell’industria militare verso scopi pacifici nei settori di massima urgenza.
La storia dimostra che è possibile siglare accordi per limitare la proliferazione degli armamenti: grazie ai trattati Salt e Start, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno ridotto i loro arsenali nucleari del 90 per cento dagli anni Ottanta a oggi. I negoziati da noi proposti avranno una buona possibilità di successo, perché fondati su un ragionamento logico: ciascun attore sarà in grado di beneficiare dalla riduzione degli arsenali del nemico, e così pure l’intera umanità. In questo momento, il genere umano si ritrova ad affrontare pericoli e minacce che sarà possibile scongiurare solo tramite la collaborazione. Cerchiamo di collaborare tutti insieme, anziché combatterci”.
Si tratta di un piano interessantissimo – realistico, razionale, motivato – che non ha avuto seguito. In un mondo in cui si spendono per le armi 2.400 miliardi di dollari l’anno (dato più recente riferito al 2023) con un aumento del 3,5 per cento rispetto all’anno precedente e in cui sono già tanti i paesi che hanno superato la destinazione del 2 per cento del loro Pil alle spese in armamenti, occorre perorare una iniziativa che definiamo “Rilanciare la proposta dei 50 Premi Nobel ‘Dividendo della Pace’ “. Rimasta inascoltata e troppo presto messa da parte. La proposta della riduzione bilanciata delle spese per armamenti avrebbe un netto e provocatorio significato controcorrente in questo nostro tempo. Bisogna recuperare e rilanciare il progetto dei 50 Premi Nobel. Potremmo scrivere ai firmatari italiani – i Nobel Giorgio Parisi e Carlo Rubbia e poi gli Accademici dei Lincei Roberto Antonelli, Annibale Mottana e gli organizzatori Carlo Rovelli e Matteo Smerlak – chiedendo loro di farsi parte attiva con i colleghi Nobel degli altri paesi firmatari per riprenderlo, tornare a tessere la tela e lavorare attivamente alla sua attuazione.
9.Veniamo adesso a due iniziative che riguardano nello specifico Israele. La prima si intitola “Scioglimento della Brigata Netzah Yehuda dell’Esercito israeliano”. Si tratta di una Brigata dell’Esercito israeliano (IdF) costituita alla fine degli anni ’90. Formata da giovani militari ebrei ultraortodossi e da militari provenienti dagli insediamenti abitativi abusivi costruiti da Israele in Cisgiordania, si è distinta per brutalità, metodi troppo spicci e sbrigativi e tante uccisioni sulla coscienza nei confronti dei palestinesi della Cisgiordania già da alcuni anni. Al punto che persino gli Stati Uniti vorrebbero adottare sanzioni nei confronti di questo reparto. Dobbiamo scrivere all’ambasciata israeliana a Roma mettendo su carta la nostra richiesta di sciogliere questa Brigata come segnale distensivo in generale di pace e nello specifico nei confronti dei palestinesi della Cisgiordania.
10. Iniziativa “Scuola per la Pace”. In Israele a Neve Shalom Wahat al Salam, un villaggio di 300 abitanti a metà strada tra Tel Aviv e Gerusalemme, arabi palestinesi ed ebrei israeliani vivono assieme. Nella scuola elementare locale non solo non c’è indottrinamento all’odio sin dalla più tenera età – prassi spesso diffusa in Medio Oriente – ma gli alunni frequentano nella stessa classe, siedono l’uno accanto all’altro, hanno due insegnanti, uno arabo e l’altro ebreo, imparano contemporaneamente lingua araba e lingua ebraica, studiano e familiarizzano con gli usi e costumi gli uni degli altri. Dovremmo adottare e sostenere questa scuola e questo modello, una delle poche strada percorribili per evitare che l’odio reciproco tra i due popoli li consumi entrambi. Andrebbe quindi contattata ed aiutata l’Associazione italiana Amici di Neve Shalom Wahat al Salam (www.oasidipace.org) che appoggia la diffusione di questo modello di convivenza e scolarizzazione.
11. Iniziativa “Assisi per la pace”. Dal Medioevo, dopo San Francesco, Assisi è uno dei luoghi per la pace più riconosciuti al mondo. Occorre ora rilanciare questa funzione perché la situazione si deteriora irreparabilmente ogni giorno di più. Assisi diventi essa stessa un tavolo sempre aperto di pace e negoziato. Chiediamolo ai suoi amministratori comunali e chiediamolo contemporaneamente ai francescani della Basilica di Assisi. Ricordo a questo proposito che i Francescani storicamente hanno un peso e una funzione a Gerusalemme e in Palestina e che l’attuale Patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, è un francescano.
