Pio La Torre nel 16° anniversario del suo assassinio
Atti della commemorazione di
Pio La Torre
nel 16° anniversario
del suo assassinio
"La Sicilia a 16 anni dall’assassinio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo: attualità della lotta alla mafia e per le libertà".
N.B. La trascrizione degli interventi degli oratori ufficiali è stata effettuata a cura del Centro di Studi ed Iniziative Culturali "Pio La Torre". Si avverte che i testi non sono stati corretti dai relatori.
INO VIZZINI: "E’ passato tanto tempo da quel tragico 30 aprile 1982, giorno nel quale sono stati assassinati dalla mafia Rosario Di Salvo e Pio La Torre, sono trascorsi 16 anni un periodo nel quale si è molto lottato, si sono ottenuti risultati molto importanti molte cose sono cambiate, molte conquiste sono state ottenute, città come Palermo sono state sottoposte ad una mobilitazione straordinaria che ha registrato una grande partecipazione di giovani, donne, di cittadini. Sono stati ottenuti significativi risultati dalla lotta contro la mafia, alcuni dei capi più pericolosi di questa grande organizzazione sono in galera, molti sono stati processati e condannati, su molti delitti si è fatta chiarezza, sono stati arrestati i responsabili di molti delitti, c’è sicuramente una situazione molto diversa.
Nel ricordare Pio La Torre, Rosario Di Salvo e i tanti che sono caduti in questi anni noi però partiamo da una considerazione che non si è fatta luce su un punto che è centrale, chi ha promosso questa impressionante stagione di terrorismo mafioso, che è durata molti anni, che ha fatto registrare decine di vittime tra politici (Pio La Torre, Mattarella e altri), moltissimi magistrati, moltissimi uomini delle istituzioni, delle forze dell’ordine, una campagna che ha una valenza che va ben al di là dal delitto mafioso, che è stata chiamata di terrorismo mafioso, che ha destabilizzato le istituzioni, che ha condizionato la vita politica, la vita civile di grandi città e del paese. Su questo punto, quindi sulla natura di questa operazione che non ha precedenti né in Sicilia, né nel resto del paese, la ricerca, l’attenzione si deve concentrare, si deve lavorare per individuare sia gli autori materiali, gli esecutori, i criminali che hanno ucciso La Torre, Di Salvo e gli altri, ma anche i mandanti anche gli ispiratori, anche quelli che hanno consentito che questa stagione così terribile si realizzasse nella nostra città. Io ricordo che l’unico precedente che si può richiamare di un attacco così violento alla vita civile, alle forze democratiche, ai sindacati, è quello che risale al ’47 all’incirca, Portella della Ginestra, l’assalto alle sezioni del partito comunista, del partito socialista. Però, appunto, lì era chiaro sin da allora ancora prima che venisse tolto il segreto delle carte dell’antimafia, il legame e il collegamento con l’agraria che difendeva l’influenza politica, l’influenza sociale con parti politiche che anche se non erano esattamente individuate però erano abbastanza in evidenza nello scenario della vita politica. La Torre era anche un dirigente politico nazionale, parlamentare nazionale che aveva animato un grande movimento di lotta per la pace, una cosa che non si era mai vista nella nostra Sicilia, nella nostra regione anche nei periodi in cui la battaglia per la pace aveva mosso grandi masse di giovani, di lavoratori, di cittadini. Nella nostra regione questo era già accaduto tante volte. 1.000.000 di firme alla petizione per lo smantellamento alla base missilistica di Comito perché si avviasse una fase di trattative tra le grandi potenze e che portasse al disarmo nucleare.
Io penso che nel ricordare Pio La Torre e nel ribadire con forza la richiesta che si faccia giustizia, che si faccia chiarezza, rimangano colpiti gli autori e i mandanti di questa catena impressionante di omicidi, che si intensifichi la lotta contro la mafia, rendendo difficile la vita ai tanti latitanti che stanno realizzando una specie di regola; in Sicilia, c’è la regola della latitanza che molti conducono da decine di anni e alcuni di questi sono stati i massimi di "Cosa Nostra". Io penso che dobbiamo ricordare Pio La Torre come il militante attivo di un partito, di uno schieramento di una parte della Sicilia che la lotta contro la mafia, bene o male, lo ha fatto sempre.
Pio La Torre comincia la sua attività organizzando i contadini senza terra andando nei feudi, chiedendo l’assegnazione della terra e conclude la sua vita nel modo tragico, che noi tutti sappiamo, venendo in Sicilia pensando di dare tono al lavoro del partito comunista e delle istituzioni autonomistiche democratiche. Pio La Torre appartiene a quella parte della Sicilia che non si è mai arresa alla mafia, che non ha mai rinunciato alla lotta, che anche in momenti difficili ha saputo tenere alta la bandiera della lotta, della democrazia e della libertà e ha pagato un prezzo molto pesante. Io penso ai tanti che sono caduti della nostra parte, della nostra parte progressista, democratica, popolare; in questa battaglia decine di dirigenti sindacali, socialisti, comunisti, senza partito uccisi in quel periodo.
Ricorre domani l’anniversario di Portella della Ginestra e il nostro pensiero va a quelle vittime innocenti di quell’eccidio che fu la prima strage di Stato. Ecco io penso allora, così concludo questo mio intervento d’apertura, che la battaglia contro la mafia sarà fatta in Sicilia e sarà vittoriosa perché può mobilitare tanta gente perché ha mobilitato tanta gente, mobilita forze politiche sane, mobilita siciliani onesti, rende partecipi tanti che da decenni aspettano giustizia, vogliono che ci sia una svolta netta, che si faccia luce su quanto è avvenuto in questi anni e si adoperano perché la Sicilia abbia un futuro di progresso, di civiltà e di benessere".
PIETRO PUCCIO: "Signor Ministro, autorità, signore e signori Pio La Torre e Rosario Di Salvo 16 anni dopo, le ragioni di ieri e le speranze di oggi, due Sicilie a confronto, due Sicilie completamente diverse l’una dall’altra. La Sicilia di oggi, la Sicilia della rinascita, la Sicilia della liberazione, della ricchezza dell’antimafia, dell’affrancamento della nuova cittadinanza, quanto è figlia dell’altra Sicilia? La Sicilia di ieri, dove i segni predominanti erano quelli della dominazione mafiosa, della violenza, del patto scellerato tra mafia e politica.
La fine degli anni ’70 e l’intero arco degli anni ’80 per questa terra ha significato non solo morte, rassegnazione ed impotenza ma anche qualcosa d’altro, qualcosa di positivo. Quegli anni furono anche l’inizio di un processo di presa di coscienza e di rifiuto di quella realtà da parte di sempre più larghi strati di società, proprio quando si faceva più alta e spietata l’attacco di "Cosa Nostra" allo Stato, alla civile convivenza, allo stesso ordinamento democratico del paese. Io credo che la Sicilia di oggi debba molto a quella parte, prima piccola ma via via sempre più grande, di uomini e donne che seppero non solo dire no, ma seppero iniziare a costruire tra la gente, tra i lavoratori, tra gli studenti, i giovani, una nuova classe dirigente capace di affermare dal basso un processo di cambiamento e di rinnovamento che ha avuto nei comuni la sua più significativa espressione.
Furono uomini della politica, delle istituzioni, delle professioni, della cultura e della scuola a gettare le basi di questa nuova Sicilia. Molto dobbiamo al loro rigore intellettuale, alla loro onestà politica, alla loro capacità di leggere e di capire in quel magma di interessi e di poteri occulti, di azioni e reazioni tra corpi e pezzi di reati delle istituzioni di responsabilità dirette, di colpevoli connivenze, di facili accordi che erano diventati di fatto la quotidianeità di un sistema che tutto teneva pur di conservare se stesso. Tutto questo era lì davanti a tutti noi eppure la maggioranza della classe politica di governo di allora non voleva o non poteva vedere.
C’era un sistema di impunità e controllo sociale da parte di strutture criminali che andava oltre ogni immaginazione, i resoconti dibattimentali e le cronache giudiziarie ci confermano quanto, sul piano politico e sociale, quegli uomini andavano denunciando. Dobbiamo molto a Pio La Torre, a Cesare Terranova, a Persanti Mattarella, a Pippo Fava e con loro a tutte le altre vittime della mafia. Essere, venti anni fa, protagonisti di un movimento di liberazione della mafia e da chi, dentro e fuori le istituzioni, intesseva rapporti con questa, significava mettere nel conto la possibilità di perdere la propria vita e quella di chi lavorava a loro fianco. Non possiamo dimenticare che Palermo vide in quegli anni l’andare a morte magistrati, il Prefetto, giornalisti, il Sindaco, un Presidente della Regione e tanti uomini delle forze dell’ordine, non possiamo ricordare solo i nominati in quanto ogni sacrificio ha avuto lo stesso valore e la stessa carica dirompente. Tanti, troppi hanno perso la vita e ciò non deve più avvenire e in campo c’è ora una nuova Sicilia che ancora prima di chiedere opere si impegna a scommettere su se stessa.
