Miceli, i giovani siano protagonisti del 23 maggio

“Non si possono tenere i piedi in due staffe: con Borsellino e Falcone e con l’area della collusione”. Emilio Miceli, presidente del centro studi Pio La Torre, segna il confine che separa posizioni nette e pure inconciliabili. O di qua o di là dice, non a caso, in occasione della giornata del 23 maggio così carica di valori simbolici che pone prima di tutto il tema del cambiamento.
Tanto per restare al 23 maggio, associazioni e gruppi giovanili rivendicano uno spazio e un ruolo di centralità per l’antimafia sociale. Da dove nasce questa spinta?
La manifestazione di giovani e associazioni è ormai parte integrante della giornata del 23 maggio. Il centro Pio La Torre ha aderito anche quest’anno. Siamo convinti che sia necessario, sulla pace e sulla lotta alla mafia, un nuovo e più incisivo protagonismo giovanile. Tra l’altro, trovo assolutamente giusto che Falcone come Borsellino non vengano ricordati solo dalle istituzioni. Niente polemiche, speriamo niente provocazioni, ma anche valorizzazione delle diversità. Il mondo delle istituzioni, per fortuna ancora oggi, non esaurisce la domanda di politica e di cambiamento che c’è nella società.
Alcuni indirizzi politici mandano invece un segnale diverso: marciano verso la compressione del valore dell’eredità, prima di tutto etica e culturale, di Falcone e Borsellino.
Sarebbe per questo utile per tutti “tornare” a Falcone e Borsellino. Non si possono celebrare i due caduti per la democrazia e la libertà un giorno, e l’altro lavorare per sabotare, questo mi sembra il termine più adatto, le fondamenta della legge La Torre. Mal si conciliano con la lotta alla mafia i tentativi di dare l’assalto al reato di associazione mafiosa e alle confische di prevenzione. È un oltraggio a Falcone, a Borsellino ed è il tentativo di dare un segnale inquietante all’area grigia delle relazioni tra mafia, politica e affari. Sarebbe, a 40 anni di distanza, il tentativo di rivincita dell’Italia peggiore sul maxiprocesso, il primo che mandò in galera i mafiosi.
Su questi temi non si possono tenere i piedi in due staffe: con Falcone e Borsellino e con l’area della collusione. Non è possibile. O di qua o di là.
È un messaggio rivolto anche alla Commissione antimafia?
La mia sensazione è che, volendo cambiare la narrazione, la Commissione parlamentare antimafia stia tentando, almeno così leggo il lavoro che si sta svolgendo, di riportare cosa nostra alla sua natura siciliana. Figurarsi, una lunga sequenza di stragi in tutta Italia, una di queste, per fortuna, fallita ma che avrebbe provocato tante vittime innocenti tra le forze dell’ordine e tra i cittadini, mi riferisco allo stadio Olimpico, sarebbero legate a mafia e appalti? E quindi a via dei Georgofili come a S. Giovanni a Roma o a Via Palestro a Milano, eseguite tutte, com’è noto, da cosa nostra, sarebbero state fatte in risposta al dossier sugli appalti? Lo stesso che sarebbe stato integrato, per evidenti lacune e forse omissioni, solo dopo la strage di via D’Amelio? Se non fosse una cosa gravissima andrebbe catalogata tra le estemporaneità.
Su questo punto la Commissione è divisa. È possibile che questa spaccatura produca due diverse visioni, due diverse conclusioni?
Non sarebbe la prima volta, se andassero fino in fondo in Commissione antimafia, che la possibile relazione di maggioranza rimanga sconosciuta e ininfluente. È successo già nel 1976, con la relazione di La Torre e Terranova. Il mio personale consiglio alle opposizioni è di cominciare a scriverla, quella di minoranza.
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