Maria Falcone: riuniamo società e istituzioni per rilanciare l’antimafia

Società | 5 giugno 2019
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di Maria Falcone 

Ho letto con attenzione, sabato scorso, su Repubblica Palermo, l’articolo di Umberto Santino sulle celebrazioni del 23 maggio e mi sono tornate in mente vicende di un passato neanche tanto remoto che chi ha la mia età ricorda benissimo e che conoscono anche i giovani che hanno avuto la pazienza di studiare la storia. Parlo dei primi anni del secondo dopoguerra, quando decine di sindacalisti vennero assassinati perché si opponevano a Cosa Nostra organizzando i contadini che venivano sfruttati dagli agrari. Per questi eroi, la lotta contro la mafia era la continuazione della lotta contro il fascismo, per la democrazia e la libertà. Basti ricordare i due più noti sindacalisti assassinati, Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale, che non a caso erano stati partigiani nel nord Italia durante la Resistenza.


Quella dei sindacalisti fu una vera mattanza, che avvenne nell’indifferenza di gran parte dell’opinione pubblica: con le istituzioni, sia laiche sia religiose, distratte e, in qualche caso, complici. Eppure quella minoranza, che in quegli anni combatteva contro i Calogero Vizzini e i Genco Russo, non smise mai di cercare di rompere l’isolamento, consapevole che solo così si sarebbe potuto vincere contro la mafia.


Sono dovuti passare molti anni prima che le cose cambiassero, e possiamo dire che è stato con le stragi di Capaci e di Via D’Amelio che tutta l’opinione pubblica, non solo della Sicilia ma dell’intera nazione, ha preso piena coscienza del fenomeno. Ed è così che la data del 23 maggio, tragica e luttuosa, si è trasformata in una festa di libertà e di riscatto. Ora, la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, e con loro le istituzioni, sono coscienti della necessità di lottare contro le mafie, non solo quella siciliana, e che per vincere occorre unità.


E’ cosa nota che mio fratello Giovanni e Paolo Borsellino avessero idee politiche molto diverse, ma questo non impedì loro di combattere fianco a fianco fino all’estremo sacrificio.


E’ il loro esempio, questo essere uniti pur nella diversità, che rende l’antimafia un valore fondante della nostra Repubblica, come l’antifascismo.


E’ per me sempre motivo di grande consolazione vedere tanta gente, di tutte le età, venire ogni anno a Palermo, il 23 maggio, per ribadire il valore di quegli ideali di legalità, libertà e democrazia per i quali mio fratello, Paolo Borsellino, e tantissimi altri prima e dopo di loro, sono morti. Il 23 maggio è la giornata conclusiva di un percorso che nelle scuole di tutta Italia dura un intero anno scolastico, che vede in campo un esercito di insegnanti e centinaia di migliaia di giovani.


Sono fiduciosa nel futuro quando vedo che uomini e donne delle istituzioni sentono il dovere di venire a Palermo per confermare il loro impegno. Così deve essere il 23 maggio, allo stesso modo del 25 aprile, del 2 giugno, del primo maggio: tutte date che ci ricordano cosa deve essere la nuova Italia risorta dalle macerie della guerra e che sono sprone per proseguire la battaglia perché i valori che rappresentano vengano difesi e portati avanti.


Il generale Dalla Chiesa nella sua ultima intervista parlava del pericolo dell’isolamento di chi lotta Cosa nostra e aveva ragione. Per questo non sono d’accordo con chi ritiene invece che l’unità e l’impegno di uomini e donne politicamente diversi tolgano "purezza" all’antimafia. Sono convinta che nessuno, a partire da me, abbia il diritto di distribuire patenti di antimafiosità. Anche recenti vicende giudiziarie, che hanno colpito soggetti che dietro il vessillo della legalità purtroppo nascondevano centri di affari tutt’altro che limpidi, devono farci attentamente riflettere.


Credo sia giunto il momento di mettere insieme le idee critiche e gli spunti delle forze migliori di questo Paese per interrogarsi sul futuro possibile dell’antimafia.


Parlo di un tavolo delle idee attorno al quale sederci tutti insieme: movimenti e associazioni antimafia, ma anche rappresentanti delle istituzioni, intellettuali, magistrati, per affrontare in modo sereno e costruttivo, seppur critico, il tema del ruolo della società civile e dell’associazionismo nella lotta alle mafie, superando sterili polemiche che hanno il solo effetto di disorientare l’opinione pubblica e creare disaffezione verso temi che, invece, dovrebbero vederci dalla stessa parte.



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