Alle donne afghane tutto proibito

Società | 27 novembre 2025
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Afghanistan dimenticato. Uno dei danni collaterali, meno sanguinoso ma carico di conseguenze, della occupazione totalizzante della ribalta da parte dei due conflitti in Ucraina e Medio Oriente è stata la sparizione nei media di tutte le altre aree di crisi. È successo così che ben poco sappiamo della guerra civile in Sudan tra esercito regolare e milizie paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (Rsf). Nel paese su 42 milioni di abitanti a seguito di stragi, eccidi di ogni sorta, stupri 13 milioni di persone sono profughi. Quasi un terzo dell’intera popolazione. Un abominio. Altra vittima dei riflettori spenti il sempre più sventurato Afghanistan. E in particolare il genere femminile in Afghanistan. Dove nascere donna equivale a una condanna a vita.
Il 12 novembre scorso su “Repubblica” nella sua rubrica “Circo Massimo” una delle firme e dei volti più noti del giornalismo italiano – Massimo Giannini – è finalmente sbottato con un articolo (“Le donne afghane, per cui si è chiusa anche l’ultima finestra sul mondo”) nel quale ha fatto il punto sulla strutturale, crescente crudeltà di comportamenti che stanno riducendo alla scomparsa civile decine di milioni di donne nell’indifferenza di quella che una volta si definiva opinione pubblica mondiale. Scrive Giannini: "(…) oggi voglio parlare qui di altre donne, di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Voglio parlare delle donne dell’Afghanistan. Perché in quel Paese, abbandonato quattro anni fa dagli americani in fuga vigliacca peggio dei tempi del Vietnam, stanno succedendo cose infernali. Come sempre, nel silenzio colpevole della comunità internazionale. Gli accordi di Doha prevedevano la cacciata di Al Qaeda: è successo il contrario, i talebani comandano e la repressione è sempre più violenta.

È vietato anche parlare

Nell’agosto 2024 le autorità di Kabul hanno varato la legge per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio. Alle donne è proibito tutto: parlare in pubblico, uscire in strada a volto scoperto, leggere e cantare tra le mura domestiche. Nell’agosto 2025, la tragedia nella tragedia: dopo il forte terremoto che ha squassato il Paese, per giorni i soccorritori hanno lasciato morire tra le macerie centinaia di donne, perché la sharia vieta a qualunque uomo di toccarle, a meno che non ci sia un rapporto di parentela. Le poche donne che sono riuscite a uscire con le loro forze dalle loro case crollate sono morte negli ospedali, perché non ci sono più dottoresse in grado di prendersi cura di loro.
A fine settembre un nuovo giro di vite: i capi religiosi hanno ordinato agli uomini di sequestrare tutti i cellulari alle donne che da allora non possono più telefonare, comunicare, informarsi, seguire corsi online, chiedere aiuto se ne hanno bisogno. Niente di niente. Così si è chiusa per loro anche l’ultima finestra sul mondo — come scrive giustamente El Pais — mentre il mondo si disinteressa totalmente di loro. Le donne afgane, per la legge criminale di quel disastrato Paese, non esistono più. Contro di loro è stato emesso un certificato di morte civile, a tutti gli effetti. Restano in vita, dal punto di vista biologico, con un solo scopo riconosciuto: fare da mangiare per mariti violenti e fare figli per Allah. Anche se si consuma a tanta distanza da noi, a questa barbarie infinita non ci dovremmo rassegnare”.
Rivendichiamo con orgoglio civile che sulle pagine di questo sito nel nostro piccolo mai abbiamo spento i riflettori sulla sempre più folle situazione di “inesistenza” della donna in Afghanistan. E, in linea con questo impegno, continuiamo a farlo approfondendo stavolta due delle chicche social-fanatiche imposte nel paese. Sulle quali anche in Italia come altrove si può reperire documentazione. Ma mai abbastanza. Insomma, non è che sulla condizione della donna in Afghanistan si versino fiumi di inchiostro, come si diceva una volta. E non ci sembra affatto che ci si sia sbracciati – opinion leader, politici, partiti, movimenti, militanti femministe – per uno straccio di mobilitazione.

