La Sicilia nei nuovi scenari militari
Chi firma questo articolo negli anni di Comiso (1981-1991) aveva una età che andava dai 26 ai 36 anni e conserva ben memoria di quel tempo, dell’angoscia, delle discussioni, dei dibattiti, delle manifestazioni, delle prese di posizione di chi - come Pio La Torre - intuiva la follia presente nelle decisioni dei Massimi Sistemi. Contrarietà all’installazione degli euromissili a Comiso perché la deterrenza nucleare è folle, se fallisce nel suo intento comporta l’automatica distruzione del genere umano sulla terra. Calcolavamo le distanze chilometriche da Comiso, ovvio bersaglio di attacco o ritorsione sovietica. Esercizio patetico, una esplosione nucleare a Comiso forse non ci avrebbe incenerito all’istante ma saremmo egualmente morti tra atroci sofferenze, con probabilità per gli effetti della ricaduta radioattiva del fungo atomico. Abbiamo gioito per il crollo del muro di Berlino nell’indimenticabile 1989. Ma prima della gioia quante paure, quante preoccupazioni. Quella vicenda finì bene. Anche perché i duellanti, Reagan e Gorbaciov, erano statisti, avevano una statura morale prima che politica che Putin e Trump sconoscono. Oggi siamo nelle mani di questi due estremisti, odiatori, prevaricatori.
Un malvagio dittatore il primo. Un ultraconservatore il secondo, Donald Trump, che ha reso una culla della democrazia un paese tanto diviso da sembrare alla vigilia d’una seconda guerra civile. Una superpotenza, gli Usa di Trump, che non distingue tra alleati, partner e non alleati. Ricattatrice con tutti. Claude Malhuret, ex ministro francese, ha definito Trump un Nerone, l’incendiario imperatore romano. C’è anche chi l’aveva definito “il Caligola della Casa Bianca”. Caligola fu l’imperatore, non a posto con tutte le rotelle, che aveva obbligato il Senato romano ad eleggere senatore il suo cavallo. Imprevedibile, volubile, Trump forse non si rende neppure conto dei guai che provoca, a partire dalle guerre commerciali.
In Sicilia l’hub addestrativo per gli F-35
Dunque come negli anni ’80 del secolo scorso la nostra isola torna “nel centro del mirino”. Nucleare. Se Russia e Nato si spareranno missili qui abbiamo più alte probabilità che ne arrivi qualcuno marca Putin. Perché tra circa sei mesi in Sicilia sorgerà il primo centro fuori dagli Usa in cui si addestreranno i piloti degli F-35. Aerei che possono essere armati sia di missili convenzionali che nucleari a corto raggio tattici. Per il Cremlino distruggerli prima che si alzino in volo, o che colpiscano se in volo, diventerebbe questione di attimi per prevenire un danno esiziale.
La notizia di questa assegnazione alla Sicilia (“Come siamo fortunati noi!...”, direbbe Fantozzi) risale al 2 luglio. A leggere certi articoli e ad ascoltare certe dichiarazioni di politici e di opinionisti da salotto televisivo sembrava quasi che avremmo dovuto ringraziare, che per la Sicilia si stava aprendo una nuova età dell’oro quanto a sicurezza, prospettive economiche, sviluppi nella ricerca e nuove tecnologie. Siamo al vomitevole o all’inconsapevole o all’incosciente. In tanta stereotipia politica e informativa abbiamo invece apprezzato giovedì 3 luglio sul quotidiano catanese “La Sicilia” in prima pagina un titolo - “Top Gun alla Norma” - sulla foto di un F-35: titolo intelligente, persino ironico, un richiamo belliniano nella città possibile candidata a sede della formazione. E nel sommario: «Il ministro Crosetto: “La Sicilia sarà il primo luogo extra Usa per addestrare i piloti degli F-35” Sigonella favorita su Birgi. Sullo sfondo l’uso delle nuove bombe tattiche nucleari B61-12 ». A pagina 5 scrive Mario Barresi, firma di punta del quotidiano nel suo equilibrato articolo: «Guido Crosetto, davanti al presidente della Repubblica, anticipa che “la Sicilia sarà il primo luogo al di fuori degli Stati Uniti dove verranno formati i piloti degli F-35”. Ma il ministro della Difesa non dice dove avverrà il training dei Top Gun alla siciliana. Né, ovviamente, gli effetti collaterali della scelta. A partire dal potenziale utilizzo di armi nucleari tattiche. E non solo per le esercitazioni. Partiamo dal “dove”. La collocazione è semplice: o a Sigonella o a Trapani Birgi (…). Anche Trapani Birgi potrebbe essere un’opzione, a dire il vero più complementare che alternativa. (…) Un