Questa è stata la grande lezione di Pio La Torre a tutti noi, alle generazioni che ne hanno voluto raccogliere l’esempio. Pio La Torre non si fermava alla denuncia non aspettava tempi migliori, non si concedeva il lusso dell’attesa ci insegnava a partire da ciò che eravamo e da ciò che noi potevamo fare lì subito in quel momento, ci ha insegnato a mettere in discussione tutto a partire da noi stessi da creare le condizioni di una nuova sfida e di un nuovo passo avanti. Come non sottolineare l’importanza politica e culturale che ebbe il movimento pacifista che con lui in Sicilia, segretario del Partito Comunista italiano, lo vide protagonista, un movimento che si rafforzò e trovò spontaneamente il modo di coinvolgere migliaglia e migliaglia di persone anche non politicizzate, fù un movimento unitario, coinvolgente e socialmente largo. Un milione di firme di siciliani raccolte contro i missili a Comiso, fatti straordinari di una Sicilia viva e positiva, una Sicilia che oggi guarda il resto del paese con ritrovata fiducia che deve agli sforzi operosi della nuova classe dirigente della nazione, del governo e della sua maggioranza per conseguire fondamentali obbiettivi di sviluppo, di democrazia, di civiltà, una Sicilia che chiede di partecipare alla fase politica ed innovativa del paese; non vogliamo rimanere fuori vogliamo impegnarci e dobbiamo impegnarci. Abbiamo dimostrato a tutti che la Sicilia, Palermo e il territorio di questa provincia non sono più il cortile di "Cosa Nostra", siamo usciti dall’incubo della ferocia e della immutabilità delle cose.
Signor Ministro, Palermo non ha dimenticato cosa si è fatto per sconfiggere la mafia, l’intero governo Prodi, Lei Ministro degli Interni ed il suo collega Ministro di Grazia e Giustizia nelle vostre scelte avete sempre tenuto fermo il punto qualificante della lotta alla criminalità organizzata e dalla corruzione, vi abbiamo avuto vicino in momenti difficili ed anche recentemente; non posso non sottolinearle la mia personale gratitudine quando qualche settimana fa, Ministro Napolitano, mi ha immediatamente concesso un colloquio su quanto accadeva in questa città e nei nostri comuni circa alcune nostre precise scelte amministrative. I risultati conseguiti nella lotta alla mafia confermano anche in questi ultimi giorni che l’attenzione dello Stato e delle sue strutture sul territorio non si è mai ridotta e attenuata, eppure non possiamo e non vogliamo abbassare la guardia, i cittadini oggi si sentono più sicuri hanno capito che è vantaggioso schierarsi con lo Stato che sa fare il suo dovere fino in fondo senza guardare in faccia a nessuno, uno Stato che funziona, che capisce e che è in grado di dare risposte.
Palermo è cambiata, questa provincia è cambiata, i simboli dell’onnipotenza mafiosa sono stati spazzati via, lo Stato ha saputo riprendere il campo, ora conduce la battaglia per vincerla, ognuno secondo la propria competenza sta facendo la sua parte e anche di più. C’è una nuova sinergia tra poteri e cittadini che prima era davvero inimmaginabile. Proprio alcuni giorni fa abbiamo inaugurato 21 sentieri naturalistici nel Parco della Valle dello Jato, ciò è stato possibile non solo per la fruttuosa collaborazione tra le amministrazioni ma soprattutto dall’impegno di tanti cittadini privati che hanno aperto i loro poderi che hanno voluto partecipare all’iniziativa, siamo nel territorio dei Brusca qualcosa davvero si è finalmente rotto.
C’è consenso verso lo Stato che sa essere utile ai cittadini, che sa dare risposte convincenti, che sa fare bene ciò che le leggi prevedono. Ci sono enti locali che si sono liberati dai vecchi comitati d’affari che sono uscite dalle ombre fosche del sotto governo per riaffermare dignità e funzione a questi nostri enti, si sono spalancate le porte dei nostri palazzi e si è rivitalizzato il rapporto con i nostri cittadini, sono tante le azioni positive contro la mafia e per il lavoro, azioni positive per la scuola, per l’ambiente, per i giovani e per i bambini, azioni positive verso le imprese che vogliono lavorare in trasparenza e nella legalità, azioni positive verso chi rivuole dignità e futuro per sé e per i propri figli. Vedete, da queste parti la lotta alla mafia contro la corruzione per la legalità non viene più vissuta come un problema, non è più recepita come chiusura di lavoro, bensì come sviluppo a nuove opportunità di crescita, la lotta alla mafia, come l’abbiamo condotta noi ha riaperto un oleificio confiscato alla famiglia di Agrigento a San Cipirrello, ha aperto finalmente dopo trent’anni in un territorio fortemente condizionato da "Cosa Nostra", la strada a scorrimento veloce Palermo - Sciacca ed oggi, grazie alla Provincia di Palermo, la villa di Totò Riina a Corleone è diventata una scuola.
Non sono miracoli, è la consapevolezza di un popolo che è riuscito a spezzare luoghi comuni della mafiosità, dell’indifferenza e dell’immobilismo.
Questo è stato possibile perché dopo anni di colpevole sottovalutazione di quanto avveniva in Sicilia lo Stato, prima pressochè assente, è ritornato in Sicilia con autorevolezza e senso del dovere".
GIANNI PARISI: "Io innanzitutto debbo ringraziare Giorgio Napolitano per questa sua presenza, so quanto sia stato difficile per l’enorme mole di impegni, ma ci tenevamo molto ad averlo con noi perché nella vicenda "Pio La Torre" lui ha avuto un ruolo molto importante, quando si trattò del ritorno di Pio in Sicilia. Ma permettetemi innanzitutto di dire due parole su quelli che talvolta venivano considerati morti di serie B, cioè su Rosario Di Salvo; di solito si ricordano i grandi, ma Rosario Di Salvo è stato, nella sua modestia, anche un grande; è stato il ragazzo bello dagli occhi azzurri che ci ha accompagnato per anni per le strade della Sicilia, prima Occhetto, poi me, poi Pio La Torre e che sapeva, specialmente con il ritorno di Pio La Torre, quali rischi correva e li ha corsi; e anche lui è morto.
Poi vorrei dire di Pio, che ha attraversato così tanto la vita della Sicilia e la vita di tutti noi, che si potrebbe parlare a lungo soltanto degli aspetti personali, del rapporto personale con Pio che io ho visto per la prima volta nel 1951, ero un ragazzo, dietro le sbarre, al tribunale, al processo per l’occupazione delle terre di Bisacquino; potrei ricordare tante cose della sua famiglia, di suo fratello delle serate passate nella casa di Pietratagliata, fra i limoni, ore passate insieme a Roma in Via Panisperna nella sua casa romana. Ma siamo qui per ricordarne l’opera pubblica, l’opera politica e sociale. Si parla del ritorno di Pio in Sicilia nell’81; ma quando mai Pio se ne era andato dalla Sicilia?, Pio anche quando era a Roma, era il deputato della Sicilia; anche quando era nella Segreteria Nazionale, era Pio La Torre che non mancava mai il fine settimana politico qua in Sicilia; e quando non poteva venire era un continuo scambio di telefonate. Pio non era uno che stava lontano dalla vita della Sicilia, egli era pienamente dentro la politica nazionale, ma era dentro la politica siciliana in quegli anni, anni difficili, anni di quella politica che poi ebbe una crisi con l’assassinio di Moro e di Mattarella in Sicilia, la politica di solidarietà nazionale e di unità autonomistica in Sicilia. Pio ci era accanto e ci consigliava, ci metteva sempre sull’avviso: "innanzitutto i contenuti, i problemi, le risposte, state attenti alle formule senza contenuti, attenti alle discriminanti, bisogna andare al colloquio", perché lui era un uomo aperto al colloquio con le altre forze politiche e sociali, però ci invitava sempre a porre le discriminanti. La prima discriminante era la discriminante antimafiosa e ci metteva sull’avviso, sui pericoli che una politica come quella potesse avere delle cadute sul terreno della piena coerenza. Insomma La Torre in quegli anni 70, specie nella seconda metà, per noi era come una sorta di sostegno, di antitodo contro i pericoli di una politica aperta, importante, ma rischiosa perché avevamo a che fare con delle forze politiche al cui interno si annidavano componenti vicine alla criminalità mafiosa. Allora se di ritorno possiamo parlare, se ne può parlare nel senso di un ritorno alla direzione della politica del Pc in Sicilia, non un ritorno di Pio La Torre che fù sempre in Sicilia.
