Il salto di qualità che il governo non riesce a fare

20 giugno 2014
Condividi su WhatsApp Twitter

La metafora dell'allevamento equino, usata da Luciano Cafagna in un  libro del 1994 sul Mezzogiorno, descrive perfettamente la situazione siciliana: per anni era sembrato che il foraggio destinato ai cavalli fosse loro conteso da topi famelici; da un certo punto in poi esso è stato versato direttamente ai topi; ed ormai questi ultimi si stanno mangiando i cavalli (la traggo da Guido Crainz Il paese reale Roma 2012).

Nella ridente Trinacria, ormai dei cavalli non son rimaste le ossa e i topi  cercano nuovo nutrimento attaccando il lento ed appetibile pachiderma della spesa comunitaria. In queste ore l'ARS tenta di approvare la “manovra ter” per esorcizzare lo spettro del commissariamento, ma l'attenzione della politica è rivolta alla  difficile ricostruzione di un equilibrio tra il Partito Democratico e il presidente della Regione che consenta al governo di uscire dall'impasse. In ogni caso, non si andrà più in là dell'ordinaria amministrazione in una situazione che richiederebbe invece il coraggio di cambiare i paradigmi dell'agire politico.

Naturalmente bisogna pagare gli stipendi ed assicurare i servizi essenziali, ma di riforme non  si è vista traccia, con l'eccezione della formazione professionale (della cosiddetta costituzione di liberi consorzi meglio tacere per carità di patria). E  mi fa specie che passi il messaggio delle colpe dell'attuale governo- che altro non ha fatto se non scoperchiare il marciume- mentre sembrano cancellate le responsabilità di chi ha creato un sistema mostruoso che posti ne ha creati a migliaia per i formatori, ma  a pochissimi dei corsisti ha procurato un lavoro. I dipendenti hanno pieno diritto di reclamare retribuzione e certezza del futuro; chi conosce le vicende siciliane non può tuttavia sottacere le responsabilità antiche  e recenti di questa triste vicenda.

 Non è inutile, a tal proposito, compulsare su Internet gli elenchi degli ottomila dipendenti. Sono stato critico del Crocetta “rivoluzionario” da tutti osannato, ma  trovo stravagante gli si imponga il peso di una croce alla quale altri andrebbero inchiodati. Semmai, il problema del presidente è non aver capito che il tempo delle narrazioni mitologiche è finito e che oggi si è chiamati a dare risposte credibili e realistiche  alla dura realtà di una Sicilia in disfacimento. 

La Regione siciliana ha un bilancio assolutamente ossificato e inutilizzabile per qualsivoglia ipotesi di sviluppo, è un gigante dai piedi di argilla incapace persino di concepire la radicale riforma amministrativa che potrebbe salvarla, priva di credibilità per i cittadini siciliani che si dividono tra i molti che vivono di spesa pubblica regionale e la gran massa di coloro che ne sono esclusi. Nel frattempo la situazione degli enti locali rischia di precipitare. Il rapporto di Banca d'Italia sull'economia siciliana nel 2013 rileva che “La spesa in conto capitale pro-capite (delle amministrazioni locali in Sicilia) è progressivamente diminuita nel triennio 2010-12 in media del 7,6 % l'anno.  L'ammontare dei debiti finanziari delle amministrazioni locali, pari a 7,8 miliardi di euro, è aumentato del 2,5% rispetto a dodici mesi prima, a fronte di una riduzione nel complesso delle RSS (regioni a statuto speciale)  del -1,8% e a livello nazionale del -5,7%. Esso rappresenta il 7,2% del debito delle amministrazioni locali italiane.” 

Non bastano questi dati a dar riscontro della gravità della condizione della spesa pubblica siciliana ? Cos'altro è necessario per comprendere che è finita l'epoca della “regione pagatrice”? La prima e più urgente riforma è la revisione dalle fondamenta del bilancio regionale eliminando i residui attivi ormai inesigibili e affrontando senza timidezze la questione degli oltre cinque miliardi di debiti accumulati. La Corte dei Conti lo ripete almeno da tre anni: c'è ancora bisogna di chiedere “operazioni verità” quando la certezza dello sfascio  è di tutta evidenza?  O  non si tratta piuttosto di aver il coraggio di metter mano al risanamento, rinunciando – ciascuno per la propria parte- a considerare intoccabili i propri rappresentati? Anche i dati sula mercato del lavoro vanno letti con l'attenzione rivolta a soluzioni innovative: la riduzione dell'occupazione, oltre a concentrarsi tra le persone più giovani e con un basso livello d'istruzione,   è stata consistente nel settore dei servizi (-4,5%), in particolare per gli addetti all'amministrazione pubblica e difesa e del comparto dell'istruzione e sanità.

E laddove il lavoro continua ad esserci, esso si è impoverito: “ in base ai dati della rilevazione sulle forze di lavoro, nel 2013 le retribuzioni mensili nette dei dipendenti siciliani (pubblici e privati) erano pari a circa 1.180 euro, a fronte dei 1.268 euro registrati a livello nazionale”. Una condizione del lavoro in costante peggioramento ma che non  pare aver la forza di far sentire le proprie ragioni, schiacciata dalla paura di transitare dallo status di insider a quello di outsider. Gli interessi agglomerati intorno alla spesa pubblica regionale riescono a far ascoltare la loro voce, mentre gli altri tacciono e si rifugiano in una strategia della sopravvivenza che traspare da dati statistici che propongono un'immagine di sfaldamento dell'intera società regionale. Eppure non è così: v'è una Sicilia che resiste, che lavora, che non si rassegna alla dipendenza parassitaria. E' indebolita e allarmata, ma esiste; e bisogna parlarne, altrimenti si continua a non capire cosa sta avvenendo e, soprattutto, si continua a illudersi (e a illudere) di poter progettare il futuro con la testa rivolta all'indietro.

Franco Garufi



Ultimi articoli

« Articoli precedenti