altro dettaglio che il ministro Crosetto – per ovvie ragioni di riservatezza – non ha precisato durante l’annuncio è che secondo un preciso protocollo militare gli F-35 (l’Italia ne ha ordinati ben 115 per un costo complessivo di 90 miliardi di euro e prevede di espandere ulteriormente la propria flotta, condividendo la produzione con gli Stati Uniti attraverso l’impianto di assemblaggio di Cameri, in Piemonte) prevedono la capacità di utilizzo di armamenti nucleari a corto raggio. Si tratta delle B61-12, le nuove bombe nucleari tattiche statunitensi. L’F-35 è uno dei pochi velivoli al mondo capace di trasportarle. Certo, non è detto che l’attività di addestramento, comunque sotto l’egida degli Usa, preveda il caricamento di questi armamenti nucleari, ma resta comunque da sciogliere il nodo della strategia di condivisione dei mezzi, che completano la dotazione di questi strumenti. Rendendo dunque l’Isola un punto ancora più strategico nello scacchiere militare mondiale. Ed è per questa ragione che quando si deciderà di avviare il centro di formazione (i tempi stimati sono di circa sei mesi), è proprio Sigonella – avamposto della Nato per le operazioni in Africa del Nord, Medio Oriente e Mar Nero – la sede più naturale per ospitare la “scuola”».
Barresi cita altre parole di Crosetto: “(…) “Il futuro si costruisce non limitandosi alla difesa ma facendo diventare la difesa un motore sociale, economico e di innovazione tecnologica. E questo ne è l’esempio”, ha sottolineato il ministro, che ha poi voluto rispondere alle polemiche di questi mesi sull’aumento delle spese per la difesa: «Abbiamo bisogno di una difesa forte principalmente per garantire la pace e la sicurezza, perché non c’è democrazia senza pace e sicurezza. Non c’è futuro o ospedale senza una difesa forte. La difesa non può essere vissuta come un costo ma è un’opportunità per lo sviluppo, come dimostrano le aziende Leonardo e Fincantieri».
Sulle discutibili asserzioni del ministro, perfettamente convinto e calato nel suo ruolo (anche per i trascorsi lavorativi: nel 2014 nominato presidente di Aiad, la Federazione aziende italiane per l’aeropazio, la difesa e la sicurezza di Confindustria che Senior Advicer di Leonardo) il quale sostiene che la difesa non è un costo ma una opportunità per lo sviluppo ne riparleremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni, se non salteremo in aria nel frattempo. Ne riparleremo man mano che alla difesa destineremo dall’attuale 1,8 per cento del Pil il 5 per cento e per racimolare le risorse necessarie chiuderemo ospedali, scuole, università, servizi di assistenza alle fasce bisognose, interventi di manutenzione, trasferimenti di risorse agli enti locali, pur di rispondere “Sissignore” a Trump, armarci e ancora riarmarci. Ovviamente - in particolare per le più sofisticate – di armi made in Usa.
Ma torniamo, conclusivamente, a Barresi, il quale riporta anche una dichiarazione a “La Sicilia” del presidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, il siciliano, originario di Modica, Nino Minardo: “L’istituzione in Sicilia di un polo globale per l’addestramento dei piloti F-35 rappresenta una scelta di forte rilevanza strategica. Non è solo un riconoscimento delle capacità operative del nostro Paese, ma anche un’opportunità concreta per rafforzare il ruolo dell’Italia nella cornice della difesa euro-atlantica”. Il deputato siciliano rilancia anche un messaggio di tipo economico-militare: “Dal punto di vista economico, l’iniziativa può avere ricadute significative sul territorio, generando occupazione qualificata e attrazione di investimenti. La presenza di una struttura di questo livello in Sicilia rafforza il sistema industriale della difesa e apre nuove prospettive per la formazione e la tecnologia. È fondamentale adesso che ci sia massima attenzione e collaborazione per seguire ogni sviluppo, garantendo il necessario supporto istituzionale”.
Come era stato catturante il titolo in prima così è intelligente la conclusione di Barresi dopo aver riportato le dichiarazioni dei due importanti rappresentanti istituzionali: “Suggestioni in stile Tom Cruise, investimenti miliardari e un’idea di filiera industriale della difesa. Ma sullo sfondo un legittimo timore: che questa oggettiva centralità porti con sé anche un incubo nucleare”.