Perché questo ritorno?, perché fù coinvolto Napolitano? Questo ritorno si ebbe a conclusione di un dibattito tra di noi; avevamo attraversato un periodo di difficoltà legate, appunto, alla crisi della politica di unità nazionale in Sicilia, di risultati elettorali cattivi, in Sicilia più pesanti perché tutte le contraddizioni nazionali in Sicilia si presentano sempre più acute. C’era stata questa crisi e c’era stato anche un rinnovato risveglio della criminalità mafiosa, l’assassinio di Cesare Terranova 25/09/79 e l’assassinio di Mattarella il 6/01/80, poi ci furono le elezioni regionali con un risultato non buono, anche se oggi sarebbe ottimo. E quindi io stesso, che ero il Segretario Regionale posi, come posi a Napolitano che era il responsabile della Commissione di organizzazione, il problema del superamento di una fase che era ormai di logoramento, di logoramento politico, ma anche personale. Io posi questo problema a Napolitano, il problema di un rinnovamento, di un nuovo gruppo dirigente, di ridare linfa e forza alla nostra azione in Sicilia. In qualche maniera mi assunsi una responsabilità di difficoltà, che certamente solo in parte potevano essere mie; ma me ne assunsi tutto il peso.
Certamente La Torre non fù mandato per punire qualche d’uno o per fare pulizia, cosa di cui non c’era bisogno. Ci fù un dibattito nel nostro partito, ci fù anche una dialettica forte, fra chi pensava di puntare ad una nuova leva, a nuove soluzioni completamente nuove e a chi pensava ci si dovesse affidare all’esperienza di Pio La Torre, un’ esperienza che si era arricchita enormemente con il suo lavoro nella Commissione antimafia, con la sua direzione nella Commissione meridionale e nella Commissione agraria. Ci fù una situazione di stallo, erano i mesi dell’estate dell’81 ad un certo punto in quella fase di stallo mi ricordo Napolitano che disse: " Gianni qui c’è una fase di stallo, a questo punto la parola tocca a te" ed io dissi "La Torre" sapendo che avrei provocato anche risentimenti in qualche d’uno, ma capì che in quel momento quella era la scelta più forte da consolidare attraverso una soluzione unitaria al gruppo dirigente.
Otto mesi dal ritorno di Pio La Torre alla direzione, è durato soltanto otto mesi, ma furono otto mesi straordinari, innanzitutto la lotta per la pace, ne dirà qualche cosa Capitummino che allora fù uno degli interlocutori del mondo cattolico di La Torre che ricercava l’unità più ampia su problemi chiari e netti. Il titolo della nostra conferenza dice "La Sicilia a 16 anni", attualità di quella lotta; ed io credo che l’attualità di quella lotta risente ancora dell’insegnamento che ci dava La Torre, innanzitutto una ispirazione unitaria di quella lotta, la lotta alla mafia non può essere lotta di parte deve essere una lotta che raccolga le più larghe forze certamente attorno ad una linea piena di coerenza. Ampia unità accompagnata certamente, e La Torre era fermissimo in questo, dalla denuncia delle complicità, dalla omertà, della opacità.
La lotta alla mafia non può essere soltanto lotta repressiva; noi oggi non possiamo che ritornare a ringraziare le forze dell’ordine, la Magistratura, per quello che è stato fatto in questi anni da Costa, Chinnici, Falcone, Borsellino in poi fino ad oggi. Siamo grati a loro e dobbiamo solidarizzare con loro quando vengono attaccati per la loro opera. Ma per La Torre la lotta contro la mafia era innanzitutto la lotta per la terra negli anni 40, era per la libertà degli operai nei cantieri navali negli anni 50, era la lotta contro la speculazione edilizia negli anni 60; c’è un bellissimo discorso che La Torre fece all’Assemblea regionale proprio sul piano regolatore di Palermo quello di Ciancimino. Ed oggi la lotta alla mafia non può essere altro che una lotta al positivo, per la libertà dell’impresa, dei produttori, per la libertà dal racket e dal pizzo, per la libertà dei lavoratori nel mercato del lavoro, per il lavoro, per la trasparenza dei poteri democratici.
Io concludo; però mi piace pensare ad una cosa: cosa direbbe La Torre se per un miracolo tornasse oggi tra di noi e potesse vedere Palermo, Catania, Ragusa, Messina, Caltanissetta, Trapani e centinaia di altri comuni governati dalle forze del nuovo Centro - Sinistra o la provincia di Palermo governata dal Centro - Sinistra, da Puccio; se potesse vedere i giovani di oggi, il loro senso comune anti mafioso, (ai tempi di Pio La Torre il senso comune era filomafioso, "la cultura mafiosa"); se potesse sapere che Riina, Bacarella, Aglieri e tutti gli altri sono stati arrestati. Io lo so, lo conoscevo troppo bene, ci direbbe: "Va bene! Però rimane tanto da fare". Questo era Pio La Torre e noi diremmo a Pio "E’ vero c’è tanto da fare, ma quello che è stato fatto è tanto e in tanta parte è anche merito tuo, del tuo esempio e della tua battaglia".
ANGELO CAPITUMMINO: " Signore e signori, cari amici, vi ringrazio per questo invito a ricordare, a 16 anni dalla scomparsa, un amico caro, un compagno di strada affettuoso e leale, un politico tra i più grandi che il nostro Mezzogiorno abbia mai espresso.
La nostalgia e la commozione sono grandi, tuttavia io voglio ricordare Pio in maniera per così dire "dinamica", voglio ricordarlo rendendo soprattutto omaggio al grande movimento, allo sforzo costruttivo, alla costante creatività che lo rendevano un uomo pressocchè unico.
Poi era un uomo proteso verso il futuro, un uomo i cui gesti, le cui parole, le cui iniziative non denunciavano altro che l’ansia per il cambiamento, per il rinnovamento, per il nuovo.
La sua era l’ansia di riscatto dei miserabili, dei servi della gleba, degli operai oppressi e sfruttati che respiravano in lui, attraverso lui parlavano e gridavano. Erano tempi duri, gli anni in cui si combatteva quella che qualcuno allora definì "la guerra santa dei pezzenti". Pio La Torre quegli anni li attraversò: non da semplice testimone ( è facile lasciare che il tempo ci scivoli addosso) ma da protagonista assoluto.
Commemorare Pio La Torre ci da oggi l’opportunità di confrontarci con i valori che egli ha espresso, valori che attestano che l’impegno politico può esprimere una forza tale da cambiare in qualche modo la realtà solo quando è sostenuto da una grande tensione ideale e morale, che sappia inquadrare una visione globale ( e non particolaristica) dei problemi.
E La Torre, comunista e laico, curioso delle idee degli altri, aperto al confronto e al dibattito, riuscì in vita con la sua presenza e riuscirà in futuro con il suo esempio a cambiare in qualche modo la realtà.
La Torre è stato da alcuni indicato come il propugnatore di una utopia irrealizzabile, come un nobile idealista. Era in realtà un uomo pieno di futuro, ed è difficile per chiunque oggi negare che taluni suoi modi, talune sue iniziative abbiano preceduto di molti anni realtà e prospettive di oggi.
Mi riferisco alla sua ostinata continua ricerca del dialogo tra uomini diversi, contrapposti, lontani, superando chiusure preconcette e schematismi ideologici.
Mi riferisco all’appassionata, convinta priorità che dava ai problemi, ai diritti dei lavoratori e dei disoccupati. Mi riferisco alle sue battaglie per l’affermazione della legalità, contro la mafia, per la pace, contro le aggressioni imperialistiche.
Egli suscitando entusiasmo in quanti gli erano vicini e gli volevano bene, ma anche insofferenza e diffidenza in quanti lo consideravano un po’ una scheggia impazzita, aprì - decenni or sono - sentieri che adesso sono strade lungo le quali popoli e uomini di buona volontà camminano alla ricerca di quella intesa che diventa, sempre più drammaticamente, l’unica alternativa alla barbarie.
Pio La Torre è stato un dirigente politico della sinistra meridionale, a mio giudizio - ripeto - della razza migliore.
La sinistra del Mezzogiorno, i suoi dirigenti ( questa è una riflessione non mia, ma di Massimo D’Alema ) sono sempre stati esposti a due rischi opposti: quello di cadere in un estremismo ideologico, un radicalismo dei principi che tante volte ha finito con il ridurre la sinistra ad un ruolo di pura testimonianza, e - sul fronte opposto - quello di una concretezza, di un gradualismo riformista, che a volte tuttavia è sconfinato nel consociativismo e nelle subalternità politica.
La Torre era un riformista, era un uomo concreto, alieno da ogni ideologismo estremistico, attento ai bisogni reali dei cittadini, dei lavoratori e, nello stesso tempo, era un uomo saldo nei suoi principi, fermo, combattivo, assertore dell’autonomia politica della sinistra, della sua non subalternità.
