In fuga dall’artigianato, serve una nuova scuola
Società | 30 settembre 2024
Non bastava in Italia essere a corto di medici, infermieri, matematici, ingegneri, informatici e addirittura maestri. Siamo carenti anche di decine di tipologie artigiane e, in generale, di operatori di manutenzioni e riparazioni. Analizzeremo la situazione mettendo assieme i report 2023 e 2024 sulla fuga dall’artigianato dell’ufficio studi della Cgia – l’Associazione artigiani e piccole imprese – di Mestre. Esaminati dati, cause del crollo, percentuali e differenze tra regioni faremo due originali proposte per correre ai ripari: 1) l’introduzione nell’ordinamento scolastico nazionale di un nuovo corso di studi, la “Scuola superiore per l’artigianato”; 2) l’introduzione – siamo in pieno dibattito sullo “ius scholae” – dello “ius manifacturae” o “ius artificii” (ammettiamo di non sapere quale sia la traduzione più corretta).
Cominciamo dal report 2024. Il 17 agosto la Cgia diffonde lo studio. Titolo inequivocabile: “A.A.A. Artigiani cercasi. Ormai abbiamo più avvocati che idraulici”. Sottotitolo: “Nei prossimi anni a rischio manutenzioni e riparazioni”. L’ufficio studi della Cgia ha elaborato dati Inps e Infocamere/Movimprese.
Ecco cosa emerge: “Continua a scendere il numero complessivo degli artigiani presenti nel nostro Paese. Stiamo parlando di persone che in qualità di titolari, soci o collaboratori familiari svolgono un’attività lavorativa prevalentemente manuale. Pertanto, per poter contare sulla copertura previdenziale devono iscriversi nella gestione artigiani dell’Inps. Se nel 2012 erano poco meno di 1.867.000 unità, nel 2023 la platea complessiva è crollata di quasi 410mila soggetti (-73mila solo nell’ultimo anno); ora il totale sfiora quota 1.457.001. In questi undici anni abbiamo assistito a una caduta verticale che si è interrotta solo nell’anno post Covid (+2.325 tra il 2021 e il 2020). Se questa tendenza non sarà invertita stabilmente, non è da escludere che entro una decina d’anni sarà molto difficile trovare un idraulico, un fabbro, un elettricista o un serramentista in grado di eseguire un intervento di riparazione/manutenzione nella nostra abitazione o nel luogo dove lavoriamo.
Secondo i dati Infocamere/Movimprese, anche il numero delle aziende artigiane attive è in forte diminuzione. Se nel 2008 (anno in cui si è toccato il picco da inizio secolo) in Italia le imprese artigiane erano 1.486.559, sono scese costantemente e nel 2023 si sono fermate a 1.258.079. Va segnalato che la riduzione in parte è anche riconducibile al processo di aggregazione/acquisizione che ha interessato alcuni settori dopo le grandi crisi 2008/2009, 2012/2013 e 2020/2021. Purtroppo, questa “spinta” verso l’unione aziendale ha compresso la platea degli artigiani, ma ha contribuito positivamente ad aumentare la dimensione media delle imprese, spingendo all’insù anche la produttività di molti comparti; in particolare, del trasporto merci, del metalmeccanico, degli installatori impianti e della moda”.
Il report 2024 ripercorre ed aggiorna la situazione analizzata nel 2023. L’anno scorso i ricercatori Cgia avevano fatto ricorso ad un titolo altrettanto ad effetto: “Fuga dall’artigianato. Tanti chiudono e si mettono a fare i dipendenti. I giovani, invece, non si avvicinano più”. Molti concetti del report 2023 sono ripresi testualmente nel report 2024. Nel 2023 si sottolineava che “senza botteghe si estinguono le imprese familiari”. E non veniva trascurato il costo sociale, anche in sicurezza pubblica, delle chiusure: “Con saracinesche abbassate città più insicure. Basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici”.
