In carcere ci vanno solo i poveri, come nel 1860

Società | 24 gennaio 2015
Condividi su WhatsApp Twitter

 «L'attuale composizione sociale della popolazione carceraria è per molti versi analoga a quella dell'Italia del 1860. Oggi come ieri in carcere a espiare la pena finiscono soprattutto esponenti dei ceti popolari e coloro che occupano i gradini più bassi della piramide sociale, oltre che gli esponenti della criminalità organizzata. La quota di colletti bianchi in espiazione di pena è statisticamente irrilevante». A dirlo il Procuratore generale della Corte d'Appello di Palermo, Roberto Scarpinato (nella foto), intervenendo nel corso della cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario. Parlando di un «sistema sanzionatorio non equilibrato e quasi binario», Scarpinato ha sottolineato che «su un numero complessivo di 24.744, il numero delle persone in stato di custodia cautelare per reati di corruzione al mese di ottobre del 2013 era di 31 unità». Numeri che, secondo il Pg, «costringono a interrogarci non solo su 'quanta giustizià è stata amministrata, ma anche su 'quale giustizià viene amministrata».  «La constatata e perdurante impotenza del sistema penale a sanzionare le molteplici declinazioni della criminalità dei colletti bianchi alimenta un clima collettivo di crescente sfiducia sistemica nel rispetto delle regole con una caduta verticale della credibilità delle istituzioni e con effetti negativi a cascata su tutto il corpo sociale», continua Roberto Scarpinato. Per il pg siamo in presenza di una politica criminale del doppio binario: da un lato la decriminalizzazione dei reati dei colletti bianchi, dall'altro la ipercriminalizzazione di quelli tipici delle fasce popolari disagiate. Ciò, secondo il magistrato, ha determinato, tra l'altro, il sovraffollamento delle carceri sanzionato duramente dalla Corte di Giustizia Ue. Scarpinato inoltre ha denunciato l'assenza di una vera politica di reinserimento sociale dei detenuti. 

 La crisi economica, ma soprattutto lo sperpero di risorse  pubbliche da parte della classe dirigente, «hanno condotto a una rassegnazione fatalistica e  al consegnarsi all'economia criminale di sussistenza: in assenza del vero welfare state, molti  tornano a bussare alle porte del welfare state mafioso», lancia l'allarme il Procuratore  generale della Corte d'appello di Palermo «Da intercettazioni ambientali è stato accertato che file di questuanti vanno a bussare alle  porte dei boss implorandoli di far ottenere loro un qualsiasi impiego per sfamare la famiglia -  ha aggiunto Scarpinato -. La disillusione delle attese collettive è imputabile solo in parte a  fattori macroeconomici; lo è soprattutto al grave tradimento della fiducia collettiva e alle  speranze dell'intero popolo, con classi dirigenti che hanno depredato risorse pubbliche che  erano destinate a investimenti e sviluppo».

A Palermo tutti i magistrati sono in pericolo. Giudici e pm. A lanciare l'allarme è il presidente reggente della corte d'appello del capoluogo siciliano, Ivan Marino che, però, va oltre. Anche a costo di scatenare polemiche. E approfitta della platea presente all'inaugurazione dell'anno giudiziario per esprimere la preoccupazione che «l'indubitabile contingente e pericolosissima esposizione a rischio di taluno dei magistrati della requirente, con conseguente adozione di dispositivi di protezione mai visti, finisca per isolare e scoprire sempre più i magistrati della giudicante titolari degli stessi processi». Parole, quelle di Marino, che fanno discutere: più di un pm vede nella contrapposizione tra giudici e pm una forzatura per nulla opportuna. «No comment», dice Nino Di Matteo, pubblica accusa al processo sulla trattativa Stato-mafia, vittima di pesanti minacce mafiose e da tempo super scortato. Lui e gli altri magistrati del pool che indaga sui presunti patti tra Cosa nostra e pezzi delle istituzioni hanno disertato la cerimonia. Motivo ufficiale, per Di Matteo, impegni lavorativi in altra sede. Ma non manca chi vede nell'assenza dei quattro pm, oltre a Di Matteo mancavano l'aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, la scelta ben precisa di chi non si sente sostenuto a sufficienza da colleghi e istituzioni.  Di pericolo per l'incolumità di chi è in prima fila contro la mafia parla anche il neo-procuratore di Palermo Franco Lo Voi che invita chi lancia segnali minacciosi a cambiare rotta: «la Procura - dice ribadendo l'unità del suo ufficio - non arretrerà di un millimetro».


