Il patrimonio confiscato può diventare una grande risorsa di sviluppo per il nostro Paese?
L'analisi | 12 settembre 2024
La proposta del Presidente del Centro Pio La Torre, Emilio Miceli,
di rilanciare il movimento antimafia a Palermo con la costruzione
di una piattaforma condivisa sul “qui ed ora”, la condivido
pienamente, così come la sua preoccupazione più che fondata
quando dice che „Il cuore dell’assalto è la “specialità” della legge
La Torre. Ritengo che l’attacco è in atto già da tempo che non è
solo politico e che nell’ultimo anno abbia subito un’accelerazione
e naturalmente nel mirino ci stanno i beni confiscati .
Beni confiscati, che personalmente sono convinta, per decisioni
prese soprattutto da gruppi poteri che non ricoprono cariche
politiche dirette, non devono funzionare anche se tutti i progetti
fin qui realizzati dimostrano il contrario. Perchè? Lo dice bene
Emilio ,è una questione di potere , o meglio di aspetti del potere.
Anche se gli strumenti sulla carta ci sono , il potere
sostanzialmente dice ; via libera ad alcuni progetti definti “pilota“
ma senza mai creare azioni di sistema. Ecco è su questo tema che
voglio dare il mio contributo perchè sono fermamente convinta
che dopo oltre quarant’anni, la grande intuizione di Pio La Torre
di introdurre nell’ordinamento del nostro Paese le misure di
prevenzione del sequestro e della confisca dei beni -oltre al reato
di associazione mafiosa- si è dimostrata la strada giusta da
percorrere nella lotta contro i gruppi di potere della criminalità
organizzata.
Ritengo sempre doveroso ricordare, in primis a me stessa, che la
legge 646/82, nota come “Rognoni – La Torre”, non fu approvata
dal Parlamento italiano neanche dopo la tragica uccisione dello
stesso La Torre, ma soltanto dopo un altro omicidio eccellente
quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa., .
La legge Rognoni- La Torre pur trovandosi al centro di un acceso
dibattito di legittimità fin dal suo concepimento, ha retto nel suo
impianto fino ai giorni nostri, dotando il nostro Paese di un’arma
formidabile che mira alla destrutturazione del sistema mafioso. La
sua applicazione ha permesso allo Stato, nel corso degli anni, di
confiscare un ingente patrimonio illecitamente accumulato dai
molteplici gruppi criminali, restituendo una panoramica di una
realtà permeata da un’economia criminale gestita dalle
consorterie mafiose.
Per comprendere meglio in cosa consiste il patrimonio confiscato
di cui oggi dispone il nostro paese proverò ad analizzare alcuni
dati.
I numeri dei beni confiscati contenuti nell’ultima relazione
dell’Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la gestione dei
beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ci
consegnano un quadro abbastanza esaustivo del patrimonio
confiscato:
al 31 dicembre 2023 risultano confiscati definitivamente 43.422
beni immobili contro i 43.310 del 2022, quindi appena 112 in più .
Di tutt’altra natura sono i dati sulle aziende: 4.078 aziende
confiscate alla fine del 2023 contro le 3.112 dell'anno precedente,
quindi quasi 1000 aziende in più. A questi dati si devono
aggiungere quelli sulle diverse tipologie dei beni mobili, anche se
mancano all’appello quello relativi ai conti correnti bancari o altre
tipologie di denaro.
L’analisi parallela del dato finale dei beni immobili e aziendali
confiscati definitivamente e dei beni già destinati -però non per
questo effettivamente consegnati- pone parecchi interrogativi.
Prendendo in considerazione i beni immobili confiscati
definitivamente e destinati fino al 31 dicembre 2022, si evince
che siano stati destinati 21237 beni immobili in totale, di cui
17.183 agli enti territoriali e di questi, 12.042 per progetti sociali.