Possedeva un equilibrio davvero importante; i tratti che insieme formano le qualità migliori di quella sinistra meridionale che ha saputo rappresentare una parte importante della storia del nostro paese.
Per questo, parlare di lui significa - al di là dei ricordi personali - ripercorrere una storia del nostro Paese: una storia della quale la Sicilia è parte viva. Ho sperimentato la profonda umanità e la limpidezza d’animo di Pio La Torre in un momento difficile della mia vita, in un momento nel quale, per le battaglie che andavo conducendo a Palermo, si stava cercando di fare il vuoto intorno a me e di lasciarmi esposto alle ritorsioni dei portatori di quegli interessi che denunciavo come illeciti e illegali.
Da Pio ho avuto solidarietà, affetto e amicizia; da lui - riflettendoci - ho anche avuto una grande lezione di vita. Ricordarlo è per me sempre motivo di profonda emozione ..... . Ricordo il suo straordinario impegno, il suo grande entusiasmo, quando organizzammo la prima manifestazione contro l’installazione dei missili Cruise a Comiso.
Ci tennero buona compagnia, allora, lo scetticismo, la diffidenza, lo scherno di tanti nostri compagni e amici ....... Ma anche l’appassionato sostegno di altri, come Giacomo Cagnes, allora presidente del Cudip di Comiso.
Il risultato di quell’inesauribile fervore fu una larghissima presenza di famiglie, di giovani, di lavoratori, che sventolavano bandiere bianche, rosse, in un clima di convinta e sentita partecipazione e di forte determinazione. Mentre marciavamo alla testa del corteo, Pio mi invitò a guardare alle nostre spalle, quel grande, impetuoso, fiume umano che irrompeva, a confermare l’incrollabile fede del popolo siciliano nei valori della pace, del riscatto civile e sociale; nella liberazione dalla violenza mafiosa. Ci sorreggeva una grande forza interiore, che scaturiva dai valori nei quali credevamo e che ci accomunavano, e di quell’esaltante tensione ripetevamo le parole durante le manifestazioni per la pace in Sicilia o in altre regioni. Le parole di Leopold Senghor, il presidente-poeta del Senegal: "Potranno strappare tutti i fiori, ma non potranno impedire che la primavera ritorni". O le parole di Giovanni XXIII: "La pace è possibile!". Quella stessa tensione ci aiutava a superare il pessimismo razionale di quegli anni, anni in cui si credeva che la deterrenza nucleare, il cosiddetto "equilibrio del terrore", fosse la migliore garanzia per mantenere la pace.
Anni di follia assoluta, in cui si dissertava, tra l’altro, di missili nucleari da crociera, che colpivano - si garantiva - solamente un dato pezzo di territorio: come se si trattasse di cannonate o di colpi di mortaio! La forza interiore che ci animava, che La Torre riconduceva al suo impegno politico e civile e che io collegavo anche alla mia fede religiosa, ci spingeva ad operare per costruire un mondo sempre più giusto, a misura d’uomo, al di là dei blocchi allora esistenti.
Era una battaglia difficile, quasi disperata, ma noi la combattemmo....
Ricordo un altro episodio, legato alla concezione che La Torre aveva della lotta contro la mafia.
Con gli amici delle Acli di Palermo avevamo chiesto ai dirigenti nazionali della Dc di dare un segnale forte della volontà di contrastare la mafia, con l’estromissione di Ciancimino, prima da responsabile degli Enti Locali del partito, poi dal partito stesso.
Questa richiesta non solo raccolse l’indifferenza dei responsabili nazionali e locali della Dc, ma determinò il nostro isolamento.
Solo Pio La Torre ci fu vicino col suo sostegno e attraverso l’unico aiuto che in quel momento poteva darci: parlarne ufficialmente al congresso regionale del suo partito, nel gennaio 1982.
Ne parlò con la sua consueta schiettezza, facendo nomi e cognomi, senza alcuna falsa e omertosa prudenza. E si che era già visibile, in quel 1982, un quadro di potere esclusivo, blindato, privo di remore etiche basato su un’omertà da schieramento portata ad assolvere preventivamente ogni irregolarità: un potere che si sarebbe rivelato durevole ben oltre le sigle dei partiti, le facce dei dirigenti, le mutazioni esteriori della geografia politica.
E con il quale, a guardar bene, anche oggi occorre misurarsi, come ci confermano gli attacchi ciechi e forsennati alla Magistratura, che anche in questi giorni si continua a sferrare.
A voler riflettere sui contenuti dell’azione di Pio La Torre, sulla sua visione politica, è dato cogliere con tutta evidenza un dato di fondo, un elemento di continuità, un solido filo che lega i diversi capitoli di un’esperienza quarantennale. Questo elemento è costituito dalla profonda convinzione, che sorregge tutta l’attività di La Torre, di realizzare un movimento sempre più ampio, capace di incidere nel vivo della realtà sociale.
Questa prospettiva, tenacemente perseguita da Pio La Torre, verrà esaltata da Enrico Berlinguer nel memorabile discorso pronunciato in Piazza Politeama il 2 maggio 1982 per l’estremo saluto al Segretario regionale del suo partito assassinato 48 ore prima: la battaglia per la pace e il disarmo, l’impegno per la cooperazione con i paesi riviereschi, la lotta contro la violenza mafiosa, infine, come fondamento e coronamento di tutte le battaglie, il promovimento e la costruzione di una nuova unità del popolo siciliano, attraverso collaborazioni e intese di tutte le sue forze popolari, di sinistra e democratiche più avanzate, di tutte le sue forze oneste, sane, che aspirano alla pace ed al progresso, che vogliono il rinnovamento.
Pio La Torre nel 1981 ritorna in Sicilia, questa volta, per riprendere le redini del partito che, dopo la fase politica di solidarietà, accusa non poche difficoltà anche in termini elettorali.
Ad apertura del IX congresso dei comunisti siciliani (ricordo di essere stato invitato, unico esterno di area cattolica, a rivolgere dalla tribuna il saluto delle Acli e del mondo cattolico) Pio La Torre condensò in pochi essenziali punti il programma attorno al quale costruire un rinnovato schieramento democratico autonomista: la lotta per la pace, un piano regionale di sviluppo collegato alla battaglia più generale del Mezzogiorno, la battaglia per liberare la Sicilia dal sistema di potere mafioso, l’impegno per il rinnovamento democratico della regione, il decentramento dei poteri e la piena attuazione dello Statuto siciliano.
Proprio su quest’ultimo versante Pio la Torre non si stancò mai di porre con forza il tema della rivendicazione delle attribuzioni assegnate alla Sicilia con lo Statuto di autonomia Speciale e di denunciare una sorta di risorgente centralismo che allora si andava manifestando.
E più volte ribadì la necessità di dare piena attuazione ai diritti statutari del popolo siciliano, pur nella consapevolezza che lo Statuto andava aggiornato per mantenerlo al passo con i tempi e per adeguarlo alle nuove esigenze maturate all’interno della società. "Tutto ciò - affermava Pio La Torre - va affrontato nell’ambito di un più generale disegno di revisione e rinnovamento delle istituzioni repubblicane".
Si potrebbe dire che quella proposizione assume oggi forse un’attualità ancora maggiore.
Pio La Torre, sincero autonomista, vedeva nel consolidamento dell’Autonomia uno dei passaggi per il successo della lotta contro la mafia.
Nella relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia, La torre sosteneva (era il 4 febbraio 1976): "Occorre impostare su basi nuove il rapporto Stato - Regione, facendo dispiegare tutto il potenziale democratico dell’autonomia siciliana, per affrontare i problemi dello sviluppo economico e sociale dell’Isola.
Operando per questi obbiettivi di sviluppo economico e di rinnovamento democratico sarà possibile portare avanti un’azione di profondo risanamento della vita pubblica, dando prestigio ed efficienza a tutti gli organi dello Stato e, in primo luogo, a quelli chiamati a svolgere l’attività di prevenzione e repressione della criminalità organizzata.
Proprio sul fronte antimafia, si deve a La Torre l’introduzione di quella norma giuridica che prefigura la fattispecie della associazione mafiosa e delle misure patrimoniali per colpire gli interessi di Cosa Nostra.
La legge 13 settembre 1982 n° 646, la cosiddetta "Legge Rognoni - La torre", fu un contributo decisivo, di quelli che lasciano il segno e che saranno ricordati per lungo tempo.
Questo contributo - ricorda Franceso Renda - segna una pagina di storia del diritto penale italiano, ma segna anche un momento di svolta del costume politico e sociale nel Paese.
Una svolta, anche, nella stessa direzione politica generale delle istituzioni.