Più avvocati che idraulici
Entriamo nel report di poche settimane fa. Sono presenti confronti ad effetto, che si commentano da soli: “Abbiamo più avvocati che idraulici. Negli ultimi decenni tante professioni ad alta intensità manuale hanno subito una svalutazione culturale che ha allontanato molti ragazzi dal mondo dell’artigianato. Il tratto del profondo cambiamento avvenuto, ad esempio, è riscontrabile dal risultato che emerge dalla comparazione tra il numero di avvocati e di idraulici presenti nel nostro Paese: se i primi sfiorano le 237mila unità, si stima che i secondi siano “solo” 180mila. È evidente che la fuga dei cervelli in atto nel nostro Paese e, per contro, la mancanza di tante figure professionali di natura tecnica sono imputabili a tante criticità. A nostro avviso le principali sono: lo scarso interesse che molti giovani hanno nei confronti del lavoro manuale; la mancata programmazione formativa verificatasi in tante regioni del nostro Paese e l’incapacità di migliorare/elevare la qualità dell’orientamento scolastico che, purtroppo, è rimasto ancorato a vecchie logiche novecentesche di gentiliana memoria”.
E tornano, evidenziati, concetti e analisi del report 2023: “Senza botteghe si estinguono le imprese familiari. La contrazione degli artigiani e delle loro attività si possono notare anche a occhio nudo. Girando per le nostre città e i paesi di provincia sono ormai in via di estinzione tantissime botteghe artigianali. Insomma, non solo diminuisce il numero degli artigiani e le aziende di questo settore, ma anche il paesaggio urbano sta cambiando volto. Sono ormai ridotte al lumicino le attività storiche che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e tv, sarti, tappezzieri, eccetera. Attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, che hanno contraddistinto la storia di molti quartieri, piazze e vie delle nostre città, diventando dei punti di riferimento per le persone che sono cresciute in questi luoghi.
Con saracinesche abbassate città più insicure. Il degrado urbano si sta allargando a macchia d’olio; basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. Le città, infatti, non sono costituite solo da piazze, monumenti, palazzi e nastri d’asfalto, ma anche da luoghi dove le persone si incontrano, anche per fare solo due chiacchiere. Queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio. Senza botteghe a pagare il conto sono gli anziani. Con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani. Una platea sempre più numerosa della popolazione italiana che conta più di 10 milioni di over 70. Non disponendo spesso dell’auto e senza botteghe sottocasa, per molti di loro fare la spesa è diventato un grosso problema”.
Vale la pena ricordare – dato sempre Cgia sebbene non presente nei due report – che mancano all’appello in Italia anche ben 22.000 autisti.
Esistono però settori in controtendenza. Quali? “Non tutti i settori artigiani hanno subito la crisi. Quelli del benessere e dell’informatica presentano dati in controtendenza. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Va altrettanto bene anche il comparto dell’alimentare, con risultati significativamente positivi per le gelaterie, le gastronomie, le lavanderie a gettone e le pizzerie per asporto ubicate, in particolare, nelle città ad alta vocazione turistica”.
Le cause
Cause dell’abbandono e delle chiusure enunciate nel report di agosto: “L’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana, provocato in particolar modo anche da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno costretto molti artigiani a gettare la spugna. Una parte della ‘responsabilità’, comunque, è ascrivibile anche ai consumatori che in questi ultimi dieci anni hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti, sposando la cultura dell’usa e getta, preferendo il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatto su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on line o preso dallo scaffale di un grande magazzino”.
Ma è a monte che si colloca quella che ci piace definire “la madre di tutte le cause”. Di natura culturale-antropologica. Ormai storica. Osservano gli analisti: “Dobbiamo rivalutare culturalmente il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale. L’artigianato è stato ‘dipinto’ come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie B. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore. E nonostante la crisi e i problemi generali che attanagliano l’artigianato, non sono pochi gli imprenditori di questo settore che da tempo segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. Tante professioni non attraggono più.
In tutto il Paese si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”. Alla base di tutto, comunque, rimarrà il saper fare che è il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera”.
Introdurre la “scuola superiore per l’artigianato”
Dati così allarmanti ci suggeriscono una duplice proposta: 1) senza perdere un solo giorno istituire in Italia un nuovo indirizzo di scuola superiore statale pubblica, la “scuola superiore per l’artigianato” per contrastare il fenomeno; 2) favorire l’iscrizione al nuovo indirizzo di giovani migranti o ragazzi immigrati di seconda generazione nati in Italia o qui da quando erano bambini collegandola ad uno specifico diritto di cittadinanza ossia lo “ius manifacturae” o “ius artificii”.