La “pistola di Cechov” e la soglia nucleare più abbassata
Ecco il punto: l’incubo nucleare. Quotidianamente crescente in un mondo dove apparati industrial-militari, fabbriche di armi, militarismo, bellicismo sono sempre più presenti e visibili, più determinanti, padroni del campo in ogni paese. Si attribuisce al drammaturgo russo Anton Cechov la frase: «Se nel primo atto di una pièce teatrale appare un fucile appeso al muro, nell’ultimo atto questo fucile sicuramente sparerà». Un aforisma che è stato definito il principio drammaturgico della “pistola di Cechov”. E la storia ha dimostrato che questo principio non si applica solo alla drammaturgia ma ai rapporti tra le nazioni e agli eserciti. Ce ne siamo completamente dimenticati. Come ci siamo dimenticati che dall’entrata nell’era nucleare (1945) l’umanità, se intende continuare ad esistere, si confronta con una realtà totalmente diversa rispetto a prima. Tornando all’incubo nucleare: per tanti strateghi dell’Est e dell’Ovest l’ipotesi di ricorso all’arma nucleare tattica non è più un tabù. “Si può fare, amigo”, altro titolo di film che si potrebbe prendere a prestito. Una soglia sempre più abbassata. Ci siamo dimenticati - ci appaiono lontane - delle atrocità nucleari di Hiroshima e Nagasaki del 1945. A sentire Crosetto e Minardo sembra che la Sicilia sia quasi una sorta di nuovo set dell’ennesimo film “Top Gun” con Tom Cruise, sia stata baciata dalla fortuna, quando invece la faccenda è drammaticamente più catastrofica.
Il rischio nucleare e la nuova B61-12
La variabile che non soppesiamo adeguatamente è che oggi il rischio nucleare si frammenta. Non portato solo dalle basi scavate nella roccia dei missili intercontinentali, dai sottomarini nucleari in immersione per mesi, dai bombardieri strategici in volo h24 come i longevi B-52 in servizio dai tempi del Vietnam, dalle basi come Comiso o decine di altre sparse in Europa e nel mondo. È portato anche da aerei di modeste dimensioni, fabbricati a migliaia, come l’F-35 e i corrispettivi russi e cinesi che volano sulle teste di miliardi di individui. Potenzialmente capace dunque, uno solo di questi “piccoli” e ultramoderni cacciabombardieri, di distruggere una intera nazione.
A proposito di effetto distruttivo delle nucleari tattiche bisogna fare luce perché confusione, disinformazione, fake news al tempo della guerra ibrida la fanno da padroni. Nuova, di dimensioni contenute rispetto agli ingombranti modelli che ha sostituito, la B61-12 con cui è possibile armare gli F-35 sui quali si addestreranno i piloti in Sicilia, ha una capacità distruttiva per così dire “regolabile” secondo l’intensità del colpo che si intende dare, da 0,5 a 50 chilotoni. Confronti: la prima atomica, all’uranio, su Hiroshima esplose a 580 metri dal suolo e aveva una potenza distruttiva di 16 chilotoni ossia di 16.000 tonnellate di tritolo. Fece 160.000 vittime. Quella sganciata su Nagasaki pochi giorni dopo, il 9 agosto, al plutonio, aveva una potenza di 21 chilotoni. Fece 80.000 vittime. I danni dipendono anche da orografia, localizzazione del bersaglio, densità abitativa, caratteristiche climatiche dell’obiettivo. Il tempo di decadimento radioattivo del Cesio 134 in Giappone è stato di appena due anni. Oggi sarebbe ben più lungo. Ecco perché le due città si sono potute ricostruire. Oggi la potenza distruttiva e radioattiva di questi ordigni tattici – cioè non da apocalisse globale ma da impiegare sul fronte o per distruggere una singola città o una singola regione e terrorizzare una o più nazioni – rende niente di più di vecchi archibugi dagli scarsi effetti gli ordigni che si sono portati via in appena due colpi un quarto di milione di persone.
Ma torniamo sulle caratteristiche della B61-12, un regalo che ci ha mandato Joe Biden nel 2023. Scriveva Francesco Palmas il 22 ottobre 2022 sul quotidiano “Avvenire” (“Analisi. In Europa 150 nuove bombe nucleari tattiche. Biden accelera lo schieramento”): “Non ci voleva proprio. Anziché tentare di riannodare i fili del dialogo con Mosca, Washington ha avuto l’idea di anticipare di oltre un anno lo schieramento di 150 bombe nucleari tattiche di nuova generazione in Europa.