In conseguenza di quella nuova norma giuridica, secondo la quale la associazione mafiosa, vista anche nei suoi reconditi santuari economico - finanziari, costituisce una apposita figura di reato, prima non prevista dal codice penale italiano, in conseguenza di quella norma - dicevo - la civiltà del diritto nazionale e internazionale ha fatto un salto di qualità ed ha reso possibile ed efficace la perseguibilità non solo morale e politica, ma anche penale, della mafia.
In forza della ipotesi di associazione per delinquere semplice, formulata nel codice penale italiano, la mafia non era reato e non era neppure associazione criminosa (a sostegno vi era tutta una imponente letteratura, non solo giudiziaria, ma anche sociologica, storica e persino letteraria).
Ne seguivano le frequenti e inquietanti assoluzioni per insufficienza di prove.
Ma se i processi di mafia si concludevano in questo modo non era affatto per la invulnerabilità della mafia, ma per la inadeguatezza della legislazione penale fino ad allora vigente.
Per effetto della "Legge Rognoni - La Torre" è stata invece creata la nuova ipotesi di reata per associazione a delinquere di stampo mafioso, e la giustizia è stata quindi armata di nuovi strumenti per combattere o quanto meno fronteggiare quel genere assai diffuso di delinquenza organizzata.
Anche per questo - cari amici - Pio è stato ucciso.
Noi dobbiamo respingere l’idea che in fondo era inevitabile che venisse ucciso, che non si poteva fare nulla: questa idea sarebbe il segno della sconfitta della società di fronte alla mafia e farebbe della mafia un fenomeno che non può essere combattuto, se non pagando con la vita. Dobbiamo rifiutare di piegarci a questa logica.
Soltanto da poco, a seguito delle ammissioni di un nuovo collaboratore di giustizia, abbiamo appreso i nomi degli assassini. Mistero sui nomi dei mandanti. Mandanti che ci sono stati, e sono stati mandanti "eccellenti".
Nota giustamente Luciano Violante che la mafia non fa mai da sola questo tipo di azioni, non c’è mai unicamente un interesse mafioso dietro questo genere di crimini.
Deve essere la politica a svelare quale sia stato questo interesse "altro"; deve essere la politica a trovare il coraggio di guardare dentro se stessa.
Credo anch’io che una vera nuova Repubblica possa nascere solo quando avremo individuato ed emarginato quei mandanti. Finchè saranno dentro il nostro sistema, attraverso loro rappresentanti, delegati, portaborse, ex autisti sarà difficile uscire da una transizione che è già troppo lunga per non essere preoccupante.
L’elaborazione politica e, forse ancor di più, l’azione politica di Pio La Torre costituiscono sicuramente una grande lezione e un patrimonio di idealità e di impegno che dobbiamo saper raccogliere e tradurre in atti coerenti con l’esigenza di un profondo rinnovamento delle istituzioni regionali, di un avanzamento della società siciliana, della liberazione dalla ipoteca mafiosa.
Questo ci ha insegnato Pio La Torre e, assieme a lui, i tanti magistrati, politici, servitori dello Stato che hanno speso la loro vita, e molti continuano a spenderla tutt’oggo, per un ideale di giustizia e di progresso".
ARMANDO SORRENTINO: "Signor Ministro, signor Presidente, signore e signori, io debbo dire che ho conosciuto Pio La Torre, prima attraverso le carte processuali che non per frequentazione personale. L’ho conosciuto attraverso tante carte, visto che in 9 anni di istruttoria se ne raccolsero e poi se ne sono prodotte nel corso dei dibattimenti.
Ma già dalle prime battute e dalle prime letture cercai di entrare nel personaggio politico, visto che nei tanti faldoni processuali vi erano parecchi suoi scritti e molti interventi all’interno del partito o nei luoghi istituzionali soprattutto degli ultimi anni; e gli ultimi anni di La Torre credo segnino una svolta nella sua concezione politica, anche nella sua interpretazione dello Stato a quel momento dato.
Devo dire che ho avuto anche un po’ di pudore perché temo di averlo conosciuto intimamente, attraverso le carte, in quanto si raccolsero, nell’ultima fase dell’istruttoria, i bigliettini dei controlli dei servizi segreti che lo tennero sotto costante osservazione per 25 - 30 anni circa non ricavandone alcunchè.
Eravamo in un altro momento storico..........
(INTERRUZIONE PER CAMBIO CASSETTA DI REGISTRAZIONE)
......e ciò si è visto non solo con gli occhi di oggi ma anche con la proiezione di allora, non può che lasciare spazio a riflessioni.
Le riflessioni sono a riguardo di un uomo che fino ad un certo punto ed io lo dico molto laicamente, si pensò fosse un uomo politico di serie B, insomma un dirigente locale, di rilievo per carità, ma la cui statura si muoveva entro un certo ambito.
Ma dalle carte che ho letto di La Torre, attraverso il processo, a me pare che fosse uno degli uomini politici dotato di maggiore lucidità, che guardava, riusciva a vedere bene al di là dei ristretti ambiti in cui spesso si muoveva la politica italiana.
La Torre, è stato molto ben osservato dai relatori precedenti, ha una cultura della lotta sociale alla mafia; è una cultura la più importante delle culture, indubbiamente, lo fu segnatamente in un’epoca in Sicilia di trapasso dal dopoguerra in avanti.
Notizie di questi giorni potrebbero far riaprire luce non soltanto sulla lotta contadina o su quando la mafia fu messa parzialmente tra parentesi, ma potrebbero far riaprire tutto un discorso su quelli che sono i segreti di questa Repubblica. Diceva bene Capitummino: "Se realmente conosciamo tutto ciò che è avvenuto possiamo costruire veramente qualcosa di nuovo spingendoci avanti verso il progresso".
Non ritengo che La Torre fino al ’75, intorno alla metà degli anni 70, avesse una concezione, quella della lotta alla mafia come antiStato, lo Stato e l’antiStato.
Dalla lettura e anche da quelli che sono state alcune parziali emergenze processuali succedutesi negli anni lunghi del processo, credo che nel momento in cui La Torre studia e firma la relazione di minoranza del ’76 della Commissione antimafia compie un salto qualitativo acquisendo e dimostrando di avere acquisito dei parametri interpretativi della realtà circostante, sicuramente evolutissimi, che credo poche politici allora avessero.
Basti pensare che nel ’75 egli dice - parlando del fenomeno mafioso andando al di là di quelli che sono i paradigmi tradizionali di intervento critico sulla mafia - "Ci siamo domandati come mai Luciano Liggio riesce a scappare qualche giorno prima della strage di Piazza Fontana e che rapporti ci sono fra Liggio e il gruppo eversivo di destra?" .
Disegna poi tutto un quadro, e non lo disegna perfettamente perché gli elementi a disposizione non penso fossero tanti, ma dai quei pochi elementi, che la Commissione riesce ad acquisire, disegna i movimenti finanziari della mafia in Sicilia e assegna un ruolo preponderante e determinante a Mandalari; e verrà alla luce, alla ribalta delle cronache soltanto alcuni anni or sono, con molto anticipo sui temi che Pio La Torre matura e sviluppa fino al momento della strage e perché? Ucciso Terranova egli assegna un ruolo ben preciso nella dinamica nazionale ed internazionale a Michele Sindona; dal ’75 in poi io credo che La Torre abbia ritenuto possibile e verosimile l’esistenza di una sorta minore di Stato parallelo, abbandona la concezione dello Stato - antiStato ed approda ad altri percorsi di riflessione e di denuncia, ma di azione politica, perché l’azione politica che poi in ultimo sviluppa in maniera eccezionale a Comiso con la lotta per la pace e una lotta politica di ampissimo respiro ne hanno accennato i processi. Questi hanno accertato una verità, ma io mi permetto osservare che riguardo certi processi che investono questioni politico - istituzionali delicatissime, esiste una verità processuale e una verità sostanziale.
Una certa verità processuale è stata acquisita ed io lo ritengo comunque un fatto positivo e non solo per il partito che si costituì parte civile ma perché La Torre è un patrimonio dell’intera collettività non solo isolana ma anche nazionale; e tuttavia però esiste una verità sostanziale che va ancora acquisita, ricercata e percorsa abbandonando dei binari tradizionali di intervento giurisprudenziale, giurisdizionale per meglio dire, che hanno fatto il loro tempo.
Non è per l’emergenza di oggi che io parlo così; perché la Commissione Antimafia ha desecretato su Portella e quindi ciò potrebbe preludere ad ulteriori possibili, auspicabili desecretazioni. Ma perché si dà giustizia sul piano politico a La Torre solo se lo si inquadra quale figura di rilievo eccezionale, perché intuisce che quelli sono, dal’78 all’82, anni in cui si creano nuovi assetti di potere, che ubbidiscono anche a delle logiche ultra regionali se non proprio ultra nazionali.
