Progetto politico eversivo dietro al delitto

Società | 30 aprile 2025
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Sono passati 43 anni dagli omicidi di Pio La Torre e Rosario Di Salvo. È una delle date simboliche e tragiche, insieme ad altre, della democrazia e del movimento operaio.
Pio la Torre ci riporta indietro nel tempo, alla storia del movimento operaio, ai suoi martiri, a partire da Portella delle Ginestre. È a partire da quegli anni, dal 1947, che cominciammo a capire quale fosse la reale pericolosità della mafia, qui in Sicilia. Allora, negli anni ’40 e ’50, era un fenomeno ancorato al territorio – quasi antropologico – almeno per quelli interessati già allora a coprirlo.
Dopo - a partire dalla seconda metà degli anni ’70 – è stato protagonista di pagine tra le più oscure della storia del paese.
Pian piano - da organizzazione sostanzialmente stabilizzatrice degli equilibri del potere - economico e politico a organizzazione con segni sempre più eversivi. Al tempo dell’omicidio di Pio La Torre arrivammo a definirlo terrorismo politico-mafioso (questo scrivemmo, non a caso, sulla lapide che ricorda gli omicidi).
Avvertivamo tutti il mutamento. Avvertivamo tutti che qualcosa stava o era cambiato. Che il vecchio equilibrio non c’era più, ce ne erano di nuovi ed erano equilibri con le forze più oscure del paese. Del resto, solo chi non voleva vedere rifiutava di valutare la gravità e la novità di quel nuovo modello mafioso. Non si assalta un’intera classe politica. Non si decapitano interi pezzi delle istituzioni, di ogni istituzione. Da Terranova a Boris Giuliano, e poi La Torre e di Salvo e poi Dalla Chiesa, Chinnici, Falcone e Borsellino. Non si scatena una guerra al cui confronto le sanguinarie azioni dei narcos latino-americani sembrarono nulla. Palermo come Beirut, scrissero i giornali dopo il giudice Chinnici, e succederà ancora.
Voglio dire che non si scatena una guerra così devastante se non si è parte di un progetto politico, se non hai accanto forze che hanno un obiettivo politico.
Quelli, tra i ’70 e i primi anni ’80, sono anni gravi per il paese. Alle spalle la stagione delle stragi fasciste, del terrorismo brigatista e dell’assassinio di Moro,
la rottura della solidarietà nazionale. L’inflazione aveva raggiunto, nel 1977 e nel 1978, oltre il 20%.
In Sicilia c’è Piersanti Mattarella presidente della Regione e tra i più vicini a Moro, ha un’altra idea rispetto alla Dc di Forlani e di Andreotti. E la Sicilia, fin dalla liberazione dal nazifascismo, è il cuore strategico dell’Occidente tra Sud e Nord e, lo vedremo con la scelta di Comiso, tra Est e Ovest.
È molto più che una Regione dell’Italia sul piano della infrastruttura militare e del consenso politico. Alla vecchia infrastruttura dello sbarco alleato si sono aggiunte, a Est e a Ovest, nuove basi e nuova logistica. La Sicilia come e più di Malta. I Cruise americani tenevano sotto tiro contemporaneamente l’area caucasica dell’Urss e le capitali del Medio Oriente fino al golfo Persico.
Nel 1979 hanno già deciso di realizzare la base di Comiso. Non deve esserci dubbio. A Roma e in Sicilia, sul finire degli anni ’70, deve esserci sintonia sul piano politico-economico-militare. E questo non era scontato.
Mattarella ha un’altra idea e, si sa, ancora una antica cultura autonomista regge in Sicilia. E La Torre, due anni dopo, intende sì riformare lo Statuto autonomista, ma non intende fare perdere quelle prerogative alla Sicilia.
L’Italia è fragile, è esposta e Cosa nostra si muove con una strategia chiaramente eversiva. Lo definimmo, quello di La Torre e Di Salvo, io credo al pari di quello Mattarella, terrorismo politico-mafioso.