Dall’altro lato, i dati forniti da una ricerca dell’Associazione
Libera pubblicata nel Febbraio del 2022 ci dicono che i soggetti
del terzo settore che gestiscono beni confiscati a finalità sociali
sono appena 947, dislocati in più di 350 comuni appartenenti a 18
regioni su 20, e così raggruppati: associazioni di diverse tipologie:
575; cooperative sociali: 193; enti pubblici (tra cui aziende
sanitarie, enti parco e consorzi di Comuni): 33 ; realtà del mondo
religioso: 28; fondazioni private e di comunità: 26; gruppi scout:
16; istituti scolastici: 27.
Alcune domande sorgono spontanee:
i circa restanti undicimila progetti sociali che fine hanno fatto? A
chi spetta il compito di monitorare cosa succede un attimo dopo
che il direttivo dell’Agenzia delibera la destinazione dei beni?
Passando ai dati relativi alle aziende confiscate, si evince che al
31 dicembre 2023 sono state confiscate definitivamente 4.078
aziende e ne risultano attive solo 187, ovvero appena il 4,6% del
totale. Pur tenendo in conto che una percentuale di queste aziende,
cosiddette “scatole vuote“, vanno chiuse immediatamente, il dato
delle aziende liquidate è veramente impressionante.
Nei fatti, nel tempo, il trend delle aziende liquidate e/o cancellate
non cambia e rimane sempre sopra il 90% addirittura nell’ultimo
anno ha subito un leggero incremento, passando dal 94% nel
2022 al 95% nell’anno 2023.
Si pongono, dunque, altri quesiti:
veramente questo trend non si può invertire? Sono state valutate
tutte le opzione possibili per poterne salvare altre?
Un altro dato importante che merita approfondimento che è quello
dei lavoratori presenti dentro le aziende confiscate
Finalmente, dopo 13 anni di totale assenza, nella precedente
relazione dell’Agenzia relativa al 2022 è presente un riferimento
ai lavoratori in forza nelle aziende confiscate supportato da un
unico che è pari a 3.200 lavoratori. In quest‘ultima relazione,
l’Agenzia presenta una tabella suddivisa per regioni con i numeri
dei lavoratori. Il totale complessivo di questi lavoratori al
31dicembre 2023 risulta essere è di 1826 operatori attivi,.
Anche qui gli interrogativi non mancano:
come può esserci una discrepanza cosi forte, pari a circa 1.400
lavoratori in meno, tra il dato del 2022 e quello del 2023? Cosa è
successo? Nelle aziende poste in liquidazione nel 2023 erano
implicati de lavoratori?
Inoltre, il dato riportato sulla cessione gratuita delle aziende , (si
presume a favore dei lavoratori che si riuniscono in cooperativa)
è di appena 1 unità.
Tra le strategie che l’Agenzia intende mettere in campo sulle
aziende attive con dipendenti, quali sono quelle che intendono
onorare quella parte dell’art.48 che da priorità alla salvaguardia
dei livelli occupazionali e, dunque, permettere ai lavoratori di
poter rilevare l’azienda con la formula cooperativa?
In tutta la relazione non c’è traccia di un coivolgimento della
cooperazione, bensì si parla solo di affiancamento di singoli
imprenditori che, non a caso, alla fine avranno anche il diritto di
prelazione in caso di destinazione alla vendita dell’azienda stessa.
Eppure la formula cooperativa è una fondamentale risorsa per la
gestione dei beni confiscati.
C’è lo dicono i numeri, come quelli delle 153 cooperative su 198
censite dal centro studi di Confcooperative . Queste cooperative
dalla gestione diretta dei beni confiscati producono un fatturato
di circa 100 milioni di euro , tremila posti di lavoro stabili e
realizzano un fatturato aggregato di circa 414 milioni di euro e
undicimila posti di lavoro
A proposito di livelli occupazionali, non si possono non
considerare i numeri presentati dall‘Agenzia in quest’ultima
relativi ai terreni confiscati naturalmente vocati a creare
occupazione, i quali ci consegnano un quadro incontrovertibile.