La sua visione della politica internazionale poi si coaugula nella battaglia per la pace, è una visione che ha un connotato etico elevatissimo ed un connotato politico ancora tutto da studiare".
ANTONELLO CRACOLICI: " Il tempo scorre e contribuisce a rendere meno lacerante, se bene resti ancora sanguinante, la ferita aperta da quel terribile 30/4/1982.
Le parole della memoria servono a ridare forma al ricordo; qui ricordiamo due compagni che hanno segnato la terribile storia di questa terra, ma la memoria appartiene ai testimoni di quel tempo che resta tra i più drammatici della storia siciliana.
Oggi oltre 1/3 del popolo siciliano non ha vissuto quella ferita, o perché non era ancora nata, o perché non aveva un età sufficiente che gli consentisse di scolpire nella propria mente la storia di quegli anni ed è a loro che abbiamo il dovere di fare riferimento, non per essere coloro che tramandano ad altre generazioni i segni di un tempo passato, ma per dare a valori quali libertà, democrazia, giustizia, il senso e il significato più alto per cui vale la pena ancora di battersi, anche in nome di chi ha perso, per quei valori, di chi ha sacrificato la propria vita, la propria esistenza.
Noi che siamo coloro, se pur nelle diverse generazioni, che hanno vissuto e assistito a quella guerra dichiarata contro lo Stato, lo stesso Stato che per lungo tempo non ha voluto combattere quella guerra alla mafia, possiamo farlo perché siamo stati testimoni e allo stesso tempo protagonisti di una storia vissuta in cui la Sicilia e il mondo che hanno conosciuto Pio e Rosario e tanti altri morti della democrazia è comunque cambiata, è un mondo nuovo, diverso, forse più complesso anche grazie a quella battaglia. Comiso era il simbolo di un mondo diviso, di un’Europa che era solamente un continente geografico e non politico.
Oggi l’Europa è l’orizzonte politico, economico e culturale per tutti noi, giovani e vecchi.
La mafia era un’organizzazione il cui grado di conoscenza era testimoniato esclusivamente da relazioni di minoranza, non era senso comune ma non era consapevolezza della grande maggioranza del popolo. Oggi pericolosi latitanti sono in carcere, il sistema di connivenza, alcuni di essi sono oggetti di accertamento processuali; oggi la mafia è stata colpita, non ancora definitivamente sconfitta ma profondamente colpita.
Noi conosciamo tanti esecutori di delitti, conosciamo le cosche che hanno costituito l’esercito della mafia, ma ancora non sappiamo chi e perché ha armato quelle mani, non ci stancheremo mai di chiederlo. Il 30 aprile per i democratici siciliani resta la nostra "Plasa de majo"; noi non smetteremo mai di essere grati all’azione di quanti tra le forze dell’ordine, tra quanti nella Magistratura hanno contribuito a squarciare pezzi di verità, non smetteremo mai di chiedere loro di andare avanti e di essere a loro fianco per poterci dare verità e giustizia sui tanti chi e perché hanno insanguinato le nostre strade, sui tanti chi e perché hanno minato la democrazia italiana. E’ un mondo nuovo perché abbiamo e stiamo contribuendo ad affermare valori positivi là dove prima avevano il sopravvento quelli negativi, stiamo contribuendo a ridare a questo paese fiducia in sé stesso, stiamo contribuendo, nel governo di tante città, a ricostruire un’appartenenza positiva alla comunità, una cultura del fare che qui in Sicilia e in questa difficile provincia vuol dire rompere decenni di male affare, di afasia, di attesa.
Pio amava ripetere che la Sicilia aveva dinanzi a sé quattro grandi sfide: la pace, come orizzonte entro cui dare la centralità positiva alla nostra regione come cuore del Mediterraneo; la lotta alla mafia, come occasione di rinnovo delle classi dirigenti liberando questa terra dai ricatti e dai torbidi intrecci con l’economia e la politica; lo sviluppo, come condizione per costruire un’identità positiva del popolo siciliano liberandalo dalla schiavitù, dall’assistenzialismo e dalla lipendenza; il lavoro, come grande prospettiva di libertà e di liberazione.
Quelle sfide vivono ancora di una straordinaria attualità pur in un contesto profondamente mutato entro cui pace vuol dire cooperazione con i paesi più deboli economicamente; lotta alla mafia, come capacità di spezzare quelle condizioni di connivenza che hanno reso potente Cosa Nostra con i forti intrecci con la politica, con le istituzioni, riducendo Cosa Nostra in una organizzazione criminale e comunque circoscritta alla sfera della comune criminalità; lo sviluppo e il lavoro restano ancora le grandi scommesse non ancora fino in fondo assunte come sfide permanenti delle attuali classi dirigenti pur in presenza di un sistema innovato sia dal punto di vista tecnologico che sul terreno del cambiamento della qualità dei lavori.
Noi siamo figli di una terra che conosce la sofferenza, ma ha saputo trovare, tra i suoi stessi figli, la forza di combattere, di creare un circuito virtuoso di fiducia, di capacità di sporcarsi le mani in quella voglia straordinaria del fare. Tutto ciò è rappresentato da tanti Sindaci e amministratori che hanno saputo ridare dignità e prestigio alle istituzioni, ma sento che potranno farcela solo se riusciremo a dare a questa terra speranza e fiducia sul grande obbiettivo del lavoro e dello sviluppo, la grande attualità della lotta per la libertà che Pio La Torre, oltre 16 anni fa, iniziò da Palermo, condusse in Sicilia e nel paese. Palermo, la Sicilia e come tutto il mezzogiorno sono pronti a rimboccarsi le maniche, sono fiduciosi nella prospettiva che alle soglie del nuovo millenio si sta realizzando un’Europa unita ed una moneta unica.
Io mi aspetto che dopo la straordinaria capacità che ha avuto questo governo di rischiare sé stesso e la propria credibilità in nome dell’Europa, si abbia la stessa forza, lo stesso coraggio nel porsi l’obbiettivo del lavoro e dello sviluppo; mi aspetto, dal Governo dell’Ulivo, la stessa parola con cui Romano Prodi ha esordito due anni fa all’indomani della straordinaria vittoria dell’Ulivo quando disse: "Se non portiamo l’Italia in Europa sono pronto a dimettermi". Forse ancora più difficile centrare l’obbiettivo e ancora più difficile centrare l’obbiettivo dell’Europa, ma non per questo non dobbiamo metterci in discussione, scommettere fino all’ultimo per quello che resta il tema di rinascita.
Non sono mai stato tra quelli che schematicamente ha indicato l’obbiettivo che la mafia si sconfigge con il lavoro; guai a noi se cadessimo in questa semplificazione. La mafia si può sconfiggere colpendo i suoi traffici, i suoi patrimoni, i suoi intrecci, ma la classe dirigente sarà credibile nel combattere la mafia se riusciremo a trovare un sistema che rigeneri speranza per chi il lavoro non ce l’ha e rischia di non averlo mai.
Vinceremo la sfida e lì daremo ragione a Pio in quelle grandi questioni che lanciava ben 16 anni fa.
Ho voluto così ricordare Pio La Torre con il suo stile, quello di un uomo semplice che ha lottato per dare dignità a questo popolo e ho voluto ricordarlo nella presenza del Ministro Napolitano ponendo con forza la questione sociale del mezzogiorno.
Nessuno di noi chiederà più provvedimenti di emergenza e chi lo farà è nemico dei siciliani. Ma la sfida, ma la Sicilia, il mezzogiorno, Palermo sono più esigenti nei confronti di un governo che ha rigenerato tante speranze, sono esigenti per affermare la frontiera di diritti, quali la sicurezza per chi vuole fare imprese e per chi vuole lavorare.
Vede Ministro per lunghi anni abbiamo dovuto difenderci dal pericolo di un sicilianismo che assomigliava molto a chi giustificava la mafia, ora c’è una nuova Sicilia e vogliamo riscoprire finalmente l’essere orgogliosamente siciliani, uomini e donne orgogliosi perché siciliani e perché uomini e donne liberi".
GIORGIO NAPOLITANO: " Sono io che ringrazio Parisi e il Centro studi ed iniziative culturali Pio La Torre per l’occasione che mi ha dato. Io non ne avevo avuto in precedenza, pur essendo passati tanti anni e ho colto questa possibilità desiderando dare un contributo al ricordo di Pio La Torre che ho conosciuto molto bene, gli sono stato molto vicino, gli ho voluto bene ed era difficile non volergliene.
Ho avuto grande stima per la sua passione e intelligenza politica, per la sua onestà e vorrei dire anche bontà di uomo, di persona e inizierò con una testimonianza personale rievocando due momenti.