Si obietterà che lo scenario è teso e che è la risposta all’escalation russa. Dal 2014, la dottrina russa ha puntato troppe carte sulle testate sub-strategiche. È arrivata ad ammetterne l’impiego in caso di minaccia agli interessi vitali della Federazione. Alzando il livello dello scontro, il Cremlino ha finito per legittimare il mantenimento di una componente nucleare statunitense in Europa, in barba al regime di non proliferazione.
Secondo le indiscrezioni raccolte da “Politico”, solo gli Stati Uniti deterranno i codici di attivazione delle nuove testate, che si chiameranno B-61 modello 12 e subentreranno alle varianti 3 e 4 a partire da dicembre. È sempre stato così.
C’è però una novità. Fino a poco tempo fa si sapeva che i Paesi coinvolti sarebbero stati il Belgio, la Germania, l’Italia, i Paesi Bassi e la Turchia. Ma a inizio anno, la Nato ha fatto filtrare un dettaglio inedito: un sesto alleato europeo ospita ed ospiterà le bombe americane, detenute in regime di doppia chiave. La Federazione degli scienziati americani, che si batte da una vita per il disarmo nucleare, ha individuato nella Grecia il sesto paese.
Tutti saranno chiamati a contribuire con piloti e aerei, per ora cacciabombardieri F-16 e Tornado, in attesa che gli F-35 completino la certificazione, prevista entro il 2024. In caso di scontro nucleare con la Russia, la catena di comando è precisa: ad azionare il fuoco atomico sarebbe una decisione statunitense e della Nato, ma i governi che ospitano le bombe conserveranno la libertà di opporvisi per motivi politici.
È quasi certo che nessun governo autorizzerebbe un raid nucleare se i suoi territori non fossero attaccati direttamente con armi atomiche. Sta di fatto che le nuove bombe permetteranno alla Nato e agli americani di graduare un’eventuale rappresaglia, perché le B-61-12 avranno potenza termonucleare regolabile da 0,3 a 50 kilotoni. (…) La base italiana di Aviano è già pronta, mentre a Ghedi sono in corso enormi lavori di modernizzazione. L’addestramento alle novità partirà con l’anno entrante. (…) Un incubo che sembra senza fine”.
Altri dettagli informativi sui proiettili atomici che potrebbero sganciare gli F-35 sui quali ci si addestrerà in Sicilia: “(…) Dalla fine della Guerra fredda il loro numero è calato drasticamente ma restano ancora un totale di 150 ordigni, di cui 20 in Belgio, Germania e Olanda, 50 in Turchia e 40 in Italia. Nel nostro Paese le testate sono immagazzinate presso le basi militari di Ghedi, istallazione condivisa dalle forze alleate, e presso la struttura di Aviano, di proprietà esclusiva degli Stati Uniti.
La B61-12 è una nuova e avanzata testata nucleare pensata per essere trasportata da bombardieri appositamente equipaggiati e possiede un potenziale esplosivo compreso tra gli 0,5 chilotoni e i 50 chilotoni. Tuttavia l’arma dispone di una capacità di penetrazione che aumenta drasticamente la capacità contro obiettivi sotterranei fino a una potenza distruttiva pari a una detonazione superficiale di 1.250 chilotoni, cioè 83 volte la bomba che ha cancellato Hiroshima. (…)
Questo però non è l’unico “miglioramento” effettuato. Se la precedente testata B61-11 poteva essere infatti caricata solo su aerei modello B-2, questa nuova versione può essere trasportata da tutti i bombardieri con capacità nucleare in dotazione ai Paesi Nato, compresi F-35 e Tornado. “Non si tratta semplicemente di sostituire le vecchie testate con modelli nuovi dalle medesime capacità ma di un vero e proprio miglioramento tecnologico” spiega Francesco Vignarca, coordinatore delle Campagne della Rete italiana Pace e disarmo. Questo potrebbe essere visto come una violazione del Trattato di non proliferazione (Tnp) da parte di tutti i Paesi firmatari, Italia inclusa, che dovessero ospitare queste armi. Inoltre ogni passo per ammodernare il proprio arsenale nucleare non fa altro che erodere il tabù verso l’utilizzo di queste armi”. (…) “Anche l’utilizzo di armi nucleari ‘tattiche’ o ‘circoscritte’ - riprende Vignarca - non trova alcuna giustificazione. Basterebbe una sola detonazione per dare inizio a una escalation pericolosa e incontrollabile”. (Andrea Siccardo “B61-12, le nuove testate nucleari Usa in arrivo in Europa. Italia inclusa” in Altreconomia, 23 dicembre 2022).