Nell’anno 2023, su 19071 cespiti trasferiti ai comuni, gli stessi
hanno opato maggiormente per beni quali terreni per oltre il 51%,
contro il 39% circa di fabbricati. L’altro fatto su cui riflettere è
che circa il 53% dei terreni risultano ancora sotto la gestione
dell’Agenzia.
Questi dati sui terreni stridono fortemente con quanto affermato
dall’Agenzia in una parte della relazione relativa alla descrizione
del controverso protocollo d’intesa tra l‘Agenzia ed il Ministero
dell’Agricoltura, in cui dichiara sostanzialmente che i terreni non
sono appetibili.
L’analisi di questi dati sulla destinazione sia dei beni immobili
che delle aziende confiscate, ci consegna un feedback di ritorno
sulla gestione dei beni confiscati produttivi assolutamente
fallimentare per lo Stato.
In questo contesto si pongono ulteriori interrogativi:
esiste una visione da parte dell’Agenzia e dei soggetti
istituzionali e politici a più livelli che porti a considerare i beni
confiscati una vera risorsa di sviluppo in termini di servizi socio-
culturali, opportunità di lavoro per i giovani e strumento di
crescita per le proprie comunità?
Gli spietati numeri, alcune scelte legislative, politiche, gestionali e
di altra natura ,effettuate nel tempo ,tendono a dirci di no.
Ecco alcuni esempi.
“ La Riforma Cartabia, con la modifica dell’art. 445 del codice
penale, quando dice “Non producono effetti le disposizioni di
legge diverse da quelle penali che equiparano il patteggiamento ad
una sentenza di condanna“ può, di fatto, provocare lo svuotamento
della legge Rognoni – La Torre.
A tal proposito, proprio ai sensi dell’art 445 del codice penale, il
28 giugno 2023 il Consiglio di Giustizia Amministrativa di
Palermo sospese in via cautelare un'interdittiva antimafia ad un
commerciante di Partinico, che vietava allo stesso di esercitare la
professione e vincere appalti pubblici. Ebbene, nonostante il
commeriante avesse patteggiato una pena per reati di mafia e fosse
stato condannato ad un anno e dieci mesi di reclusione con il 416
bis, l’interdittiva fu sospesa in via cautelare. La motivazione
sostenuta dal CGA, in sintesi, consisteva nel fatto che ai sensi
dell’art 445 della riforma Cartabia, il patteggiamento non poteva
ritenersi equiparato alla sentenza di condanna, essendo le misure
contenute nel codice antimafia di misura preventiva e non
punitiva,.
Per fortuna, a settembre dello stesso anno ci fu una pronuncia
della Corte di Cassazione (n°36878, depositata il 06/09/2023) che
affermò che il giudice della prevenzione può mantenere la
confisca dei beni, pur a fronte di una sentenza di assoluzione
dell’imputato in sede penale.
Un altro caso, , che deve far riflettere seriamente è la
cancellazione dei 300milioni di euro previsti dal PNRR sui beni
confiscati .
Il ministro Fitto in una conferenza stampa del 27 luglio 2023 a
proposito della rimodulazione del PNRR; in quella sede si
annunciò la revoca dei 300 milioni del PNRR destinati ai beni
confiscati, nonostante in molti casi i progetti finanziati avessero
già espletato i bandi di gara. Vale la pena sottolineare che i 300
milioni del PNRR sui beni confiscati erano stati salutati
positivamente da tutti: era sembrato che, finalmente, i beni
confiscati avessero acquistato quella dignità che li portava ad
avere accesso alla programmazione delle politiche pubbliche.
Questi fondi del PNRR avebbero permesso, dunque, di effettuare
una serie d’interventi significativi di recupero dei beni confiscati
su tutto il territorio nazionale.
Nessuno si aspettava che, con questa scelta puramente politica
dell’attuale governo, con un colpo di penna si mandasse in
frantumi questa piccola ma importantissima pietra miliare nel
riconoscere l’interesse delle politiche pubbliche nei confronti dei
beni confiscati.
