La rielezione di Trump
Rischi di scissione
tra libertà e democrazia
Politica | 20 novembre 2024
L’elezione di Trump, anzi la sua rielezione, è ovviamente argomento di grande interesse e al tempo stesso di grande preoccupazione. Il messaggio che si lancia al mondo è la consacrazione della scissione tra libertà e democrazia. Se nel ‘900, dopo due guerre mondiali e tante guerre coloniali, abbiamo potuto affermare che non c’era libertà senza democrazia, oggi siamo costretti a prendere atto di una inversione di tendenza nell’opinione corrente. La libertà, spogliata dai vincoli tipici delle democrazie, questo sembra ormai essere il mantra, può finalmente eludere qualsiasi politica che esalta la convivenza tra ceti, generi e le mille diversità dell’oggi; può superare ogni concetto di solidarietà e inclusione, parole invece non ovviabili in questo tempo, per ritrovare nella competizione tra tutti e su tutto la forza per diffondere benessere e ricchezza. Una libertà assoluta, questo sembra il cuore del mantra, è l’esaltazione dell’individualismo che invece tutto giustifica. Chi è forte vinca e chi non lo è subisca! Così è l’America oggi, insofferente verso il sistema pubblico che tende a correggere le distorsioni e tendenzialmente a ridurre le diseguaglianze. Nulla a che vedere con quella che liberò l’Europa dal nazismo e dal fascismo; vicina, invece, ai paesi a basso indice di democrazia. Se, dopo Capitol Hill, Trump, e non qualsiasi altro esponente del Partito repubblicano, torna a vincere le elezioni, significa che qualcosa si è rotto nel paese più potente del mondo.
E la destra, in Europa e soprattutto in Italia, che ha vivacchiato fin qui coltivando la nostalgia per i regimi sanguinari nazisti e fascisti, legata al carro delle avventure più reazionarie, oggi si trova al centro di una nuova strategia e di una nuova identità, sovranista e populista, in cui la scissione tra libertà e democrazia è, a differenza del passato anche recente, condivisa da milioni di uomini e donne. Non si tratta di un passaggio di breve periodo e bisognerà costruire un nuovo pensiero democratico se si vuole sconfiggere il pericolo di un arretramento dei diritti collettivi e dei valori fondanti delle democrazie.
Da alcuni anni, nel mondo e non solo in America, si respira questa nuova aria. Alla fine, Trump, Xi e Putin guardano allo stesso modello statuale. I modelli istituzionali sono diversi: Trump è eletto dal popolo, Putin è un dittatore che irride alla democrazia convocando elezioni fasulle, a Xi basta il Partito. Ma probabilmente lavoreranno ad una “nuova Yalta”, ne parlerò dopo, che rischia di vedere l’Europa sostanzialmente esclusa. Il modello europeo, infatti, di una Unione di Stati nata in tempo di pace e non di guerra, unica nella storia dell’umanità, è indigesto ai tre grandi. Su questo punto “l’internazionale del sovranismo” marcia d’amore e d’accordo. E' per il loro impatto sulla scena globale che abbiamo vissuto e viviamo intensamente la vicenda delle elezioni USA . Perché non c’è dubbio che saremo investiti da un pensiero politico, da una robusta ideologia, di cui Trump è espressione massima, sempre più radicale e sempre più avversa al modello dell’Unione Europea così come l’abbiamo conosciuto. Insomma, oggi Trump si sente più in connessione con il modello delle “democrature” asiatiche e russe che al liberalismo europeo. È la prima volta di un Presidente americano. Ed è pronto, anche, a generare una crisi globale del commercio attraverso l’imposizione di dazi verso tutti; e non disdegna, a ciò portano gli ammiccamenti di questi giorni, una politica che vede nell’Europa unita il grande equivoco di questa fase. E su questo sa di potere contare sulla Russia e probabilmente sulla Cina. È pronto, dunque, a schiacciare l’Europa. Anzi, sarà favorevole a processi di secessione dalla UE. E stavolta, il partito repubblicano, tutto, è infinitamente più debole nei confronti dell’establishment di Trump. Se l’America pensa solo a sé stessa il mondo farà un salto indietro di oltre cento anni. In definitiva, per Trump e Putin l’Europa deve tornare ad essere frammentata, come risultò dagli accordi di Yalta e non dal Trattato di Maastricht. Prima del “muro” e non dopo. C’è il rischio, questo mi pare il pericolo, che si intreccino tra loro interessi che alla fine trovano come sintesi oggettiva la chiusura del sogno dell’Europa democratica. Ecco, “Make America Great Again”, che tanto appassiona la destra e l’estrema destra italiana, è un programma che non punta a governare il mondo con responsabilità e saggezza, ma a sconquassare il sistema delle alleanze ed i fondamenti della libertà e della democrazia, per tornare a costruire un mondo sicuramente meno democratico. Del resto, l’invasione dell’Ucraina non è altro che la dichiarazione ufficiale di Putin che la Russia torna in campo da protagonista nella partita tra Usa, Cina ed Europa perché vuole tornare ad essere, ancora una volta, decisiva.
I Russi non hanno mai fatto mistero che un paese come il loro, che affaccia su tre Continenti, debba avere un nuovo ruolo strategico, soprattutto sul terreno della scelta delle alleanze possibili.
