La trattativa ci fu ma “a fin di bene”
L'analisi | 8 febbraio 2024
Nino Di Matteo e Saverio Lodato hanno scritto un libro dal titolo “Il colpo di spugna”, sottotitolo “Trattativa Stato-Mafia, Il processo che non si doveva fare”, edito da “Fuoriscena”.
È un libro di piccole dimensioni ma dai contenuti tanto interessanti quanto inquietanti, soprattutto per tutti coloro che non hanno vissuto – per convincimento o per distrazione – tutte le vicende che hanno fatto da corollario al processo sulla trattativa Stato-Mafia.
Il libro costituisce un prezioso documento che testimonia, con dovizia di particolari e con assoluta puntualità, non solo le fasi del processo nei suoi tre gradi di giudizio, ma anche – cosa molto rilevante – tutto quanto è avvenuto fuori dal processo sia durante sia al termine della sua celebrazione. Ancora oggi ne parliamo animosamente non riuscendo a metabolizzare quella sentenza della Corte di assise di appello che, con un verdetto assolutorio, confermato dalla Cassazione, ha dato l’imprimatur dell’innocenza e dell’onore ai vari personaggi imputati per diverse fattispecie di reato.
Sarà pure una coincidenza – o forse no – ma la scelta della casa editrice “Fuoriscena”, mi sembra assolutamente coerente con i temi dibattuti nel libro che si presenta come una sorta d’intervista del giornalista-scrittore Saverio Lodato al pm Nino Di Matteo.
“Tutti assolti per non avere commesso il fatto”. Così ha sentenziato la Corte.
A questo punto il cittadino comune – che più degli altri è “fuori scena” non si pone altre domande. Per lui va bene così. Ma, attenzione, avverte Nino Di Matteo: le sentenze si devono rispettare ma si possono criticare.
Insomma, andando al merito della questione, il dato cruciale di questa sentenza è che si poteva trattare con la mafia e si potrà continuare a farlo ove ci fosse bisogno.
Ma come? Si stupisce il cittadino comune. Com’è possibile che lo Stato scenda a patti con personaggi che occupano posti apprezzabili nelle istituzioni? Attenzione, lo Stato lo fa a fin di bene, per il bene dei cittadini, per fare funzionare meglio le città; così da poter contare sulle garanzie offerte da Cosa nostra che si vedrebbe libera di potere controllare il territorio e decidere le strategie utili alle consorterie mafiose.
Ebbene questa motivazione sembra una follia, di una banalità inconcepibile. È inconcepibile che venga scritta da magistrati con anni di esperienza. Tutto lascia pensare che si tratta di un processo costruito su misura idoneo a dare un colpo di spugna per togliere dall’imbarazzo pezzi delle istituzioni.
La questione più singolare riguarda il fatto che i giudici d’appello riconoscono senza dubbio alcuno il verificarsi di alcuni fatti molto gravi; proprio quei fatti che i giudici di prime cure avevano riconosciuti come reati ma che i giudici d’appello, pur ammettendo il loro verificarsi, ritengono che non costituiscano reato.
Gli autori del libro non si sottraggono a una elencazione di quei fatti oggetto della disputa. “Il ricatto mafioso nei confronti del governo”, “l’apertura di un dialogo a distanza tra un pezzo di Stato e Cosa Nostra”, “le concessioni alla cosiddetta ala moderata”, “i segnali di distensione per rafforzare la trattativa in corso”, “la consapevolezza dei vertici delle massime istituzioni politiche della riconducibilità delle bombe del 1993 alla pretesa della mafia di ottenere un alleggerimento del trattamento carcerario dei detenuti”.
Ovviamente non ho la presunzione di commentare le sentenze del processo sulla trattativa; ma proprio per questo posso parlarne come un libero cittadino che, dovendosi porre domande sul processo, prende a prestito il pensiero e le osservazioni di Nino Di Matteo e Saverio Lodato (che condivide) che costituiscono due punti di riferimento imprescindibili nel mondo della Giustizia e della comunicazione.
E allora mi limiterò a commentare avvalendomi del prezioso libro “Il colpo di spugna”.
Già. Perché questo è stato: un colpo di spugna che ha cancellato tutto il lavoro investigativo di tanti anni. E non ci sono dubbi, secondo la sentenza della Corte di assise di appello, la trattativa ci fu con Mori e De Donno che parlavano con Vito Ciancimino alla ricerca del contatto con Riina.
