Lo Monaco, la mafia
braccio armato
della classe dirigente
Società | 2 luglio 2025

Vito Lo Monaco si presenta puntuale all’appuntamento in streaming, è giovedì 17 aprile. La chiacchierata è pregnante, pacata ma non priva di accenni indignati, soprattutto quando si toccano certi tasti sensibili, quelli per i quali il presidente emerito del “Centro studi Pio La Torre” – di recente insignito della laurea honoris causa dall’Università di Palermo – ha lottato per una vita. È il caso, fra gli altri, dell’ingiustizia sociale, di un disagio cresciuto negli ultimi decenni per via del neoliberismo e di una globalizzazione priva di controllo. Un disagio che, come afferma il mio ospite, «crea una relazione con le mafie, perché i boss fanno beneficenza a livello territoriale, appunto per avere consenso», e a ciò va aggiunto un altro aspetto, ossia il fatto che «le politiche di assistenza del welfare non sono sufficienti, si stanno via via riducendo».
Dunque, la società è mafiosa, dottor Lo Monaco? No, «è subalterna alla mafia», risponde; «il povero che si vede arrivare il sacchetto assistenziale durante il Covid diventa un soggetto subalterno, perché riconosce che chi glielo elargisce è una brava persona […]. Qui c’è tutta la sovrastruttura ideologica della mafia, a partire dalla famiglia; cose, poi, negate nella realtà, perché hanno ammazzato bambini e intere famiglie e così via».
La mafia di cui parla Lo Monaco non è la stessa di sempre. Ha ben chiare il mio interlocutore le metamorfosi delle consorterie criminali: non è più quella dinamitarda dei Corleonesi, è una mafia silente, sommersa, mutata anche a seguito del mutamento dell’assetto politico nazionale. Ma, certo, non è meno pericolosa, anzi, anche per un processo di internazionalizzazione che si è accompagnato alla globalizzazione degli scambi. Forse, il pericolo maggiore è da rinvenirsi nel suo attacco alla democrazia, al piano dei diritti sociali, economici, politici; un attacco che – tiene a precisare – è ben integrato in un processo più ampio, estraneo alle mafie, di riduzione degli spazi democratici e sociali. La nostra democrazia è incompleta, ragiona il mio ospite, perché non tutte le parti della Costituzione sono state attuate e, oggi, ne vengono smantellati alcuni pilastri, compresa la legislazione antimafia, così come viene abolito l’abuso d’ufficio, le intercettazioni telefoniche vengono contingentate. Se sono gli stessi governi ad attaccare il piano dei diritti, se l’impoverimento è crescente, se i salari sono via via ridotti a partire dal 2008, allora non c’è dubbio che le mafie possano continuare ad allignare, a perpetuarsi, a rinvigorirsi, anzi, trovando gli interstizi adatti in cui incunearsi.
Si arriva al nocciolo della questione, a un tema caro a Lo Monaco, cioè le relazioni tra mafia e politica; il discorso torna, reiteratamente, su questo problema. Lo dice fin dalle prime battute, con convinzione: «senza protezione politica non esisterebbe la mafia, sarebbero soltanto organizzazioni criminali, il tal caso la repressione delle forze dell’ordine chiuderebbe il problema. Invece, nonostante la repressione, il fenomeno si riproduce nel quartiere, nel territorio, nell’economia globalizzata». E, in altro passaggio, il mio interlocutore, riferendosi alla mafia corleonese, sottolinea come quel tipo di mafia sia stata sconfitta, ma non sia scomparsa. «Perché? Perché il rapporto con le classi dirigenti è diventato più sottile».
Il tema del riassetto politico dopo gli sconvolgimenti portati dalla fine dell’Unione sovietica è letto da Lo Monaco come una degenerazione della politica, una graduale sottrazione della pratica di governo quale servizio alle masse. Non più, appunto, partiti di massa, ma «partiti correntizi, in cui ognuno pensa al proprio potere; questo non crea, appunto, un’alternativa, perché il populismo e il sovranismo di centro-destra prevalgono nell’opinione pubblica. Prevale l’idea dell’uomo forte, perché si pensa che con questa confusione non reggiamo più». E in questa graduale degenerazione partitica si innesta la vitalità mafiosa, si mantengono le condizioni per cui i gruppi criminali possano vivere e prosperare. «Com’è possibile che, in questi giorni, di fronte a fenomeni di omicidi mafiosi e così via, nessun partito di destra o di sinistra abbia parlato»? Si domanda questo, così come si indigna di fronte all’inerzia dell’attuale Commissione parlamentare antimafia, quella presieduta dalla deputata di FdI Chiara Colosimo. Nelle precedenti commissioni – precisa il mio interlocutore – c’era un certo impegno culturale, un importante impegno parlamentare, «ora questo impegno non è visibile».
Dunque, un ceto politico poco sensibile all’argomento, chiuso in modo quasi autoreferenziale su sé stesso, poco propenso ad affiancare alla repressione del fenomeno mafioso il suo contrasto attraverso la ricostruzione di condizioni sociali ed economiche meno degradanti per le fasce più deboli della società italiana. L’educazione, la pedagogia civica è, ai suoi occhi, una possibile via d’uscita dalla soffocante cappa grigia in cui vive la nostra democrazia. Gli studenti delle scuole elementari che celebrano la ricorrenza della morte di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, là dove furono uccisi; i bambini che raccontano quella vicenda sono uno spiraglio di speranza.
Una vicenda che, per Lo Monaco, è ancora viva, come il ricordo dell’amico e collega di partito Pio La Torre. A lui dedica parole affettuose e il riconoscimento di un lavoro coraggioso, così coraggioso da aver comportato il fatto di essere perennemente pedinato: «lui per anni e anni è stato pedinato, perché era, come si suol dire, sotto sorveglianza, nel nome dell’anticomunismo, prima, e poi durante il terrorismo e così via». Pedinato e minacciato poco prima di essere ucciso.
Il gruppo dirigente comunista siciliano aveva dovuto “farsi una pistola”, era necessario, perché, dopo altri omicidi eccellenti, La Torre sapeva che sarebbe toccato a lui, a maggior ragione dopo l’imponente manifestazione per lo smantellamento dei missili di Comiso, che «toccava interessi occidentali e dell’Est sovietico». E, dentro la rievocazione di La Torre, entrano pure quella di Rocco Chinnici e del generale dalla Chiesa. Il primo, colui che ebbe l’intuizione del pool antimafia, osteggiato da tanti magistrati; il secondo, l’uomo che intuì, tra i primi, l’importanza di parlare con i giovani, di aprire lo Stato alla società civile, che avrebbe dovuto presenziare a un incontro al comitato popolare di lotta contro la mafia, organizzato dallo stesso Lo Monaco, ma che non vi riuscì perché assassinato prima.
Ci si saluta parlando di cani, argomento che accomuna i due interlocutori, per quanto apparentemente distante dal tema mafioso. Forse, un legame c’è, però, la sensibilità del mio ospite per tutti i deboli, gli inermi della terra, fossero anche dei pittbull affamati che terrorizzano i clienti di un supermercato.
https://www.girodivite.it/La-mafia-braccio-armato-della.html
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