Stipendi bassi e i giovani laureati vanno via

Società | 16 giugno 2025
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C’è un disallineamento tra formazione universitaria e mercato del lavoro, soprattutto tra i dottori che hanno conseguito il titolo accademico in ambito letterario-umanistico, arte e design, linguistico, politico-sociale e comunicazione, psicologico ed economico. Ci si laurea sempre più tardi e perdiamo laureati che preferiscono andare all’estero. Al contempo, sembrano aumentare sia gli occupati ad un anno dal conseguimento del titolo sia i contratti a tempo indeterminato, ma anche le retribuzioni nette. Le donne costituiscono quasi il 60 per cento dei laureati, ma rappresentano solo il 40 per cento dei diplomati Stem (discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche). Sempre più giovani fanno esperienze di studio all’estero riconosciute dal proprio corso di laurea.
Sono questi i dati del rapporto 2025 “Profilo e condizione occupazionale dei laureati” di AlmaLaurea, il consorzio universitario che annovera 82 atenei italiani su poco meno di cento. Il gap fra titolo di studio e impiego svolto coinvolge un laureato su tre (il 30 per cento) ad un anno dal conseguimento del titolo. Ad essere colpiti sono non solo i laureati in materie umanistiche, ma anche quelli in economia. E le donne, più degli uomini, svolgono lavori che non sempre richiedono il ricorso alle competenze acquisite durante gli studi. Le dottoresse, tra l’altro, sono oltre la metà dei laureati, un dato che risulta stabile negli ultimi dieci anni. Tuttavia, sono poche quelle che conseguono il titolo nelle discipline Stem secondo un trend che non cambia dal 2014.
La regolarità negli studi, ossia la capacità di concludere il corso di laurea nei tempi previsti dagli ordinamenti, riguarda il 58,7 per cento dei laureati del 2024. Se fino al 2022 si è registrato un miglioramento costante della regolarità negli studi – anche per effetto della proroga della chiusura dell’anno accademico concessa agli studenti per l’emergenza Covid-19 – a partire dal 2023 si è però assistito, per la prima volta dopo 12 anni, a un ridimensionamento della quota di laureati regolari. Ed è proprio con riferimento ai laureati del 2024 che il report di AlmaLaurea svela un altro dato interessante: il 10,3 per cento di coloro che hanno conseguito il titolo accademico lo scorso anno ha maturato un’esperienza di studio all’estero riconosciuta dal corso di laurea in Italia.
Si tratta nella maggior parte dei casi (8,6 per cento) di esperienze svolte con programmi dell’Unione europea (Erasmus in primo luogo), mentre le altre riconosciute dal corso di studio (Overseas, tesi all’estero ecc.) sono molto meno diffuse (meno del 2 per cento). Ad incidere sulla scelta di frequentare dei corsi all’estero sono le condizioni socio-culturali ed economiche della famiglia di origine (livello di istruzione dei genitori e status sociale). Tra i dottori con entrambi i genitori laureati la partecipazione alle esperienze di studio all’estero è pari al 16,3 per cento, mentre tra i laureati con genitori non diplomati tale esperienza scende al 7,0 per cento. Oltre che per esperienze di studio, i nostri laureati vanno all’estero anche dopo aver conseguito la laurea per affermarsi professionalmente. Tra i laureati italiani di secondo livello, il lavoro all’estero riguarda il 4,1 per cento degli occupati a un anno dalla laurea e il 4,6 per cento degli occupati a cinque anni.
Ad andar via sono in misura maggiore gli uomini (4,7 per cento a un anno e 5,6 per cento a cinque anni) rispetto alle donne (3,7 per cento e 3,8 per cento, rispettivamente) e i laureati più brillanti (in particolare in termini di voti negli esami e di regolarità negli studi). Perdiamo soprattutto i laureati dei gruppi disciplinari informatica e tecnologie ICT (5,6 per cento tra gli occupati a un anno e 11,3 per cento tra quelli a cinque anni), scientifico (8,2 per cento e 10,3 per cento), linguistico (8,6 per cento e 7,7 per cento, rispettivamente), nonché i laureati del gruppo politico-sociale e comunicazione (5,8 per cento e 7,6 per cento) e ingegneria industriale e dell’informazione (5,6 per cento e 8,2 per cento). Un terzo dei laureati intervistati ha dichiarato di essere andato via dopo aver ricevuto un'offerta di lavoro allettante, un altro terzo ha lasciato l’Italia per mancanza di opportunità o comunque non adeguate al proprio profilo. Anche le retribuzioni notevolmente superiori a quelle degli occupati in Italia costituiscono un fattore di attrazione per l’estero: a un anno dalla laurea superano i 2.200 euro mensili netti, +54,2 per cento rispetto a quelle di chi è rimasto in Italia che non raggiungono i 1.500 euro. A cinque anni dalla laurea le retribuzioni sfiorano i 2.900 euro per gli occupati all’estero, +61,7 per cento rispetto ai quasi 1.800 euro degli occupati in Italia.
Ciò spiega perché la propensione a tornare in Italia, quanto meno nell’arco dei prossimi cinque anni, è scarsa. Il 38,2 per cento degli occupati all’estero, infatti, ritiene molto improbabile il rientro in Italia e un ulteriore 33,7 per cento valuta tale ipotesi poco probabile.
Il tasso di occupazione a un anno dal conseguimento del titolo raggiunge il valore più elevato dell’ultimo decennio, pari a 78,6 per cento sia tra i laureati di primo livello sia tra i laureati di secondo livello (+4,5 e +2,9 punti percentuali rispetto al 2023). In crescita anche il numero dei contratti a tempo indeterminato (rispetto alla rilevazione del 2023, +4,6 punti percentuali per i laureati di primo livello e +3,3 punti per quelli di secondo livello) e le retribuzioni mensili nette in termini reali (più 7 per cento per i laureati di primo livello, più tre per quelli di secondo livello rispetto al 2023).
 di Alida Federico

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