E se a Portella delle Ginestre la mafia si era mossa con il duplice scopo di dare una lezione ai braccianti che occupavano i feudi dei signorotti che assoldavano i mafiosi, e al tempo stesso di consolidare quello che diventerà il nuovo blocco di Governo, segnando con stragi ed omicidi il campo a tutte le forze anticomuniste, provenienti sia dal vecchio blocco fascista che da una parte di quello nuovo, repubblicano.
Negli anni alla fine dei ’70 e ’80, e soprattutto nei primi ’90, quelli delle stragi, la strategia è eversiva e terroristica. Anche qui, è in gioco l’Europa, entriamo subito o dopo, il debito pubblico che facciamo fatica a piazzare nel mercato…
E poi Tangentopoli. Succede ogni volta a caso? Sono sempre solo coincidenze? Lo stragismo dopo l’autunno caldo, la pregiudiziale anticomunista e infine l’Italietta che può diventare Europa mentre crolla il sistema politico.
Sono i momenti in cui, a fronte della debolezza del sistema, forze oscure e criminali si mettono in movimento, e poi concertano, condividono, solidarizzano tra loro.
Non è una spy story, sono facce della realtà del paese di quegli anni, soprattutto in alcune fasi.
Ed oggi? Perché questa è storia. Oggi, probabilmente, dobbiamo inforcare nuove lenti per cercare di capire.
Non c’è più la vecchia equazione, tre mafie e tre Regioni. Con collegamenti a Nord figli delle misure di prevenzione, che giustamente La Torre voleva abolire perché esportavano mafia, camorra e ‘ndrangheta in tutto il paese.
Oggi sono cambiati molti fattori, logistici e tecnologici,
e comunque possiamo affermare che le mafie hanno aggredito le parti più ricche dell’economia nazionale. Sono ormai tante le risultanze processuali da poterlo affermare con certezza.
Non è più un problema dei siciliani, dei calabresi e dei campani, è un problema generale. Dobbiamo fare in fretta a capirlo perché è necessario che la nostra analisi sia chiara e penetrante.
Gli asset, tra i più importanti, almeno secondo le acquisizioni del momento, dell’economia nazionale sono sotto pressione.
Del resto, con la potente ristrutturazione della spesa pubblica e con la riduzione drastica dei trasferimenti al sud, i capitali mafiosi hanno cercato nuove aree e nuove convenienze stavolta aggredendo o solleticando il mercato privato.
Tutto ciò al netto delle transazioni che interessano i grandi traffici di armi e droga, e l’uso delle criptovalute.
Ovviamente, c’è sempre una borghesia mafiosa che intermedia, organizza, crea sbocchi, ricicla, organizza investimenti e partecipa ai risultati economico-finanziari. Siamo ben oltre la vecchia intermediazione parassitaria.
Oggi servono competenze, analisti, serve una infrastruttura complessa da porre al servizio di grandi conglomerati criminali globali. È il tempo di smantellare la legge Rognoni-La Torre, come qualcuno pensa e scrive? Serve potenziarla e metterla al servizio di una fase nuova che ha bisogno di nuovi strumenti di lettura e di repressione.
Con la legge La Torre abbiamo dato strumenti fondamentali ai magistrati per smantellare la vecchia organizzazione mafiosa: la semplice partecipazione all’associazione e l’aggressione ai beni.
Su questo non si può tornare indietro
Le confische, per il dispiacere di tanti avvocati, sono state confermate dall’Ue. Non ci sono più alibi per nessuno. Non sono norme liberticide ma norme giuste. Ora dobbiamo andare oltre. Finora infatti investigatori e giudici, ma anche le forze sociali, hanno potuto vedere la mafia quando è emersa nel territorio, come nel caso del cantiere edile, dell’attività imprenditoriale. Oggi non basta più osservare i fenomeni, ma vanno dedotti, intercettati e infine colpiti.
 di Emilio Miceli

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