CALTANISSETTA,  BOSS CONTRO CONFINDUSTRIA E IRSAP

 «Ancora pesante è l'influenza esercitata da alcuni capi detenuti i quali, in assenza di autorevoli sostituti, non smettono di mantenere ed esercitare il loro antico potere e di impartire dal carcere direttive e indicazioni agli affiliati liberi». È una dei passaggi della relazione letta dal presidente della corte d'appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, nel corso della cerimonia per l'inaugurazione dell'anno giudiziario. Cardinale ha sottolineato, tra l'altro, «un clima di allarme, fatto di intimidazioni, minacce, insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a una platea di magistrati, funzionari pubblici e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti sul campo dell'antimafia e della lotta all'illegalità». In particolare il presidente della corte d'appello ha citato «gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l'accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell'antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti». Cardinale ha ricordato a questo proposito «i due 'avvertimentì, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell'Irsap, impegnato a ripristinare la legalità nella gestione delle Aree di Sviluppo Industriale». Il presidente della Corte d'appello ha infine sottolineato l'importanza dei protocolli d'intesa «stipulati su iniziative dei Prefetti di Caltanissetta ed Enna e con l'adesione di Confindustria, con la precipua finalità di estendere l'attività di prevenzione dalle infiltrazioni mafiose anche all'ambito dei contratti privati e di favorire la partecipazione agli appalti pubblici di ditte non condizionate dalla mafia». 


IL PG DI MESSINA, GIOVANNI  D'ANGELO:  LA CORRUZIONE E’ AVAMPOSTO DELLE COSCHE 

«La corruzione emerge sempre di più come autentico crocevia strategico dell'economia criminale e avamposto delle mafie». A dirlo il procuratore generale della Corte di Appello di Messina Giovanni D'Angelo all'inaugurazione dell'anno giudiziario a Messina. «I dati di recente forniti dal Governatore della Banca d'Italia alla Commissione Parlamentare Antimafia impressionano - prosegue D'Angelo - l'economia illegale vale circa 150 miliardi di euro, cioè circa il 10% del Pil; ed ancora: tra il 2006 e il 2012, proprio per via delle infiltrazioni criminali, si sono persi 16 miliardi d'investimenti esteri. La corruzione, intesa come fenomeno criminale e non semplicemente come specifica figura delittuosa, è lo snodo strategico essenziale dell'economia criminale ed è anche lo strumento utilizzato dalla criminalità organizzata e di tipo mafioso per penetrare nei centri del potere istituzionale. L'istituzione di una Authority anticorruzione è stata, perciò, misura utile, ancorchè tardiva, ma è lecito dubitare che da sola possa debellare un fenomeno così generalizzato e saldamente radicato se non operano adeguati strumenti di dissuasione preventiva». «A Messina e in Sicilia - osserva D'Angelo - la criminalità organizzata incide anche negativamente sul tessuto socio-economico dell'intera comunità impoverendolo e deprimendone. Basta tenere conto, infatti, del gettito esorbitante del racket estorsivo, che secondo documentati studi costa alla Sicilia 1,3 punti percentuali del Pil».

LA MAPPA DEL CRIMINE IN ITALIA

Continua ad essere allarmante la pressione criminale che grava su tutti i distretti delle corti di appello che  hanno inaugurato l'apertura dell'anno giudiziario con le relazioni dei Presidenti e del Procuratori generali.

MAXISEQUESTRO A ROMA - Beni per un miliardo e 400 milioni sono stati sequestrati dalla magistratura della capitale nel 2014. Con l'inchiesta sul 'Mondo di mezzò gestito da Carminati si è svelato «un salto di qualità rispetto a Tangentopoli, con il prevalere di una corruzione 'privatisticà su quella che si appellava alle esigenze di partito, l'assenza di ogni giustificazione ideologico-politica, l'assuefazione al congiunto operare di arricchimento illecito e di devastazione delle regole della democrazia». I gruppi criminali di Roma hanno stretto un «patto esplicito» per evitare contrasti sul narcotraffico.