Purtroppo, aldilà di alcune reazioni da parte delle forze politiche
dell’opposizione, di fatto non si è registrato quella posizione netta
che ci si aspettava di altri soggetti istituzionali quale l‘ l’ANCI,
dato che quei 300 milioni del PNRR erano diretti proprio a sindaci
per riqualificare i beni presenti nelle loro comunità
Infine, per arrivare ai giorni nostri, l'1 luglio scorso venne firmato
un protocollo d’intesa tra l'ANBSC e il Ministro dell’Agricoltura,
in cui l’Agenzia cede al Ministero 1.400 particelle di terreni
dichiarati “inoptati“, che esso a sua volta assegnerà a imprenditori
agricoli privati a titolo oneroso.
Qui è successo qualcosa che deve fare riflettere seriamente e che
sembrava impensabile fino a qualche anno fa, ovvero si è
registrato un calo di attenzione e vigilianza da parte del terzo
settore, dei sindacati e delle forze progressiste, i quali, non hanno
fiutato la pericolosità di questo protocollo che, di fatto, apre la
strada all’assegnazione dei beni confiscati ai singoli soggetti
privati violando clamorosamente i principi dellla legge sul riuso
sociale dei beni
Ricapitolando in ordine cronologico gli eventi:
il'1 luglio si firma questo protocollo e il giorno dopo
l’Associazione Libera lancia l’allarme del pericolo che si sta
correndo; a questo fa seguito solo una presa di posizione netta di
condanna da parte di Confcooperative nazionale, mentre il resto
del terzo settore, i sindacati e le forze progressiste rimangono in
silenzio.
Il 5 luglio l’ex giudice del pool antimafia, Peppino Di Lello e
promotore della legge109/96 sul riuso sociale dei beni confiscati,
raccoglie gli inviti che da più parti gli sono stati rivolti e prende
posizione nei confronti di questo protocollo, dichiarandolo
completamente illeggittimo e spiegando a chiare lettere che le
norme vigenti prevedono che i destinatari dei beni siano i soggetti
collettivi e mai i soggetti singoli privati; infine richiama alle loro
responsabilità tutte le forze progressiste di varia natura
invitandoli a fare la loro parte. Finalmente, dopo questo
autorevole richiamo di Peppino Di Lello, partono le interrogazioni
parlamentari da parte dei deputati PD presenti nella commissione
antimafia, ma neanche tutto questo è servito al terzo settore per
battere un colpo.
Bisogna aspettare fino al 16 luglio affinchè la portavoce del
forum del terzo settore faccia una dichiarazione pubblica di
condanna del protocollo e fino al 22 luglio affinchè molte sigle
facenti parte del terzo settore (dall‘Arci a Legambiente, ecc...)
uscissero con un documento unitario specifico.
Tutto questi fatti ci consegnano alcune verità su cui riflettere e
lavorare per riprendere le fila della viglilanza, della denuncia e
della proposta che deve svolgere l’antimafia sociale sul tema
della gestione e utilizzo dei beni confiscati.
I fatti successi in questo ultimo anno e mezzo meritano un
approfondimento, soprattutto facendo riferimento anche alle
modalità usate da forze estranee alla normale dialettica politica
per abbattere la legge sulla confisca dei beni confiscati, senza
cambiare la stessa ma utilizzando pericolosissimi aggiramenti e
forzature come mostrano gli esempi sopra riportati.
Sembra un'altra epoca quando Forza Italia di Silvio Berlusconi,
tramite i suoi esponenti in Parlamento, avanzava delle proposte di
legge per vendere i beni confiscati e le forze progressiste
ostacolavano compatte questo intendimento.
Bisogna prendere atto che ormai molte partite vengono giocate
fuori dall’aula del Parlamento, e non ne sono immuni i beni
confiscati; quindi, bisogna stare all’erta e porre molta attenzione a
ciò che succede attorno a questa tematica.