Come replicare ai tanti che potrebbero obiettare che in Italia le scuole professionali statali per formare artigiani esistono dal lontano 1859 (Legge Casati)? Semplice. La “scuola superiore per l’artigianato” non sarebbe un percorso scolastico di serie B di ripiego per chi non era particolarmente dotato sui banchi o non voleva studiare. Sarebbe al contrario una scuola superiore che si pone sull’identico piano culturale e formativo di un liceo classico, scientifico, linguistico, di un istituto tecnico o magistrale. Scuola superiore di serie A con molto studio sui banchi e con programmi di elevato impegno culturale. Come i tempi e la tecnologia richiedono. Una scuola superiore con sue peculiarità. A cominciare dal legame con l’apprendimento nelle botteghe artigiane. La formula potrebbe essere un insegnamento alternato. Un giorno in classe per la teoria e le materie necessarie per tutti gli indirizzi, il giorno seguente nella bottega ad apprendere quella che sarà la professione della tua vita. Un bravo artigiano non si forma quando ha già 25 o 35 anni per ripiego o perché non ha trovato più allettanti soluzioni lavorative nella vita. È troppo tardi. Si forma a partire da 15-16 anni.
Obiettivo: il più ampio reclutamento possibile di ragazzi italiani. E contemporaneamente il maggiore reclutamento possibile di ragazzi immigrati vista la discutibile “ritrosia da nababbi” dei nostri giovani per il lavoro manuale artigiano. Se necessario, per chi frequenta la “scuola superiore per l’artigianato” andranno riviste le norme che regolano in Italia l’avviamento al lavoro dei minorenni con contratto di apprendistato. Prevedono attualmente che per l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale possono essere assunti ragazzi a partire dal 15esimo anno di età. Per il contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere e contratto di apprendistato di alta formazione e di ricerca l’età minima del lavoratore non deve essere inferiore a 17 anni. In questi casi, è possibile assumere un minorenne solo se è già in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi del Decreto legislativo 226/2005.
Non solo “ius scholae” ma anche “ius manifacturae”
Concludiamo con la seconda e ancor più provocatoria proposta: lo strettissimo rapporto tra nuova “scuola superiore per l’artigianato” e diritto di cittadinanza. Non prima d’aver messo in chiaro una premessa: chi firma questo articolo è dichiaratamente per lo “ius soli”. Senza se e senza ma. Tuttavia - considerata in materia la pavidità storica della sinistra e l’ostilità dichiarata della destra – piuttosto che polemizzare a vuoto e non legiferare perché non percorrere anche altre soluzioni in qualche modo contigue o collaterali allo “ius scholae”? Destinate a chi, figlio di immigrati, è nato in Italia e alle migliaia di minorenni che, quasi sempre da soli, approdano sulle nostre coste da Africa, Asia o via terra dal confine con la Slovenia (al 31 dicembre 2023 erano censiti in Italia 23.226 minori stranieri non accompagnati, di cui l’88.3 per cento maschi).
L’iscrizione al primo anno della “scuola superiore per l’artigianato” a conclusione delle medie inferiori comporterebbe la concessione automatica ma condizionata della cittadinanza italiana. In qualche modo in prova, da confermare e rendere definitiva al conseguimento del diploma al quarto anno. Ecco un percorso di integrazione, sostegno scolastico, fiducia, messa in prova della tua vocazione lavorativa e della tua scommessa di vita in Italia.
Deve essere forte l’investimento nel formare giovani artigiani neoitaliani per svolgere in modo moderno e con gli strumenti del XXI secolo mestieri antichi e tradizionali. Per questi ragazzi - “nuovi italiani” ma italiani a tutti gli effetti – si deve saper costruire una nuova crescita formativa, culturale e professionale. A base di corsi intensivi della nostra lingua (non esiste integrazione senza padronanza della lingua), di Costituzione, di tanta pratica artigianale. Potranno essere loro a salvare il nostro artigianato. Assieme ai giovani italiani… superstiti quanto a vocazione e manualità artigiana.
