Alunni con disturbi dell’apprendimento, la difficile inclusione

Società | 5 novembre 2022
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A quasi uno studente su 20 in Italia è stato certificato un disturbo specifico dell’apprendimento (Dsa). Secondo i dati riportati da Openpolis, nell’anno scolastico 2018/19, sono stati 300mila gli studenti dislessici, disgrafici, disortografici o discalculici. Si tratta di quattro disturbi differenti che tuttavia talvolta possono anche presentarsi insieme. Se non adeguatamente riconosciuti e trattati come tali, possono peraltro compromettere l’intero percorso educativo. Il rischio concreto è infatti che vengano fraintesi con uno scarso impegno da parte dello studente allontanandolo dal percorso di istruzione o addirittura alimentando il suo isolamento.
L’approvazione della legge 170 del 2010 ha decretato un passaggio importante verso il riconoscimento anche normativo dell’impatto di tali disturbi sulla vita scolastica e non solo del minore e ha previsto alcune tutele per il percorso scolastico degli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento. Rispetto agli inizi del decennio scorso, il numero di studenti con Dsa è fortemente aumentato: nel 2010 a meno dell’1% degli alunni era stato diagnosticato un qualche tipo di disturbo specifico dell’apprendimento, sul finire del decennio la quota sfiora il 5%, nell’ultimo decennio invece le diagnosi di DSA sono aumentate. Si segnala tuttavia una maggiore consapevolezza del fenomeno e quindi una maggiore possibilità di intervento centrato soprattutto sull’inclusione.
In Italia circa il 3% degli alunni ha una dislessia certificata, per un totale di 187.693 studenti nell’anno scolastico 2018/2019. Seguono la disortografia (101.744 alunni, 1,7%), la discalculia (96.081 ragazze e ragazzi, pari all’1,6%) e la disgrafia (87.859, 1,5%).
Il disturbo dell’apprendimento diagnosticato con maggiore frequenza è la dislessia: ogni 100 diagnosi di disturbo dell’apprendimento sia delle scuole primarie che secondarie, infatti, quasi 40 sono per dislessia (39,6%). Gli altri tre disturbi coprono il restante 60%, con circa il 20% delle certificazioni ciascuno. Il secondo Dsa riconosciuto con più frequenza è la disortografia (21,5%), seguita dai disturbi di discalculia e di disgrafia, rispettivamente al 20,3% e al 18,6%. Per la loro inclusione effettiva nelle attività della classe la normativa prevede una serie di misure compensative e/o dispensative. La finalità della norma è infatti quella di garantire il diritto all’istruzione di migliaia di studenti, favorirne il loro successo scolastico, ma soprattutto ridurre i disagi derivanti dai disturbi diagnosticati. Per questo tra gli obiettivi della legge vi è anche quello di aumentare la consapevolezza di famiglie e di insegnanti e di aumentare le diagnosi precoci di tali disturbi, ma soprattutto la previsione di una flessibilità nella didattica con percorsi educativi personalizzati. In Italia in media il 4,9% degli studenti ha un disturbo specifico dell’apprendimento diagnosticato. Una quota che cambia tra i diversi livelli di istruzione. Sono il 3,1% nelle primarie (negli anni III, IV e V, quelli in cui tali disturbi sono diagnosticabili), il 5,9% nelle secondarie di I grado e il 5,3% in quelle di secondo grado.
Si nota altresì una variabilità territoriale. In tre aree del paese la quota di alunni con Dsa supera la media nazionale del 4,9%. Si tratta dell’Italia nord-occidentale (7,3%), nord-orientale (5,7%) e centrale (5,9%). Nel Mezzogiorno la percentuale risulta molto inferiore (2,4% medio), dato che scende sotto il 2% nelle primarie meridionali. Approfondendo in chiave regionale, in Liguria il 7,7% degli studenti delle scuole primarie (III, IV e V anno) e delle scuole secondarie ha un disturbo specifico di apprendimento. Seguono, con almeno il 7%, il Trentino-Alto Adige, la Valle d’Aosta, il Piemonte, la Lombardia e l’Emilia-Romagna. Nelle regioni meridionali le percentuali sono molto più basse della media nazionale (4,9%) probabilmente perché le diagnosi sono meno tempestive in alcune aree del Mezzogiorno. Ad esempio, sono solo il 2,5% degli alunni pugliesi, il 2% di quelli siciliani, l’1,5% in Campania e l’1,3% in Calabria.
 di Melania Federico

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