Brusca e gli altri, l’apporto prezioso dei pentiti

Società | 24 giugno 2025
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Giovanni Brusca è un nome altisonante, ben conosciuto non solo nel mondo giudiziario ma anche nella società civile. Le sue dita hanno premuto il telecomando che ha fatto saltare in aria la macchina di Giovanni Falcone e quelle della sua scorta, sull’autostrada che da Punta Raisi conduce fino a Palermo. La mia città alla quale sono molto affezionato; ma è anche la città di Giovanni Falcone e di tanti altri magistrati, giornalisti, poliziotti che, come, Falcone, a Palermo hanno lasciato la vita.
Brusca ha anche assassinato Giuseppe Di Matteo perché figlio del pentito Mario Santo Di Matteo, dopo averlo tenuto prigioniero per 25 mesi; non ancora soddisfatto, lo ha sciolto nell’acido. Autore di decine di uccisioni commesse in nome di cosa nostra e di innumerevoli atti criminali. Un vero “essere” spregevole che esprime l’immagine della forza bruta. Un essere senza cultura, senza principi, privo di qualsiasi sentimento che non sia odio o vendetta.
Brusca è un uomo la cui vita è costellata di azioni criminali, pronto a commetterle in nome proprio o di cosa nostra. Chiunque, facente parte della società civile, legittimamente vorrebbe vedere Giovanni Brusca in galera, con condanna all’ergastolo, marcato da quel noto aforisma utilizzato in questi casi: fine pena mai.
31 maggio 2025: dopo 25 anni di detenzione, Giovanni Brusca è libero, non ha più debiti giudiziari verso lo Stato; ha pagato il conto con la giustizia e adesso può rientrare a far parte della società civile da uomo libero ed esercitare i suoi diritti.
L’ex procuratore della Repubblica Piero Grasso dichiara che non ci si può stupire di quanto avvenuto perché è stata rispettata la legge, quella legge sui benefici ai collaboratori di giustizia che fu voluta da Giovanni Falcone.
È vero; quella legge fu voluta da Falcone che aveva intuito che anche i mafiosi hanno dei punti deboli che, se colpiti, possono essere utili all’attività investigativa. E infatti quella legge fu promulgata e furono molti i pentiti (o meglio i collaboratori di giustizia) che non resistettero e che, in cambio di benefici per sé stessi e per le proprie famiglie, iniziarono a sproloquiare fornendo agli investigatori preziose notizie sulla struttura gerarchica di cosa nostra e su quanto vi girava intorno.
L’intuito di Giovanni Falcone ha funzionato e, a cominciare da Buscetta furono molti i pentiti che si avvalsero di programmi di protezione. Così furono introdotte nuove leggi che consentirono di distruggere le regole di cosa nostra e dell’organizzazione mafiosa, annientandone le gerarchie.
Quella legge in verità, mediante le propalazioni dei collaboratori di giustizia, ha permesso alle forze dell’ordine di catturare Totò Riina, Bernardo Provenzano e, in ultimo, Matteo Messina Denaro. E poi, tanti, tanti altri capi mafia, uomini d’onore e perfino semplici soldati, furono arrestati.
Capisco che la libertà di Brusca è un duro rospo da digerire; con tutta la nostra buona volontà, dobbiamo riuscire a spogliarci per un momento da tutti i nostri sentimenti di dolore, di amarezza, di sofferenza e rimpianto che ci hanno aiutato a superare le paure, a volte l’odio o la rabbia, per fare posto alla ragione. È infatti solamente nella ragione che possiamo trovare le motivazioni che riguardano la libertà di Giovanni Brusca e chissà di quanti altri ancora.
Le stragi di cosa nostra ci hanno imposto di cercare e trovare la verità, di trovare dunque i colpevoli materiali e i loro mandanti. Lo dobbiamo alle generazioni trascorse ma anche le generazioni avvenire che non hanno vissuto direttamente questo momento storico.
È vero. È davvero difficile frenare l’indignazione che sgorga dentro di noi se per puro caso incontriamo Brusca in autobus o al cinema; ma dobbiamo anche essere consapevoli che ne è valsa la pena. Pensate che tristi momenti staremmo vivendo adesso se i collaboratori di giustizia non avessero parlato, se non ci avessero svelato i fatti più intimi di cosa nostra, le parentele, i nomi dei responsabili delle uccisioni dei vari magistrati e degli altri uomini che ci hanno rimesso la vita in questa eterna lotta alla criminalità organizzata. In quel caso il nostro perenne dolore sarebbe accompagnato da un immenso vuoto, da una voragine del nulla mentre i veri responsabili degli eccidi passeggerebbero impuniti per le strade più eleganti della nostra città. Potrete dirmi che c’è ancora tanto da scoprire; è vero, ma quelle confessioni ci hanno concesso di dare avvio alle indagini; non solo, non c’è indagine aperta sugli uomini di cosa nostra che non abbia dato vita ad altre molteplici indagini disvelando una compatta rete di complicità non solo nel mondo mafioso ma anche nella cosiddetta borghesia mafiosa. I collaboratori di giustizia sono quelli che hanno dato un senso all’attività investigativa, hanno permesso di celebrare il primo maxi processo nella storia giudiziaria italiana che si dice sia stato il più grande al mondo: 475 imputati (ridottisi a 460), 200 avvocati, 19 ergastoli, 2665 anni di pene assegnate.
Tutto questo lo dobbiamo anche a Giovanni Brusca e agli altri pentiti. Questo non vuol dire che Brusca merita di essere glorificato? Brusca come tutti gli altri pentiti di mafia è stato uno strumento prezioso in mano alle procure di tutta Italia. Oggi, per quanto ci venga difficile, dobbiamo riconoscere l’utilità della sua collaborazione.
Ma non abbiamo parimenti il diritto di richiamare Giovanni Falcone, ad ogni piè sospinto, per attribuirgli la responsabilità della libertà di Brusca.
È vero! Quella legge l’hanno voluta lui e Borsellino. Si sono immolati per questa causa e la comunità ha un debito di riconoscenza verso loro che non potrà mai essere estinto.
Dobbiamo dunque farcene una ragione. Da qui in avanti, più che mai, i mafiosi li incontreremo per strada…purché siano pentiti.
 di Elio Collovà

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