La Russia non è poi messa male
Comunque si tranquillizzino i filoputiniani straconvinti che la colpa di tutto quello che sta succedendo è dell’Occidente cinico e baro, che ha obbligato il dittatore russo ad invadere l’Ucraina nel 2014. E a fare il bis nel 2022. Per reagire alla voglia di Occidente di Kiev e per reagire alla minaccia di conquista dell’immensa madrepatria russa da parte della sempre più debordante Nato (sic). Si tranquillizzino: la Russia sul fonte opposto non è poi messa male. Di ordigni “antagonisti” a quelli della classe B61-12 ne dispone da 1000 a 2000. Si va sul sicuro dalle parti di Mosca nell’inossidabile primato in fatto di numeri di atomiche, di missili per trasportarle, di velocità dei missili. Certo, dalla “lontana” Russia occorrerebbe qualche quarto d’ora in più ma dalla Libia orientale, da Bengasi, trasformata dal ras locale, il generale Haftar, in una ubbidiente neocolonia di Mosca la Sicilia dista appena 470 chilometri. Una manciata di minuti per colpire con un missile ipersonico con testata nucleare tattica come l’Iskander. O i Kinzhal capaci di raggiungere dieci volte la velocità del suono di cui possono essere equipaggiati i cacciabombardieri russi Mig 31, Tu 16, Tu22, Su 34, Su 35 e il nuovo, ancora più sofisticato e micidiale, Su 57. Una manciata di minuti per sganciare sull’obiettivo Sicilia – dove il nemico si addestra all’uso delle stesse tipologie di armi - e mettere definitivamente fine a millenni di storia. Che scenari da incubo.
E se l’hub addestrativo fosse Comiso?
C’è però chi ritiene che né Sigonella né Trapani Birgi saranno sede della scuola di addestramento. E – udite, udite – avanza una nuova e contemporaneamente vecchia ipotesi: ancora Comiso. Come dire: i morti ritornano. “L’aeroporto Pio La Torre di Comiso verso la riconversione a scalo di guerra Usa/Nato?”. Se lo chiede Antonio Mazzeo, figura nota nel mondo del pacifismo italiano. Il quale argomenta: “Mercoledì 9 luglio sono stati monitorati alcuni atterraggi di velivoli militari nell’aeroporto civile di Comiso (Ragusa) intitolato a Pio La Torre, il segretario regionale del Pci assassinato per il suo impegno contro la mafia, la militarizzazione dell’Isola e l’installazione dei missili nucleari Cruise proprio a Comiso. Mentre ormai lo scalo civile sembra essere destinato alla chiusura si fanno sempre più forti le pressioni per la sua conversione a fini bellici. La scorsa settimana il ministro della Difesa Guido Crosetto ha annunciato che la Sicilia sarà trasformata in piattaforma addestrativa per i top gun Usa e Nato che utilizzano i cacciabombardieri di quinta generazione F-35 (a capacità nucleare). In tanti hanno pensato che sarà Sigonella a fare da hub addestrativo per l’US Air Force; personalmente ritengo invece che le autorità militari per tutta una serie di ragioni (anche logistico-operative) opteranno per un’altra destinazione. L’aeroporto di Comiso è un’“ottima opzione”, ma non scarterei anche la possibilità che vengano utilizzati pure gli aeroporti militari di Trapani Birgi (già base della Nato per le operazioni degli aerei Awacs) e Pantelleria (in questo scalo in più esercitazioni sono atterrati i velivoli F-35 in dotazione all’Aeronautica Militare Italiana).
La lotta contro la militarizzazione della Sicilia – a partire dall’opposizione alla riconversione a fini militari di Comiso – deve diventare l’obiettivo prioritario di ogni soggetto sociale e politico che intenda richiamarsi all’Utopia di Pio La torre di una Sicilia ponte di pace e cooperazione tra i popoli del Mediterraneo”.
Quella di Mazzeo è una ipotesi. Tutta da verificare. Vedremo se l’intuizione è stata acuta oltre che pronta. Ripristinare Comiso 35 anni dopo lo smantellamento dell’aeroporto militare sarebbe una vera e propria beffa. E, per quanto ci riguarda, uno schiaffo alla memoria di colui al quale è stato intitolato l’ex aeroporto Magliocco.
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