Al primo vi si è già riferito Gianni Parisi; quello dell’estate 1981. Toccava a me dalla responsabilità che avevo allora, fare le consultazioni e istruire la proposta per il Segretario regionale del Pc in Sicilia; non avevo alcuna opinione precostituita, non avevo da sostenere, tanto meno da imporre una candidatura piuttosto che un’altra e fui colpito e condizionato dalla straordinaria determinazione di Pio La Torre nel chiedere di poter tornare a Palermo, di poter tornare in Sicilia; come ha detto Gianni Parisi di poter tornare a dirigere in prima linea.
Si sentiva come chiamato ad una prova nell’offrirsi come Segretario regionale, ne faceva un punto d’onore di riassumere un incarico che aveva avuto nel passato e che aveva lasciato a malincuore; e io, quindi, incontrai dirigenti della Federazione, dirigenti regionali, discussi con loro.
Ci fù un incontro a Capo D’Orlando; ero lì nell’estate del 1981 per qualche giorno di vacanza e vennero gentilmente a trovarmi, credo che fossero i membri della Segreteria regionale, e prendemmo in esame più di un’ipotesi, non solo quella di Pio e c’era incertezza si pesavano i pro e i contro dell’una o dell’altra scelta.
E quello che era singolare è come, dopo queste consultazioni, fossi atteso da un Pio La Torre trepidante come se fosse alle prime armi, un ragazzo che era stato investito da compiti di direzione nazionale; era un parlamentare che aveva un peso, era nella Segreteria del suo partito, ma era trepidante in attesa di una decisione che lui, con tutte le sue forze, voleva fosse quella del ritorno a Segretario regionale.
Ho detto che si sentiva come chiamato ad una prova, in modo particolare sul fronte della lotta contro la mafia; e poi, naturalmente, mi domandai tanto tempo dopo, se noi che avemmo una parte nell’assecondare la sua richiesta nel prendere una decisione, dovessimo essere presi dallo scrupolo. Naturalmente nessuno di noi poteva pensare a un destino tragico o probabilmente se qualcuno avesse messo nel conto anche quell’esito era proprio Pio.
Il secondo momento risale al 30 aprile 1982, quel giorno ero a New York, mi trovavo lì per una visita di parecchi giorni per conferenze e dibattiti in diverse città. Ero a New York in attesa di un incontro in una delle più prestigiose istituzioni politico - culturali americane. Appena arrivai nella sede di quella istituzione fui avvicinato dal rappresentante del Consolato italiano che mi disse: "Sono stati uccisi Pio La Torre e Rosario Di Salvo"; questo nome lo voglio ricordare anch’io, toccandomi da quando ho questa funzione di governo di ricordare caduti illustri nella lotta contro la mafia, contro la criminalità, mi premuro perché è giusto ricordare i nomi, i sacrifici dei caduti meno illustri.
Quando mi si disse quello che era accaduto c’erano già le persone raccolte perché dovevo pronunciare un breve discorso, poi rispondere alle domande e partecipare ad un dibattito, chiesi di poter almeno telefonare a Roma e telefonai ricevendo la conferma che erano stati massacrati.
Dopodichè feci quello che dovevo. Al mio ritorno a Roma ricevetti una lettera che ho conservato, una lettera del Direttore di quella istituzione in cui era scritto: "Abbiamo tutti condiviso il suo personale dolore nell’apprendere la notizia proprio nel momento in cui entrava nell’edificio e abbiamo provato rispetto per la sua disponibilità a tener fermo, nonostante ciò, il suo programma".
Io, in effetti, iniziai il mio discorso raccontando chi fosse Pio La Torre a questi interlocutori americani raccontando come avesse sfidato la criminalità in nome dei principi di regolarità e pacifica connivenza civile e in difesa delle libertà e delle istituzioni democratiche.
La lettera continuava: "Possiamo pensarla diversamente su aspetti importanti di linea politica, ma io ho sentito, e come me molti altri quel giorno, che la sua dedizione ai principi democratici e la sua convinzione dell’importanza del libero dibattito per la formazione delle scelte politiche costituissero un valore che ci è comune."
Era un riconoscimento di Pio La Torre, non meno che mio, ai principi democratici, un riconoscimento significativo da parte di ambienti che non conoscevano ancora abbastanza il partito di Pio e conservavano verso di esso, verso il suo impegno democratico antiche riserve.
Che cosa ci ha lasciato Pio? Intanto, voglio dire, almeno in parte è stata fatta giustizia, entro i limiti che sono stati ricordati, ma è stato importante che ci fosse quella sentenza, che ci fosse quella condanna e credo che ne vada dato merito a chi ha assunto quell’incarico, a chi ha combattuto in sede giudiziaria e a tutti quanti abbiano sostenuto quella battaglia di verità e di giustizia.
Ma Pio ci ha lasciato innanzitutto, bisogna ben dirlo, uno straordinario esempio di moralità e combattività che in modi diversi ci hanno dato tanti, che hanno messo a rischio e sacrificato la loro vita nella lotta per la democrazia e per la legge nella lotta contro la criminalità organizzata, contro la mafia, uomini politici, uomini delle istituzioni, rappresentanti delle forze dell’ordine, Magistrati, da Gaetano Costa a Cesare Terranova, a Rocco Chinnici e mi scuso per non ricordare altri nomi.
Fortissimo l’esempio di moralità e combattività di Pio che si era rispecchiato in quella sua determinazione, in quella sua volontà di tornare in prima linea a Palermo.
Poi, ha detto bene Gianni Parisi e altri, l’ispirazione unitaria, specificamente per quel che riguarda la lotta contro la mafia, nel senso che dovesse essere un grande movimento quello della lotta contro la mafia, un grande movimento di opinione, un grande movimento di popolo, un grande movimento di cultura, un fatto di mobilitazione sociale, un fatto di effettiva partecipazione di tanti e di tutte le forze politiche che così intendessero dare prova della loro coerenza democratica. Anche collocate nelle posizioni e negli schieramenti più diversi, mai ombre di settarismo, mai ombre di esclusivismo nel modo di concepire la lotta contro la mafia che fù proprio di Pio.
Ma Pio ci ha lasciato un contributo di grande importanza, a una svolta nella lotta contro la mafia, e specificamente nella legislazione antimafia, con innovazioni che hanno dato un’impronta tutt’altro che cancellata ma più che mai viva ed attuale.
Aveva presentato già da qualche tempo, lo sappiamo tutti, la sua proposta di legge, poi la sua proposta di legge fù avviata alla discussione con tempi non rapidissimi, subì un’accelerazione dopo l’uccisione di Pio e poi fù votata fulmineamente dopo l’uccisione del Generale Dalla Chiesa.
Il Generale Dalla Chiesa viene ucciso il 3 settembre 1982, la legge è approvata il 13 settembre 1982; fù la legge in cui diede un contributo concreto e impegnato il Ministro degli Interni dell’epoca l’On. Rognoni, tanto che poi la legge porta insieme i due nomi di Pio La Torre che fù il primo ideatore ed il Ministro Rognoni.
Quella legge ha dettato alcune linee che rimangono tutt’ora essenziali e data questa definizione, che è passata alla storia come il 416 bis, questa definizione del reato di partecipazione ad associazioni di stampo mafioso. E’ di qualche settimana fa la conclusione, nel Consiglio dei Ministri degli affari internazionali e di giustizia dell’Unione Europea, di un progetto comune che fa sua questa definizione a distanza di più di 15 anni, ora mai diventa patrimonio della cultura politica europea e dell’impegno dei governi dell’Unione. Questa identificazione di una figura di reato che fù introdotta, possiamo dire, grazie alla intuizione anticipatrice di Pio La Torre in un contesto drammaticamente caratterizzato da fatti storici di insediamento della mafia, della criminalità organizzata e l’intuizione della misura di prevenzione di carattere patrimoniale.
La mafia va combattuta nella sua capacità di accumulazione, nella sua potenza economica e finanziaria.
Ma io vorrei dire una parola su un aspetto: Pio La Torre avanzava una proposta di quella serietà, di quella complessità, di quella finezza giuridica essendo un deputato della opposizione ed ecco che io credo che questo sia un contributo che oggi dovrebbe essere sottolineato di più.
Insomma io ho fatto per una vita opposizione, ho accumulato una certa conoscenza tecnica e politica dell’argomento, ma una opposizione degna di questo nome, in un Parlamento democratico, si misura sulla sua capacità propositiva, sulla sua capacità anche in alternativa alla posizione del governo e della maggioranza; ma quando, mi sia consentita questa battuta, ogni giorno di continuo, assai spesso trovandomi di fronte a fatti gravi di criminalità organizzata, potete immagginare quale assillo io abbia per la situazione di Napoli, e poi mi ritrovo di fronte soltanto a dichiarazioni del tipo: "Lo Stato è assente!", "Lo Stato è latitante!", che cosa si fa?, che cosa non si fa?, ci vogliono leggi eccezionali.