Infine una raccomandazione. Valida per tutte le generazioni. Quando ci convinceremo che un infarinato panettiere, un impiegato pubblico alla scrivania, un danaroso, elegantissimo manager con cravatta e vestito da 4.000 euro hanno pari dignità culturale e lavorativa e che anzi per la società il primo è più fondamentale degli altri due, sarà sempre troppo tardi. Ma siamo ancora in tempo per prevenire quelli futuri.
di Pino Scorciapino
Cominciamo dal report 2024. Il 17 agosto la Cgia diffonde lo studio. Titolo inequivocabile: “A.A.A. Artigiani cercasi. Ormai abbiamo più avvocati che idraulici”. Sottotitolo: “Nei prossimi anni a rischio manutenzioni e riparazioni”. L’ufficio studi della Cgia ha elaborato dati Inps e Infocamere/Movimprese.
Ecco cosa emerge: “Continua a scendere il numero complessivo degli artigiani presenti nel nostro Paese. Stiamo parlando di persone che in qualità di titolari, soci o collaboratori familiari svolgono un’attività lavorativa prevalentemente manuale. Pertanto, per poter contare sulla copertura previdenziale devono iscriversi nella gestione artigiani dell’Inps. Se nel 2012 erano poco meno di 1.867.000 unità, nel 2023 la platea complessiva è crollata di quasi 410mila soggetti (-73mila solo nell’ultimo anno); ora il totale sfiora quota 1.457.001. In questi undici anni abbiamo assistito a una caduta verticale che si è interrotta solo nell’anno post Covid (+2.325 tra il 2021 e il 2020). Se questa tendenza non sarà invertita stabilmente, non è da escludere che entro una decina d’anni sarà molto difficile trovare un idraulico, un fabbro, un elettricista o un serramentista in grado di eseguire un intervento di riparazione/manutenzione nella nostra abitazione o nel luogo dove lavoriamo.
Secondo i dati Infocamere/Movimprese, anche il numero delle aziende artigiane attive è in forte diminuzione. Se nel 2008 (anno in cui si è toccato il picco da inizio secolo) in Italia le imprese artigiane erano 1.486.559, sono scese costantemente e nel 2023 si sono fermate a 1.258.079. Va segnalato che la riduzione in parte è anche riconducibile al processo di aggregazione/acquisizione che ha interessato alcuni settori dopo le grandi crisi 2008/2009, 2012/2013 e 2020/2021. Purtroppo, questa “spinta” verso l’unione aziendale ha compresso la platea degli artigiani, ma ha contribuito positivamente ad aumentare la dimensione media delle imprese, spingendo all’insù anche la produttività di molti comparti; in particolare, del trasporto merci, del metalmeccanico, degli installatori impianti e della moda”.
Il report 2024 ripercorre ed aggiorna la situazione analizzata nel 2023. L’anno scorso i ricercatori Cgia avevano fatto ricorso ad un titolo altrettanto ad effetto: “Fuga dall’artigianato. Tanti chiudono e si mettono a fare i dipendenti. I giovani, invece, non si avvicinano più”. Molti concetti del report 2023 sono ripresi testualmente nel report 2024. Nel 2023 si sottolineava che “senza botteghe si estinguono le imprese familiari”. E non veniva trascurato il costo sociale, anche in sicurezza pubblica, delle chiusure: “Con saracinesche abbassate città più insicure. Basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici”.
Più avvocati che idraulici
Entriamo nel report di poche settimane fa. Sono presenti confronti ad effetto, che si commentano da soli: “Abbiamo più avvocati che idraulici. Negli ultimi decenni tante professioni ad alta intensità manuale hanno subito una svalutazione culturale che ha allontanato molti ragazzi dal mondo dell’artigianato. Il tratto del profondo cambiamento avvenuto, ad esempio, è riscontrabile dal risultato che emerge dalla comparazione tra il numero di avvocati e di idraulici presenti nel nostro Paese: se i primi sfiorano le 237mila unità, si stima che i secondi siano “solo” 180mila. È evidente che la fuga dei cervelli in atto nel nostro Paese e, per contro, la mancanza di tante figure professionali di natura tecnica sono imputabili a tante criticità. A nostro avviso le principali sono: lo scarso interesse che molti giovani hanno nei confronti del lavoro manuale; la mancata programmazione formativa verificatasi in tante regioni del nostro Paese e l’incapacità di migliorare/elevare la qualità dell’orientamento scolastico che, purtroppo, è rimasto ancorato a vecchie logiche novecentesche di gentiliana memoria”.