Sicuramente una forte e costante vigilianza va svolta nei confronti
dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati
Oggi, l ’Agenzia -dopo oltre dieci anni di richieste di adegumenti
normativi, richiesta di personale, risorse finanziarie ecc.- per sua
stessa ammissione, afferma di aver raggiunto una pianta organica
e una dotazione di risorse finanziare congrue per gestire al meglio
i beni confiscati. Dunque, la prima cosa da fare è vigilare affinchè
l’Agenzia (che, è un soggetto tecnico) svolga i compiti e le
funzioni che gli sono affidati in materia di gestione dei beni
confiscati, nel pieno rispetto della normativa vigente, in maniera
autonoma e perseguendo il maggiore interesse pubblico , evitando
la tentazione di compiacere i voleri di qualche governante di
turno.
L’Agenzia deve avere la capacità di coinvolgere i soggetti
interessati dalla legge e non solo quelli istituzionali, costituendo
dei tavoli di governance multilivello che aiutano a superare le
criticità presenti nei beni consficati in gestione e favorire il
processo di destinazione. Le governance devono studiare e
prevedere dei piani d’utilizzo da proporre ai territori in maniera
integrata e sistemica che mirino all’utilizzo dei beni immobili nel
modo più ottimale possibile, sia per l‘uso prettamente sociale che
per lo sviluppo di nuova occupazione. Nel caso delle aziende
confiscate bisogna lavorare a dei piani che permettano il
mantenimento dei livelli occupazionali e la loro tenuta nel
mercato legale.
Sicuramente, come Paese oggi abbiamo una responsabilità più
forte che nel passato in tema di gestione dei beni confiscati,. Oggi,
infatti, grazie ai risultati ottenuti negli oltre quarant’anni di
applicazione della legge Rognoni - La Torre, molti Paesi nel
mondo guardano con attenzione ai risultati che abbiamo ottenuto
sulla confisca dei beni ed il loro riutilizzo.
La Comunità Europea per prima ha percepito l’importanza ed il
valore del riuso dei beni confiscati, inserendo il recupero dei beni
confiscati dentro i suoi programmi leader di sviluppo, già
dall’agenda 2000 fino ad arrivare al PNRR. L’approvazione della
direttiva UE da parte del Consiglio, nell’aprile scorso sul
congelamento e confisca dei beni, conferma quale punto di
riferimento straordinario è stata ed è tutt'oggi la legge Rognoni –
La Torre. La Direttiva stessa conferma tutto ciò, specialmente nel
passaggio in cui si afferma che le nuove norme consentiranno
inoltre agli Stati membri di procedere alla confisca di patrimonio
ingiustificato, quando quest'ultimo è collegato a condotte
criminose tramite un'organizzazione criminale e produce un
vantaggio economico considerevole.
Anche in altri parti del mondo molti Paesi hanno mostrato un forte
interesse verso le best practices adottate nel nostro Paese sul
sistema di gestione e destinazione dei beni confiscati; ne è la
prova la presenza dell’Agenzia -tramite il suo direttore- in alcune
iniziative, convegni e tavole rotonde per far conoscere il modello
italiano in materia di utilizzo istituzionale e sociale dei beni
confiscati alla criminalità organizzata. Tra le tante, è bene
segnalare la presenza dell’Agenzia in Argentina e in Colombia -
paesi fortementi interessati al fenomeno della criminalità
organizzata- e in Austria, a Vienna lo scorso marzo, alla tavola
rotonda organizzata dall’IILA (Organizzazione Internazionale
Italo-Latino Americana). Notevole interesse per il modello
italiano è stato espresso anche dall’Angola. Infine, di particolare
rilievo è stata la partecipazione dell’Agenzia alla Convenzione
delle Nazioni Unite contro la Corruzione (UNCAC) tenutasi ad
Atlanta, negli Stati Uniti.