Ma queste grida, leggittime figuriamoci, non ci fanno fare nemmeno mezzo passo avanti. Ci sono delle proposte da fare, allora che si facciano; il governo ed io per esso non chiediamo di meglio che misurarci con proposte che abbiano almeno 1/10 della serietà che avevano le proposte di Pio La Torre quando presentò quel progetto di legge in Parlamento.
Naturalmente noi non dobbiamo solo limitarci a celebrare questa eredità di Pio La Torre; l’intento, anche di questo incontro, era quello di fare un qualche bilancio e di guardare avanti.
Io dirò poco perché il tema si presterebbe a molte semplificazioni, è bene tenerlo entro certi limiti, almeno io ho il senso dei miei limiti, e anche sento di dover affrontare la questione sotto il profilo della mia responsabilità concreta di oggi.
I risultati che si sono realizzati nel corso di tanti anni sono molto notevoli e parlo anche dei risultati di quest’ultimo biennio e il merito di questi risultati va a tutte le componenti di un movimento per la lotta contro la mafia, va innanzitutto alle forze dell’ordine, alle forze dello Stato, alla polizia di Stato, all’arma dei carabinieri, alla Guardia di Finanza, alla Magistratura; i risultati sono stati notevoli anche per quello che riguarda la cattura dei latitanti, certo ce ne sono ancora, ma mai come da due anni a questa parte ne sono stati catturati di importantissimi e ovviamente la cattura di questi latitanti di spicco, esponenti di primo piano di Cosa Nostra, ha significato severamente colpire i vertici dell’organizzazione, ha significato colpire profondamente una strategia o un’ala di Cosa Nostra.
Questo è stato molto rilevante. Si dice del vero, è stata colpita l’ala militarista, la strategia stragista, la linea dell’attacco sanguinario e frontale allo Stato, ai rappresentanti dello Stato e alle istituzioni democratiche; e però non è tutto. Ma guai a sottovalutare il valore di questi successi, non è da darsi definitivamente accantonata quella linea d’attacco, può riprodursi, ma intanto si sono create condizioni molto più difficili perché quella linea possa essere ritentata, possa essere riproposta.
E’ stata sconfitta la mafia? Credo che queste siano delle frasi che non hanno molto senso; allargando un tantino il discorso a tutte le società europee, parliamo almeno per l’Europa, il discorso va anche molto al di là dei confini dell’unione europea, in queste società ricche e aperte l’Occidente europeo, le istituzioni democratiche, le forze dello Stato sempre più congiuntamente saranno chiamate a scontrarsi in modo permanente con minacce a sfide criminali; non sarà mai vinta una volta per tutte, né in Italia né altrove, la lotta contro la criminalità organizzata. Ma certamente possono essere conseguiti risultati tali da ridurne la capacità di influenza, la capacità di incidenza sullo sviluppo della nostra società e questo deve essere il nostro obbiettivo. E allora dobbiamo concentrare l’accento su quelle che sono oggi le dimensioni essenziali per un ulteriore sviluppo dell’impegno portato avanti da Pio La Torre.
Bisogna che mai più sia necessario subire tragici colpi come quelli o come quelli del maggio 1992, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli uomini e le donne della loro scorta, che sia mai più necessario subire tragici colpi come quelli per rompere gli indugi e decidere, perché al governo e al Parlamento tocca decidere.
E che però tocca decidere non in chiave emergenziale, non attraverso provvedimenti troppo frammentati convulsi e che poi introducono delle distorsioni nel nostro ordinamento; bisogna decidere dei provvedimenti anche nuovi di carettere normativo, che diano respiro, sistematicità e ordinarietà all’azione di contrasto della criminalità organizzata nella tutela di tutti i principi di garanzia che noi siamo tenuti a rispettare e dobbiamo con convinzione salvaguardare.
Vedete dal 1982 al 1997, sulla base della legge Rognoni-La Torre, sono stati sequestrati beni mafiosi in provincia di Palermo per 1000 miliardi; non ci sarebbe stato nulla senza quella legge. Gli ostacoli sono molti, ci vuole un fortissimo impulso politico e bisogna riuscire a sciogliere i nodi e trovare delle soluzioni per superare quegli ostacoli che rendono molto lungo e arduo il passaggio dal sequestro alla confisca, che rendono molto difficile la questione dei beni confiscati. Già si sono fatti passi in avanti con la legge del marzo ‘96 per restituire alla comunità civile e all’uso pubblico e sociale, i patrimoni confiscati alla mafia; bisogna andare avanti con molta serietà su questa strada e se davvero vogliamo fare un balzo in avanti nella lotta contro la mafia, al di là dei risultati ottenuti, dobbiamo riuscire a colpire insieme le fonti di profitto che sono ancora cospique per le organizzazioni criminali, i patrimoni accumulati e il reinvestimento attraverso il riciclaggio dei mezzi finanziari acquisiti dalla mafia.
Credo che questa debba considerarsi la nostra frontiera di oggi.
Sulla necessità di non abbassare la guardia contro la mafia dovrebbe esserci concordanza assoluta; io credo che ci voglia molta prudenza nel segnare confini tra chi non abbassa la guardia e chi tenda ad abbassarla, perché sono confini delicati e sono confini essenziali e quindi bisogna, se si avverte qualche pericolo, essere circostanziati, soprattutto perché possano, le forze politiche, assumersi le loro responsabilità ciascuno per suo conto.
Io mi auguro solidalmente e in ogni caso di fronte a elementi concreti su cui confrontarsi e intervenire che questa chiarificazione si può produrre per quello che riguarda il governo, di cui mi onoro di far parte; non c’è stato mai un momento in cui si è verificata una tendenza o tentazioni di abbassare la guardia; ma non abbassare la guardia e portare più avanti questo impegno non significa non affrontare i problemi che sono insorti e non ritornare anche su meccanismi o normative del passato che non risultino più efficaci o che abbiano avuto effetti distorsivi da superare.
E questo è ciò che noi stiamo facendo; naturalmente so che ci sono state delle discussioni anche in Parlamento ad esempio a proposito di una direttiva che, di intesa con il governo, emanata insieme con altre per il coordinamento delle forze di polizia e specificamente per l’organizzazione dei servizi di polizia giudiziaria; ma la convinzione che ha avuto il conforto di un voto in Parlamento è molto chiara in me e nei miei colleghi di governo; quella direttiva potrà rendere più e non meno efficace l’azione di contrasto della criminalità organizzata, l’azione di contrasto della mafia, nello stesso tempo consentendo il superamento di sovrapposizioni e anche sconfinamenti da parte di singoli organismi e ristabilendo la maggiore chiarezza nei rapporti tra i poteri e gli organi dello Stato.
E infine il passato e il presente; sul passato bisogna gettare luce nella maggior misura possibile, la Commissione antimafia ha deciso di desecretare i suoi stessi atti relativi alla Portella della Ginestra, credo in realtà si avesse una buona cognizione di quegli atti almeno da parte di quanti hanno lavorato su quei problemi; è stato chiesto al governo di desecretare atti che siano nella disponibilità dei Ministeri o di altri organismi e non dubito che il Presidente del Consiglio accoglierà questa richiesta. Questa è una richiesta che si può esaudire, innanzitutto, verificando se ci siano le documentazioni disponibili presso ministeri o altri organismi facenti capo alla responsabilità del governo.
Ecco, io vorrei dire con molta schiettezza questo. Io penso che molte verità sostanziali, accettando la distinzione, che molte verità sostanziali si siano acquisite; non si parte davvero da zero, ma per collaborazioni e maggiore impulso ad esplorare tutto quello che può oggi ancora utilmente esplorarsi.
Ma già, sul finire della passata legislatura, la Commissione stragi, fondamentale per l’accertamento di queste verità era arrivata a conclusioni molto significative, a verità storiche in questo senso sostanziali; e quello che è giusto chiedere a noi stessi, quello che è giusto chiedere al governo è il maggiore impegno di trasparenza nel presente e per il futuro, trasparenza e azione di tutti i corpi dello Stato, trasparenza nel funzionamento della macchina pubblica in tutte le sue articolazioni, trasparenza sia a servizio della buona amministrazione e quindi nel pieno riconoscimento dei diritti dei cittadini, sia nel senso del perseguimento di ogni causa di verità e di giustizia.
Io credo che è sempre molto difficile dire queste cose, ma io credo che Pio La Torre, con l’entusiasmo di cui poi era capace, avrebbe vissuto così questi ultimi tempi, i risultati che si sono ottenuti nella lotta contro la mafia, gli impegni che stiamo portando avanti ed è comunque anche con il conforto del suo ricordo che noi questi impegni li porteremo avanti".
Il Presidente
Gianni Parisi

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