E tornano, evidenziati, concetti e analisi del report 2023: “Senza botteghe si estinguono le imprese familiari. La contrazione degli artigiani e delle loro attività si possono notare anche a occhio nudo. Girando per le nostre città e i paesi di provincia sono ormai in via di estinzione tantissime botteghe artigianali. Insomma, non solo diminuisce il numero degli artigiani e le aziende di questo settore, ma anche il paesaggio urbano sta cambiando volto. Sono ormai ridotte al lumicino le attività storiche che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e tv, sarti, tappezzieri, eccetera. Attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, che hanno contraddistinto la storia di molti quartieri, piazze e vie delle nostre città, diventando dei punti di riferimento per le persone che sono cresciute in questi luoghi.
Con saracinesche abbassate città più insicure. Il degrado urbano si sta allargando a macchia d’olio; basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. Le città, infatti, non sono costituite solo da piazze, monumenti, palazzi e nastri d’asfalto, ma anche da luoghi dove le persone si incontrano, anche per fare solo due chiacchiere. Queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio. Senza botteghe a pagare il conto sono gli anziani. Con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani. Una platea sempre più numerosa della popolazione italiana che conta più di 10 milioni di over 70. Non disponendo spesso dell’auto e senza botteghe sottocasa, per molti di loro fare la spesa è diventato un grosso problema”.
Vale la pena ricordare – dato sempre Cgia sebbene non presente nei due report – che mancano all’appello in Italia anche ben 22.000 autisti.
Esistono però settori in controtendenza. Quali? “Non tutti i settori artigiani hanno subito la crisi. Quelli del benessere e dell’informatica presentano dati in controtendenza. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Va altrettanto bene anche il comparto dell’alimentare, con risultati significativamente positivi per le gelaterie, le gastronomie, le lavanderie a gettone e le pizzerie per asporto ubicate, in particolare, nelle città ad alta vocazione turistica”.
Le cause
Cause dell’abbandono e delle chiusure enunciate nel report di agosto: “L’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana, provocato in particolar modo anche da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno costretto molti artigiani a gettare la spugna. Una parte della ‘responsabilità’, comunque, è ascrivibile anche ai consumatori che in questi ultimi dieci anni hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti, sposando la cultura dell’usa e getta, preferendo il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatto su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on line o preso dallo scaffale di un grande magazzino”.
Ma è a monte che si colloca quella che ci piace definire “la madre di tutte le cause”. Di natura culturale-antropologica. Ormai storica. Osservano gli analisti: “Dobbiamo rivalutare culturalmente il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale. L’artigianato è stato ‘dipinto’ come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie B. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore. E nonostante la crisi e i problemi generali che attanagliano l’artigianato, non sono pochi gli imprenditori di questo settore che da tempo segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. Tante professioni non attraggono più.
In tutto il Paese si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”. Alla base di tutto, comunque, rimarrà il saper fare che è il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera”.
Introdurre la “scuola superiore per l’artigianato”
Dati così allarmanti ci suggeriscono una duplice proposta: 1) senza perdere un solo giorno istituire in Italia un nuovo indirizzo di scuola superiore statale pubblica, la “scuola superiore per l’artigianato” per contrastare il fenomeno; 2) favorire l’iscrizione al nuovo indirizzo di giovani migranti o ragazzi immigrati di seconda generazione nati in Italia o qui da quando erano bambini collegandola ad uno specifico diritto di cittadinanza ossia lo “ius manifacturae” o “ius artificii”.