VENEZIA, CORRUZIONE CRESCE DEL 300% - L'inchiesta sul Mose in laguna e il sistema di tangenti della Serenissima ha fatto lievitare le iscrizioni a ruolo di questo reato, i casi sono saliti da 31 a 122 con un aumento del 293,5%. Sale del 66,7% anche la concussione e del 9,2% il peculato. Nel penale il 41% dei processi si è prescritto.

NAPOLI, IMPENNATA DI OMICIDI E FEMMINICIDI - Sono cresciuti del 31% e del 22%. Ancora più ingolfato il tribunale con più di 127 procedimenti in più rispetto al 2013. L'arretrato è salito del 14%. Pedofilia e pedopornografia lievitate del 175%, boom di reati informatici aumentati del 461%. E tanti reati non vengono nemmeno denunciati, come i furti in abitazione scivolati a -315 e gli infortuni sul lavoro -46%.

SCAFISTI E TRAFFICO MIGRANTI- Se ne occupano le procure delle zone costiere del sud. Il fenomeno è diventato «imponente». Le diverse procure stanno adottando «forme stabili di raccordo tra le unità militare operanti in mare e la polizia giudiziaria delegata sul territorio». Già nel momento del salvataggio in mare sono adottati «profili investigativi», come i braccialetti adesivi, per individuare la provenienza di persone dalla stessa imbarcazione. Spesso al 'timonè ci sono minorenni.

STALKING IN CRESCITA - Molti Pg hanno segnalato un «significativo incremento» di questo reato dovuto alla «maggiore presa di coscienza delle vittime» e ai magistrati che hanno imparato a qualificare il reato. Molte Procure hanno creato sportelli antiviolenza e appositi pool che si occupano anche di stupri e maltrattamenti in famiglia. Roma, Torino, Catania, tra gli uffici meglio organizzati. Bene anche Firenze dove un «codice rosa» attiva una speciale assistenza ospedaliera. 

LOMBARDIA, FALSI PIANI PER RIFIUTI - Dalle indagini dei pm antimafia e ordinari, è emerso che «in tutti i cantieri lo smaltimento illecito dei rifiuti avviene con un unico 'modus operandì basato su falsi piani di scavo e la presenza di 'padroncinì calabresi». Infiltrazioni massicce della 'ndrangheta ci sono in tutta la regione.

PRESCRITTO IN APPELLO IL 22,8% DEI REATI- Le sentenze finite con un nulla di fatto sono passate da 18.936 a 23.245. L'aumento è stato molto «sensibile» e in maniera rilevanti è aumentato anche il numero dei decreti di archiviazione emessi per prescrizione nei procedimenti contro noti (+7,3%, da 66.378 a 71.247). Dal 2004 al 2013 si sono prescritti 1.552.435 reati. 

PROCESSI ANCORA PIÙ LENTI - L'aumento dei tempi di definizione delle cause in appello è generalizzato. Se prima ci volevano in media 844 giorni, adesso ne servono 917. Dal 2001, al 2014 la giustizia lumaca ci è costata 700 milioni di euro. 

CAGLIARI E LECCE PARALIZZATE - A causa dei «massicci e prolungati scioperi» degli avvocati, in questi distretti si è bloccata l'attività giudiziaria «per buona parte del primo semestre del 2014, determinando inevitabili rinvii delle udienze del secondo semestre. 

CALCIO INFILTRATO DAI CLAN - L'allarme lo hanno lanciano i magistrati di Roma e Napoli. »In questi ultimi anni i rapporti della criminalità organizzata sono diventati sempre più stretti e connotati di ambiguità, soprattutto quelli con la tifoseria degli ultras«.

MAFIA IN LIGURIA - »L'obiettiva sottovalutazione« della presenza della criminalità organizzata »soprattutto, ma non solo, da parte della politica, ha costituito per me elemento di rammarico anche personale«. Sono stato - ha detto il ministro Andrea Orlando - »tra i primi con pochi altri a denunciare il rischio di infiltrazioni mafiose in un clima di scetticismo generalizzato. Ci fu allora chi sostenne che parlare di mafia in Liguria significava portare discredito alla regione«. 


 di Angelo Meli

Ultimi articoli

« Articoli precedenti