Di fronte a tutto questo, è impensabile che il nostro Paese possa
fare passi indietro piuttosto che trasferire a chi lo richieda delle
best practices funzionanti e che rispecchino lo spirito del riuso
sociale della legge. Tuttavia per fare ciò occorre che questebest
practices siano supportate da numeri importanti di successo e da
buone politiche pubbliche; ed ad oggi la fotografia attuale fornita
dai numeri sullo stato sui beni confiscati ci dice tutt’altra cosa.
Cosa possono fare, dunque, le forze della società civile che a vario
titolo sono impegnate in questo percorso di recupero e
restituzione dei beni confiscati per essere incisive?
Sicuramente occorre un dibattito franco e aperto su questa
tematica che porti a ricreare un fronte dell‘antimafia sociale unito
e coeso in grado di aprire un’interlocuzione forte con l‘Agenzia e l
politica
Occorre elaborare proposte concrete con le quali aprire un
confronto serrato con le le forze politiche su tutti i livelli e gli
altri attori interessati soprattutto con i comuni.
E‘ necessario stringere un’alleanza con la cooperazione tutta e i
sindacati, affinchè abbiano un ruolo fondamentale nello sviluppo
di nuove opportunità di lavoro tramite il riuso dei beni confiscati
ed il recupero delle aziende confiscate con lavoratori coinvolti.
Ritengo utile rilanciare alcune proposte già presentate in altre
occasioni in modo da poterle mettere in agenda e condividerle
nell’immediato, per ripartire con delle azioni unitarie al fine di
aprire un confronto con la politica e i livelli itituzionali di governo
a vari livelli
- Isitituire una sottosezione del FUG (Fondo Unico Giustizia) con
i proventi di beni confiscati destinata a fondo di garanzia, per far
fronte alle spese relative al mantenimento dei beni immobili e
aziendali e il ripristino dei fondi gestiti dalla prefettura per i
progetti sul riuso dei beni confiscati, così come erano previsti
nella 109/96.
- Istituire sotto il coordinamento dell‘Agenzia i tavoli di
Governance multilivello al fine di creare sinergie propositive
mirate a migliorare la gestione dei beni confiscati, così da essere
degli utili strumenti tangibili per contribuire ad un vero sviluppo
socio-economico sui territori interessati dal fenomeno. Il primo
obiettivo della Governance deve essere quello di effettuare a
monte uno studio dei beni e delle funzioni produttive e sociali
che tali beni possono svolgere nel territorio.
- Istituire cabine di regia con il coinvolgimento dei sindacati
presso le sedi delle regioni dove sono presenti le aziende con i
dipendenti.
- Chiedere la riforma del D.Lgs. n. 270/99, la cosiddetta Legge
Prodi Bis, che porti al superamento del limite attuale dei 200
dipendenti e l'estensione dei commissari da 18 a 36 mesi.
Per fare questo, occorre un’unità d‘intenti di tutto il fronte
dell’antimafia sociale, dal terzo settore, dalla cooperazione agli
altri soggetti che vogliono impegnarsi così da dare un contributo
fattivo ad un migliore riuso dei beni confiscati
Solo se riusciremo tutti insieme ad essere protagonisti di
un’azione unitaria saremo forti nel poter chiedere di concertare
una fitta collaborazione con le istituzioni preposte ed ottenere che
si individuino insieme le strategie più idonee a valorizzare il
patrimonio confiscato, così da dimostrare che la confisca ed il
riutilizzo del patrimonio confiscato può svolgere un ruolo
tutt’altro che marginale nella lotta contro la mafia.
L’applicazione di questo modello di concertazione tra le istituzioni
pubbliche ed il privato sociale per un proficuo utilizzo dei beni
confiscati, può mettere davvero il nostro Paese nelle condizioni di
essere punto riferimento nel contesto mondiale su questa tematica,
non solo sul piano legislativo ma anche dal punti di vista della
gestione imprenditoriale e crescita sociale.
Rosa Laplena
Esperta nella gestione dei beni confiscati e sequestrati produttivi
Autrice del libro “I beni confiscati alla criminialità organizzata
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