12. Iniziativa “Ricostruiamo il Diritto Internazionale Umanitario”. L’intera costruzione del Diritto internazionale sta franando giorno dopo giorno sotto i colpi di eccidi e stragi senza limiti. In particolare quel suo segmento che ha a che fare con le regole umanitarie. Occorre invertire la tendenza e ridare corpo a regole nuove, resistenti, cogenti. Senza regole non si va da nessuna parte e persino un elementare trasporto di un ferito su una ambulanza diventa impossibile. Se è criminale quello che ha fatto a Gaza l'esercito israeliano radendo al suolo interi ospedali, non meno criminale è stata la precedente diabolica concentrazione architettata da Hamas proprio nei fabbricati degli ospedali e nei sotterranei e tunnel sottostanti (parte della cosiddetta “Metropolitana di Gaza”) di centri di comando e postazioni di lancio di razzi verso Israele. Il risultato di queste immorali violazioni di regole che costituiscono l’abc del Diritto internazionale umanitario si è tradotto inevitabilmente in inenarrabili sofferenze e morti a migliaia e migliaia per la popolazione di Gaza. In particolare per le fasce più deboli: anziani, donne, bambini. Contattiamo la Sidi, Associazione Italiana di Diritto Internazionale e Diritto dell’Unione Europea. Esterniamo questa esigenza di rilancio e di ripristino di un nuovo quadro etico del Diritto Internazionale Umanitario perché se ne faccia interprete con i colleghi studiosi di tutto il mondo e, non meno, con gli ambienti diplomatici e le Ong impegnate sui tanti teatri di guerra. Ha scritto Stefano Di Carlo, direttore generale di Medici Senza Frontiere Italia: “ ‘A volte mangiamo mangime per uccelli e asini. A volte l’erba che raccogliamo agli angoli delle strade’. Questo è il racconto dello scorso marzo di Suhail Habib, uno dei nostri colleghi bloccati al nord della Striscia di Gaza. Una testimonianza che ci spiega la quotidianità in una crisi umanitaria, senza aiuti umanitari, senza umanità. La morte dei civili palestinesi e israeliani, i rapimenti, gli sfollamenti e le evacuazioni forzate. L’attacco agli ospedali e ai convogli umanitari. Il sovraffollamento, la polvere, gli spari contro chi cerca cibo. Msf è a Gaza ma oggi non esiste azione umanitaria efficace in quel luogo e questo è il risultato di scelte politiche e militari molto precise. Scelte sostenute da gran parte dei governi mondiali. Dopo il bombardamento del nostro ospedale di Kanduz, in Afghanistan, l’allora presidente internazionale Joanne Liu disse: “Anche la guerra ha le sue regole”. Si riferiva al diritto internazionale umanitario che dovrebbe, tra le tante cose, assicurare che i civili possano avere accesso ad aiuti umanitari. Ma il diritto internazionale umanitario è utile solo se applicato e solo se i governi riconoscono che il valore etico e pratico di queste regole prevale su calcoli politici o militari. E per Gaza la risposta è purtroppo chiara”. (Stefano Di Carlo. “Editoriale” “MSF News”, N.1/24, marzo 2024). E nello stesso numero il medico Msf Rony Brauman (“Principi umanitari: esistono ancora?”) annota: “Con il moltiplicarsi delle crisi a livello globale, assistiamo a una costante erosione del diritto internazionale umanitario nel suo fondamentale ruolo di protezione dei civili e delle vittime dei conflitti, assieme a una volontaria disumanizzazione della popolazione civile. Inoltre, il ruolo e l’azione delle organizzazioni non governative sono stati spesso messi in discussione, diventando in molte occasioni terreno di propaganda e strumentalizzazioni”.
Come non essere d’accordo con queste parole?
13. Iniziativa “Disarmo nucleare”. Anche le guerre più cruente del passato hanno consentito – seppure a volte dopo decenni – la ripresa del cammino della civiltà. Le bombe termonucleari – del cui impiego si parla ormai con la stessa disinvoltura con cui si parlerebbe dei fuochi d’artificio nelle feste religiose paesane – segnerebbero la fine delle civiltà e il ritorno all’età della pietra. In un pianeta peraltro devastato anche nel clima e nell’ambiente. Non esistono armi meno buone o più cattive ma è innegabile che le armi atomiche sono per loro natura più apocalittiche delle convenzionali. Questo ragionamento lapalissiano postula un passo irrinunciabile: aderire al “Comitato Senzatomica” (www.info.senzatomica.it) o ad associazioni similari.
14. Iniziativa “No al nucleare per usi pacifici e come risorsa energetica”. Allo stesso modo dobbiamo esternare e concretizzare il nostro rifiuto non solo del nucleare bellico ma anche dell’atomo di pace ossia del nucleare per l’energia. Si parla tanto di “nucleare sicuro di nuova generazione”, di rimettere in discussione i risultati del referendum del 1987 che di fatto ha chiuso in Italia l’epoca della realizzazione di centrali nucleari. Le vicende della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhja a far data dall’aggressione russa del 24 febbraio 2022 dimostrano, casomai ce ne fosse bisogno, quanto siano illusorie queste presunte sicurezze. Una centrale atomica si può sempre minare (come pare abbiano fatto i militari russi a Zaporizhzhja). E si può sempre colpire con missili e droni da migliaia di chilometri di distanza provocando deliberatamente il fall-out ossia la ricaduta radioattiva di una esplosione nucleare e, in sostanza, una, dieci, cento nuove Chernobyl e Fukushima. Anche questa posizione intransigentemente ostile all’energia nucleare deve essere da noi assunta. Senza tentennamenti, difesa e perorata in tutte le sedi. Perché rinunciare alle centrali nucleari per produrre energia va considerato già di suo un percorso di pacifismo e di difesa della pace dagli intenti più mostruosi che il cervello umano può sempre partorire e mettere in atto pur di non rassegnarsi alla sconfitta e pur di non rinunciare al potere, al totalitarismo, all’imperialismo.
“Le centrali nucleari vanno smantellate al pari delle ogive e dei missili nucleari. O l’atomica e l’atomo o l’essere umano. O l’atomica e l’atomo o la vita sul pianeta”. Lo abbiamo scritto e continuiamo ad esserne più che mai arciconvinti. Su questa scelta – smantellare innanzitutto il nucleare di guerra e anche quello di pace – il genere umano gioca il suo futuro. Da questa scelta dipende se centinaia di milioni, forse miliardi, di individui possono continuare a vivere. O morire tra inimmaginabili sofferenze.

 di Pino Scorciapino

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