La crisi dei comuni siciliani

6 settembre 2014
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 Molti comuni siciliani oggi vivono una profonda crisi. Pur avendo visto crescere in questi ultimi anni i propri poteri non solo funzionali ma anche organizzativi sono sempre meno presenti nella vita delle varie comunità e non riescono spesso ad assolvere bene i loro compiti istituzionali. Soprattutto appaiono condizionati sul piano finanziario anche per le difficoltà di mantenere una struttura, quella personale, divenuta oggi pesante per la crescente riduzione dei “trasferimenti” da parte dello Stato e della Regione e per l’incidenza dei vincoli derivanti dal patto di stabilità 
La situazione è particolarmente grave nelle grandi città per l’influenza negativa delle perdite delle società municipalizzate sui bilanci degli enti locali territoriali ma è rilevante anche nei piccoli comuni dove spesso gli organi preposti hanno difficoltà ad assicurare il regolare pagamento degli stipendi. Certo la situazione sommariamente descritta è esasperata dalla crisi economica che specialmente nella nostra regione riduce le entrate pubbliche e spesso ne rende difficile la riscossione . E’ indubbio però che, anche considerando il peso di tali fattori, i nostri comuni dopo la riforma del 2001 che ha attribuito loro maggiori poteri non hanno saputo affrontare il processo di aziendalizzazione da essa sottintesa, non si sono saputi riorganizzare “con controlli tendenti ad accertare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa” per ottenere, come dice la legge predetta , una “gestione ottimale”. Le difficoltà maggiori si sono incontrate nel passaggio dalla cosiddetta finanza derivata, per la quale lo Stato e/o la Regione pagavano le spese dell’ente locale per cosi dire a piè di lista attraverso i menzionati “trasferimenti”, alla cosiddetta finanza decentrata o autonoma, che ipotizza il loro pagamento attraverso le risorse raccolte dall’ente .
 I sindaci , gli assessori, gli alti burocrati abituati da anni ad una sommaria valutazione della spesa perché pagava lo Stato o la Regione hanno trovato ( trovano) difficoltà a subordinare quest’ultima alle scarse risorse attuali dei comuni anche perchè stanno vivendo sulla loro pelle gli effetti delle alterne vicende dell’Imu oltre le dette difficoltà generali di riscossione delle tasse comunali . Problemi sono sorti, come si è fatto intendere, anche per la persistente difficoltà da parte dei vertici comunali e degli organi burocratici di dare il giusto significato ai termini usati dal legislatore per qualificare la gestione “ottimale”, termini derivanti dall’economia aziendale e che devono essere interpretati secondo il lessico di questa disciplina.. Abituati com’erano a vedere nei provvedimenti più le esigenze formali che quelle sostanziali, più l’aspetto della convenienza politica (elettorale) che quello della convenienza economica, molti amministratori e molti burocrati hanno trovato e trovano ancora difficoltà a tradurre in pratica le caratteristiche della gestione “ottimale” prescritta dal legislatore, ossia l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa , nonché a realizzare il necessario presupposto di esse ossia l’organizzazione ed il controllo. E’ loro spesso sfuggito che l’efficienza riguarda i servizi forniti dal comune, che devono essere in grado di soddisfare le esigenze degli utenti, che l’efficacia riguarda i provvedimenti assunti, che devono essere in grado di centrare l’obiettivo per il quale sono adottati, che l’economicità riguarda l’amministrazione in genere, che deve costare il meno possibile nei limiti consentiti dalle esigenze di efficienza.
 Non hanno saputo interpretare il messaggio del legislatore che in sostanza ha detto : vi do nuovi poteri, compreso quello di scegliervi direttamente il sindaco , organizzatevi come volete, ma dovete realizzare un gestione ottimale, assicurare l’efficienza nei servizi, l’ efficacia nell’azione amministrativa e scelte conformi al principio del minimo mezzo e/o del massimo risultato Non hanno saputo cogliere lo spirito della nuova disciplina il cui scopo non è certo, come spesso è avvenuto, quello di fare nomine senza riferimento alla competenza ma quello di avvicinare i criteri della gestione pubblica a quelli delle gestioni private notoriamente più efficienti e più economiche. Si dirà che non è il caso di drammatizzare l’attuale situazione dei comuni perché da sempre le gestioni pubbliche sono state poco efficienti e poco economiche , che anche in passato i criteri di gestione dei comuni ed in genere degli enti locali sono state assai discutibili, ma ciò che sfugge in questo discorso è che prima la finanza statale e quella regionale offrivano ancora dei margini d’intervento mentre ora si lotta per sopravvivere quasi alla giornata come sa chi segue quotidianamente le vicende politiche regionali e nazionali. Cosi stando le cose, se si vuole eliminare o almeno ridurre lo stato di disagio dei nostri comuni, se si vuole evitare il loro default che è previsto dalla legislazione vigente, bisogna cambiare partendo da ciò che è mancato. Bisogna riorganizzarli, renderli meno costosi e nello stesso tempo più efficienti utilizzando tutti i poteri concessi dalla legge compreso quello di associarsi per ridurre le spese. A questo fine non bisogna sottovalutare il peso della struttura nel senso che sulla entità e qualità dei bisogni soddisfatti dall’ente incidono o possono incidere i maggiori o minori oneri corrisposti agli organi istituzionali, il maggior o minor numero di dipendenti, la presenza o meno di mutui da pagare, il pagamento o meno di fitti passivi, l’esistenza o meno di perdite connesse ad aziende partecipate. 
In questo senso può dirsi che comprimere gli oneri della struttura significa liberare risorse per la soddisfazione di bisogni collettivi, obiettivo questo auspicato dalla politica intesa in senso alto La necessità di assicurare ai comuni una gestione professionale costituisce dunque non solo un modo per salvare i comuni dalla bancarotta ma anche il mezzo per accrescere la quantità e la qualità dei bisogni soddisfatti . Non si può dire dunque che gestire in modo più razionale il comune sia antipolitico: è semmai nell’interesse della comunità.
 di Diego Lana

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