A chi giovano gli attacchi che indeboliscono la legislazione antimafia
L'analisi | 3 settembre 2024
Cui prodest? A chi conviene attaccare e demolire l’impianto della legislazione antimafia?
In realtà gli attacchi ci sono sempre stati. Nel corso degli anni abbiamo assistito a tentativi mai riusciti di mettere in discussione gli strumenti principe della lotta alle mafie. Il 416 bis del codice penale (associazione a delinquere di stampo mafioso), il concorso esterno in associazione mafiosa, il carcere duro per i mafiosi e le leggi sulla confisca dei beni. Cosa è cambiato adesso rispetto agli anni passati? La mafia non spara e uccide da 32 anni. È cambiata l’immagine delle organizzazioni criminali. Si è indotti a pensare che se la mafia, anzi le mafie, non sparano, non uccidono e quindi non creano allarme sociale, sono deboli. Quindi lo stato ha vinto ed è inutile avere leggi che andavano bene in un periodo storico ben definito, fatto di morti ammazzati, bombe, stragi, cadaveri fatti trovare scheletri nelle campagne o nei bagagliai delle auto incaprettati o crivellati di colpi.
Lo Stato ha risposto come doveva. Quindi chiudiamo un’epoca e andiamo avanti, dicono i nuovi politici che consapevolmente o inconsapevolmente stanno favorendo la mafia e i suoi amici diventando in questo modo servitori, occulti o palesi, di un sistema illegale e criminale. È da questo ragionamento che parte l’attacco odierno alle misure antimafia. Forse sarà un ragionamento semplice e semplicistico ma rende l’idea dei motivi che stanno spingendo forze politiche eterogenee a presentare progetti di legge che mirano a smantellare un sistema di norme che è stato costruito con il sangue di poliziotti, carabinieri, magistrati, politici, giornalisti, prefetti, uccisi per difendere uno Stato che in alcune sue ramificazioni è stato insabbiatore, ottuso, colluso. Se non ci fosse stato l’appello di Emilio Miceli e Franco La Torre nessuno avrebbe sollevato il problema. La volgarità del realismo politico sembra non trovare punti di connessione con chi difende queste norme. Tutto questo non mi stupisce. Fortunatamente a raccogliere e incanalare le grida di Miceli e La Torre ci sono pezzi del mondo della cultura, del giornalismo, della scuola, del mondo accademico e giuridico. Il mondo politico, per adesso, tranne qualche rara eccezione, si tiene a debita distanza, sembra quasi che non voglia compromettersi con chi difende le norme antimafia.
Ora, caro lettore, ti starai sorprendendo a leggere queste riflessioni che stanno spingendo parecchie persone a raccogliere l’appello di Miceli e La Torre. Nessuno, se non fosse stato per loro, ti avrebbe informato e fatto conoscere queste ragioni. Ragioni che affondano le loro radici nella tutela di un patrimonio giuridico che il mondo ci invidia e che sta studiando per capire come poterlo applicare.
E leggendo queste riflessioni ti starai chiedendo che cosa vogliono questi rompiscatole di Miceli e La Torre ma soprattutto che cosa c’è di così scomodo nelle loro riflessioni?
Eccole, caro lettore, le riflessioni da cui molti si tengono a distanza e altri mirano a isolarle.
La prima riguarda le misure di prevenzione e la seconda la verità sulle stragi.
Come puoi intuire, si tratta di due richieste normalissime che vengono utilizzate da personaggi che vivono al confine tra legalità e illegalità, come teste d’ariete per minare, come ricorda Attilio Bolzoni nella sua riflessione, l’attuale legislazione antimafia e a imporre nuovi scenari sui massacri del 1992 e del 1993 (stragi di Capaci e via d’Amelio e gli attentati di Roma, Firenze e Milano).
A questo punto potresti anche considerare queste posizioni come vecchie, stantie, e addirittura metterle in dubbio se non fossero invece precise, circostanziate e di un assoluto realismo.
Già perché quelle norme, dall’associazione a delinquere di stampo mafioso in poi, sono serviti ai magistrati e allo Stato per mandare in carcere boss e gregari e seppellirli con centinaia di anni di carcere.
E nonostante questi successi clamorosi il potere cerca di indebolirle e isolare coloro che le difendono. Tutto questo avviene nell’assoluta indifferenza e indolenza della classe politica.
Naturalmente coloro che difendono le norme antimafia non sono conservatori ma affermano che se ci sono innovazioni da fare, modifiche da apportare e migliorie da eseguire sono pronti a discuterne.
In questa apertura al confronto c’è tutto: c’è la purezza delle idee, il candore, la resistenza, la lotta, la passione.
E allora torniamo alla domanda principale: Cui prodest? A chi giova?
Sicuramente ai mafiosi e ai loro amici. Ma dietro l’attacco alle norme antimafia e alle misure di prevenzione si nasconde un nuovo potere, diverso da quello a cui eravamo abituati e rappresentato dalla Dc, dal Psi che erano in grado di controllare interi territori, pacchetti di voti e favorire determinati gruppi criminali e di potere.
Si tratta di un potere senza volto, per parafrasare Pier Paolo Pasolini, che riesce ad annoverare tra le sue fila politici, giornalisti, accademici, giuristi. E questo potere, a tratti feroce, e grazie al contributo, consapevole o meno, di quel sottobosco che lo compone, sta attaccando le norme antimafia.
La genesi di questo potere, che è trasversale, la possiamo scorgere nei cambiamenti epocali e nelle trasformazioni che hanno attraversato il nostro paese negli ultimi quarant’anni.
Questi cambiamenti hanno attraversato anche le organizzazioni criminali e l’antimafia. Si è passati, così, dalla mafia delle coppole storte e delle lupare alla mafia imprenditrice e delle grandi banche. In questo girone dantesco si insinua l’antimafia dei superpoliziotti, dei super magistrati e delle super procure che rianima l’eterna lotta tra il male e il bene. Eterna lotta che ci ha fatto dimenticare l’altro, dove l’altro si configura nella zona grigia dove convivono mafiosi e professionisti e dove si vive al limite.
Il caso Saguto è emblematico ed è la rappresentazione plastica di un sistema colluso e corrotto. Ma questo non giustifica gli attacchi alle norme antimafia e alle misure di prevenzione.
A questo punto ogni altra considerazione potrebbe risultare noiosa. Ecco perché propongo di passare all’attivismo militante inviando email di protesta alla Presidenza della Repubblica, alla Presidenza del Consiglio, a quella della Camera e del Senato e a tutte le segreterie di partito, di maggioranza e opposizione, per spingerli a schierarsi, a prendere una posizione.
Da qui, da queste riflessioni, potrebbe ripartire la ricostruzione di quel movimento antimafia che oggi è diviso, spaccato, smembrato.
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