Si apre, dunque, una fase di incertezza da cui può determinarsi una instabilità politica ed economica per una grande ed importante area come la nostra. Altro che “Italietta” tutta confini e tutta concentrata nella “campagna d’Albania”; oppure nella definizione, per legge, dei paesi sicuri; oppure, appiattita sui “sovrani” dei paesi dell’ex patto di Varsavia nonché amica di tutto il movimento filonazista e fascista d’Europa. Forse non è esagerato affermare che la UE, nel momento di più alta difficoltà nelle relazioni internazionali e delle politiche economiche, non sia in buone mani. La crisi politica apertasi in Germania e la crisi industriale che la attanaglia, le fragilità politiche francesi e spagnole, ed il redivivo nazionalismo italiano, a volere essere indulgenti, ci dicono che l’Europa, oggi, sta passando il peggiore momento dalla sua unificazione.
A complicare il quadro c’è che la grande America di Trump prova fastidio per la Nato, e questa, nella politica estera americana, è una grande novità. Il paventato ridimensionamento della Nato sembra essere una ovvia conseguenza del clima che si respira soprattutto se messo in relazione all’invasione dell’Ucraina ed alle provocazioni di Putin nei confronti della UE.
Al di là del favore a Putin e ai cinesi, ed anche a qualcuno tra noi ancora convinto di essere nei favolosi anni ’60 e ’70 dello scorso secolo, questo significherebbe, proprio per quello che succede sul fianco est della UE e dell’Europa tutta, una corsa al riarmo senza precedenti per difendere i confini UE e al di sopra, drammaticamente, di quel 2% quale obiettivo prefissato di questa fase della UE. Questi soldi dovrebbero servire invece a fare qualcosa di buono come rafforzare attraverso il debito comune, il green deal; per permettere una transizione che non si scarichi contro le fasce sociali più deboli; per un processo di sviluppo digitale europeo che sottragga i cittadini UE al monopolio dei giganti del web USA. Per non parlare, ovviamente, dell’energia!
Parliamo di temi nevralgici per nulla secondari alla doverosa preoccupazione per il grande tema delle libertà e della democrazia in Usa e della funzione sempre più strategica di pochi, grandissimi oligarchi che anche lì ormai hanno assunto piena legittimità e riconoscimento politico e di governo.
Nella UE dovremo prima o poi fare i conti invece, almeno lo speriamo, con il processo di progressivo ed auspicabile superamento dei confini delle vecchie Nazioni, perché l’Europa degli Stati è sempre più debole. Non ha retto né la locomotiva tedesca né l’asse franco-tedesco. È il momento di fare ancora un passo in avanti nella direzione dell’unità sostanziale europea.
Intanto perché l’Europa dovrà imparare rapidamente a muoversi in un quadro di progressivo isolamento, visti gli annunci della vigilia di Trump, e dovrà decidere come difendere la sua economia e, questa volta sì, i suoi confini, nel nuovo quadro che sembra delinearsi, visto il sostanziale via libera a Putin da parte di Trump sull’Ucraina. È vero, la globalizzazione è sostanzialmente fallita, ma i mercati continuano ad essere ancora globali fino a prova contraria. Ne è prova il disastro dell’automotive che sta mettendo in ginocchio la Germania in virtù della concorrenza cinese, solo per fare l’esempio più noto. Inoltre, la mancanza di una più generale e robusta produzione energetica, essendo l’Europa importatrice di gas dagli Usa e dall’Africa dopo la stagione dei gasdotti russi, sta già comportando da tempo crisi strutturali in alcuni settori industriali ad alta intensità energetica, ristrutturazioni feroci, chiusure di aziende ed aumenti dei costi e dei prezzi. Da gennaio dirigerà l’energia un grande imprenditore del fracking americano, tecnologia che con i prezzi del petrolio medio-alti, come lo sono in questa fase, è altamente competitiva nello scenario globale ma al contempo fortemente distruttiva dell’ambiente. Basta guardare l’Italia, con le ristrutturazioni in corso in Eni ed Enel, solo per fare due esempi noti, dove si sta procedendo alla dismissione della chimica di base nella prima, e della produzione di energia elettrica, nella seconda. Insomma, transizione energetica e competitività nei settori energivori sono, in questa fase, un punto debole per la UE. Ulteriore esempio, se ce ne fosse ancora bisogno, ne sono i salvataggi pubblici di grandi imprese in Germania.
Altro che sovranismo nazionale! Ci sarà bisogno di un governo deciso ed autorevole della UE per farci uscire dal pantano in cui ci troviamo. Se guardo al dibattito di questi giorni attorno alla nomina dei nuovi commissari UE, mi sembra che non sia alle viste un cambio di passo. La UE continua ad essere inceppata dentro la dialettica tra vecchi Stati. Sarebbe cosa utile almeno prendere coscienza che da soli, ciascuno degli Stati componenti la UE, non è in grado di spostare quasi nulla. Non ce l’ha fatta l’Inghilterra, La Germania non è stata in grado di trainare l’Europa, figurarsi l’Italia, la Francia o la Spagna! Potremo fare politiche di nicchia, ma nulla più. E ristrutturare, ridimensionare, tanto e dolorosamente!
Certo, è assolutamente vero, Trump non ci piace e siamo preoccupati del suo ritorno nella scena globale, ma siamo altrettanto legittimamente preoccupati per la Ue ed il nostro paese per la piega che ha preso la politica globale. Sentiamo sempre più insistentemente espressioni enfatiche come “difesa dei confini”, “Nazione” e “Patria” quasi fossimo ancora in pieno Risorgimento mentre, se vogliamo pesare nella scena globale, l’unico modo è quello di rafforzare i diritti civili, le libertà e la democrazia. Questi, insieme al rafforzamento del mercato unico, possono essere garantiti solo dal progetto di unificazione europea. Bisognerebbe, a questo punto, fare presto e bene. L'orologio del tempo, in questo caso, non è infinito.
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