Come replicare ai tanti che potrebbero obiettare che in Italia le scuole professionali statali per formare artigiani esistono dal lontano 1859 (Legge Casati)? Semplice. La “scuola superiore per l’artigianato” non sarebbe un percorso scolastico di serie B di ripiego per chi non era particolarmente dotato sui banchi o non voleva studiare. Sarebbe al contrario una scuola superiore che si pone sull’identico piano culturale e formativo di un liceo classico, scientifico, linguistico, di un istituto tecnico o magistrale. Scuola superiore di serie A con molto studio sui banchi e con programmi di elevato impegno culturale. Come i tempi e la tecnologia richiedono. Una scuola superiore con sue peculiarità. A cominciare dal legame con l’apprendimento nelle botteghe artigiane. La formula potrebbe essere un insegnamento alternato. Un giorno in classe per la teoria e le materie necessarie per tutti gli indirizzi, il giorno seguente nella bottega ad apprendere quella che sarà la professione della tua vita. Un bravo artigiano non si forma quando ha già 25 o 35 anni per ripiego o perché non ha trovato più allettanti soluzioni lavorative nella vita. È troppo tardi. Si forma a partire da 15-16 anni.
Obiettivo: il più ampio reclutamento possibile di ragazzi italiani. E contemporaneamente il maggiore reclutamento possibile di ragazzi immigrati vista la discutibile “ritrosia da nababbi” dei nostri giovani per il lavoro manuale artigiano. Se necessario, per chi frequenta la “scuola superiore per l’artigianato” andranno riviste le norme che regolano in Italia l’avviamento al lavoro dei minorenni con contratto di apprendistato. Prevedono attualmente che per l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale possono essere assunti ragazzi a partire dal 15esimo anno di età. Per il contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere e contratto di apprendistato di alta formazione e di ricerca l’età minima del lavoratore non deve essere inferiore a 17 anni. In questi casi, è possibile assumere un minorenne solo se è già in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi del Decreto legislativo 226/2005.
Non solo “ius scholae” ma anche “ius manifacturae”
Concludiamo con la seconda e ancor più provocatoria proposta: lo strettissimo rapporto tra nuova “scuola superiore per l’artigianato” e diritto di cittadinanza. Non prima d’aver messo in chiaro una premessa: chi firma questo articolo è dichiaratamente per lo “ius soli”. Senza se e senza ma. Tuttavia - considerata in materia la pavidità storica della sinistra e l’ostilità dichiarata della destra – piuttosto che polemizzare a vuoto e non legiferare perché non percorrere anche altre soluzioni in qualche modo contigue o collaterali allo “ius scholae”? Destinate a chi, figlio di immigrati, è nato in Italia e alle migliaia di minorenni che, quasi sempre da soli, approdano sulle nostre coste da Africa, Asia o via terra dal confine con la Slovenia (al 31 dicembre 2023 erano censiti in Italia 23.226 minori stranieri non accompagnati, di cui l’88.3 per cento maschi).
L’iscrizione al primo anno della “scuola superiore per l’artigianato” a conclusione delle medie inferiori comporterebbe la concessione automatica ma condizionata della cittadinanza italiana. In qualche modo in prova, da confermare e rendere definitiva al conseguimento del diploma al quarto anno. Ecco un percorso di integrazione, sostegno scolastico, fiducia, messa in prova della tua vocazione lavorativa e della tua scommessa di vita in Italia.
Deve essere forte l’investimento nel formare giovani artigiani neoitaliani per svolgere in modo moderno e con gli strumenti del XXI secolo mestieri antichi e tradizionali. Per questi ragazzi - “nuovi italiani” ma italiani a tutti gli effetti – si deve saper costruire una nuova crescita formativa, culturale e professionale. A base di corsi intensivi della nostra lingua (non esiste integrazione senza padronanza della lingua), di Costituzione, di tanta pratica artigianale. Potranno essere loro a salvare il nostro artigianato. Assieme ai giovani italiani… superstiti quanto a vocazione e manualità artigiana.
Infine una raccomandazione. Valida per tutte le generazioni. Quando ci convinceremo che un infarinato panettiere, un impiegato pubblico alla scrivania, un danaroso, elegantissimo manager con cravatta e vestito da 4.000 euro hanno pari dignità culturale e lavorativa e che anzi per la società il primo è più fondamentale degli altri due, sarà sempre troppo tardi. Ma siamo ancora in tempo per prevenire quelli futuri.
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