Non resta che farcene una ragione.
di Elio Collovà
È un libro di piccole dimensioni ma dai contenuti tanto interessanti quanto inquietanti, soprattutto per tutti coloro che non hanno vissuto – per convincimento o per distrazione – tutte le vicende che hanno fatto da corollario al processo sulla trattativa Stato-Mafia.
Il libro costituisce un prezioso documento che testimonia, con dovizia di particolari e con assoluta puntualità, non solo le fasi del processo nei suoi tre gradi di giudizio, ma anche – cosa molto rilevante – tutto quanto è avvenuto fuori dal processo sia durante sia al termine della sua celebrazione. Ancora oggi ne parliamo animosamente non riuscendo a metabolizzare quella sentenza della Corte di assise di appello che, con un verdetto assolutorio, confermato dalla Cassazione, ha dato l’imprimatur dell’innocenza e dell’onore ai vari personaggi imputati per diverse fattispecie di reato.
Sarà pure una coincidenza – o forse no – ma la scelta della casa editrice “Fuoriscena”, mi sembra assolutamente coerente con i temi dibattuti nel libro che si presenta come una sorta d’intervista del giornalista-scrittore Saverio Lodato al pm Nino Di Matteo.
“Tutti assolti per non avere commesso il fatto”. Così ha sentenziato la Corte.
A questo punto il cittadino comune – che più degli altri è “fuori scena” non si pone altre domande. Per lui va bene così. Ma, attenzione, avverte Nino Di Matteo: le sentenze si devono rispettare ma si possono criticare.
Insomma, andando al merito della questione, il dato cruciale di questa sentenza è che si poteva trattare con la mafia e si potrà continuare a farlo ove ci fosse bisogno.
Ma come? Si stupisce il cittadino comune. Com’è possibile che lo Stato scenda a patti con personaggi che occupano posti apprezzabili nelle istituzioni? Attenzione, lo Stato lo fa a fin di bene, per il bene dei cittadini, per fare funzionare meglio le città; così da poter contare sulle garanzie offerte da Cosa nostra che si vedrebbe libera di potere controllare il territorio e decidere le strategie utili alle consorterie mafiose.
Ebbene questa motivazione sembra una follia, di una banalità inconcepibile. È inconcepibile che venga scritta da magistrati con anni di esperienza. Tutto lascia pensare che si tratta di un processo costruito su misura idoneo a dare un colpo di spugna per togliere dall’imbarazzo pezzi delle istituzioni.
La questione più singolare riguarda il fatto che i giudici d’appello riconoscono senza dubbio alcuno il verificarsi di alcuni fatti molto gravi; proprio quei fatti che i giudici di prime cure avevano riconosciuti come reati ma che i giudici d’appello, pur ammettendo il loro verificarsi, ritengono che non costituiscano reato.
Gli autori del libro non si sottraggono a una elencazione di quei fatti oggetto della disputa. “Il ricatto mafioso nei confronti del governo”, “l’apertura di un dialogo a distanza tra un pezzo di Stato e Cosa Nostra”, “le concessioni alla cosiddetta ala moderata”, “i segnali di distensione per rafforzare la trattativa in corso”, “la consapevolezza dei vertici delle massime istituzioni politiche della riconducibilità delle bombe del 1993 alla pretesa della mafia di ottenere un alleggerimento del trattamento carcerario dei detenuti”.
Ovviamente non ho la presunzione di commentare le sentenze del processo sulla trattativa; ma proprio per questo posso parlarne come un libero cittadino che, dovendosi porre domande sul processo, prende a prestito il pensiero e le osservazioni di Nino Di Matteo e Saverio Lodato (che condivide) che costituiscono due punti di riferimento imprescindibili nel mondo della Giustizia e della comunicazione.
E allora mi limiterò a commentare avvalendomi del prezioso libro “Il colpo di spugna”.
Già. Perché questo è stato: un colpo di spugna che ha cancellato tutto il lavoro investigativo di tanti anni. E non ci sono dubbi, secondo la sentenza della Corte di assise di appello, la trattativa ci fu con Mori e De Donno che parlavano con Vito Ciancimino alla ricerca del contatto con Riina.
Non resta che farcene una ragione.
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