Al bando i libri delle autrici

Cominciamo dal divieto di adottare nelle università afghane testi scritti da docenti o autrici donne. La notizia è del 19 settembre 2025. Il divieto riguarda anche autori maschi ma fra i 680 testi proibiti tutti i 140 scritti da donne sono stati messi al bando. La Bbc ne ha avuto conferma da un membro del comitato selezionatore: “Non è consentito insegnare usando libri scritti da donne”. Vietato anche l’insegnamento di diciotto materie ritenute in conflitto con i principi della legge islamica e della cultura afghana. Sei di queste materie riguardano tematiche di genere.
Se nel campo dell’istruzione la donna in Afghanistan piange, nel settore sanitario si registrano fenomeni ancora più sconcertanti. Da premettere che la situazione sanitaria è un disastro. Secondo i dati di “Medici senza frontiere” nel paese oggi muore di morbillo almeno un bambino al giorno. Numero di decessi quasi tre volte superiore rispetto allo scorso anno.
Torniamo indietro di alcune settimane rispetto alla notizia su donne, insegnamento, testi universitari. A fine agosto un violentissimo terremoto ha colpito le regioni montuose di Kunar. Il 28 settembre Avvenire, uno dei pochi quotidiani italiani che si impegna in questo genere di reportage, ha pubblicato una intera pagina intitolata “Il sisma ha cancellato le donne. Le afghane senza cure né futuro”. A firma di Hossein Karimi (un giornalista che per non finire nelle patrie galere o ucciso scrive con questo pseudonimo). Ciò che leggiamo è raccapricciante: “(…) Nella notte del 31 agosto un terremoto di magnitudo 6.0 della scala Richter ha scosso Kunar e le province orientali. Pochi giorni dopo il governo taleban ha annunciato un bilancio di 2.205 vittime e oltre 3.600 feriti. Le donne e le ragazze rappresentano oltre la metà delle vittime e dei feriti e il 60% dei dispersi, secondo la Rappresentante speciale di “UN Women” in Afghanistan, Susan Ferguson, che si è da poco recata in visita nel Kunar.
Le infrastrutture per la sanità e l'acqua sono state distrutte, ha rilevato la rappresentante Onu, e non ci sono abbastanza latrine per le donne nei villaggi o nei campi di accoglienza. Questo significa che devono camminare più a lungo per andare in bagno o raccogliere acqua – ha aggiunto – esponendosi al rischio di violenza ma anche di incappare su mine nel terreno. Vi è un maggiore rischio di violenza anche all'interno delle famiglie, per la «pressione intensa sulle comunità derivante dallo sfollamento, dalla perdita dei mezzi di sussistenza e altro», ha proseguito Ferguson. Inoltre «almeno 463 famiglie nelle aree colpite hanno a capo solo donne, che ora troveranno estremamente più difficile sfamare i bambini e trovare un posto sicuro dove stare».
Sotto il regime talebano le donne hanno bisogno di un parente maschio come tutore (mahram) per viaggiare, lavorare o interagire con altri uomini, partecipare a programmi e servizi con loro. Questa severa restrizione ha ostacolato i soccorsi nell’emergenza. L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha chiesto che la norma sia allentata o revocata per le operatrici umanitarie e le pazienti di sesso femminile nelle zone interessate dal sisma, perché ostacola i soccorsi, l’assistenza e l’accesso ai servizi. Le dottoresse sono infatti poche nelle aree colpite o non ce ne sono affatto: quelle chiamate a giungere sul posto sono a loro volta ostacolate negli spostamenti dalle stesse norme.
Inoltre, dal 2021 sono stati emessi per le donne afghane divieti di lavorare per molte Ong nazionali e internazionali, soprattutto quando il lavoro richiede spostamenti o interazioni con persone estranee alla famiglia. Esistono eccezioni in caso di emergenze, ma la loro applicazione è disomogenea e poco chiara. L'amministrazione locale taleban nella provincia di Nangarhar ha chiesto alle agenzie umanitarie e ai media di rispettare la «sensibilità islamica e afghana» e di astenersi dal fotografare le donne durante la distribuzione degli aiuti.

Quando mancano le dottoresse

A creare difficoltà – prosegue il reportage dalle aree sinistrate – è il fatto che non vi sono abbastanza medici donna: secondo medici e testimoni interpellati nei distretti di Kunar e Nangarhar, il 90% degli operatori sanitari sul campo è maschio, mentre tra il 10% del personale femminile restante vi sono soprattutto ostetriche e infermiere, e pochi medici specialisti. Ciò ha portato molte donne a evitare di sottoporsi alle cure o a ritardarle, per riluttanza o difficoltà a interagire con un medico uomo. Di conseguenza, anche quando erano ferite o nel travaglio del parto, l’intervento è stato ritardato, in attesa di una dottoressa o di un mahram che accettasse di essere presente. Con conseguenze spesso irreparabili.
Anche se non rientrano nelle statistiche, molte donne dei villaggi della provincia di Kunar sono parte dello stesso contesto di sofferenza. È il caso di Nooriya, una ragazza di 19 anni di Ghazi Abad (Kunar). Curata in un ospedale nella provincia di Nangarhar, ha raccontato di aver perso cinque familiari. Le squadre di soccorso formate da maschi – racconta – sono entrate nel villaggio e hanno soccorso uomini e bambini, lasciando indietro le donne ferite. Lei e altre hanno aspettato per giorni, perché non c'erano né dottoresse né operatrici umanitarie. «Ci hanno messe all’angolo e si sono dimenticate di noi».
Nel villaggio di Andarlakak, ancora nel Kunar, la prima squadra di soccorso maschile è arrivata dopo 36 ore, racconta Mahtab, 24 anni. I soccorritori hanno subito estratto uomini e bambini dalle macerie e iniziato a curare i feriti. Ma donne e ragazze, anche se ferite e sanguinanti, sono state ignorate per il divieto di contatto tra donne e uomini non consanguinei. Alcune sono addirittura rimaste sotto le macerie. «Nessuno ha aiutato le donne, né ha chiesto loro di cosa avessero bisogno, né si è nemmeno avvicinato», ha detto”.
Si arriva a comportamenti che lasciano increduli: “Ghulam Farooq, un soccorritore arrivato nel distretto di Mazar-e-Dara il giorno dopo il terremoto, ha riferito di non aver visto donne tra le squadre mediche e di soccorso, e nemmeno in uno degli ospedali della zona. I soccorritori, tutti uomini, erano titubanti nel tirare fuori le donne dalle macerie – ha confermato – in attesa che arrivassero donne da altri villaggi per farlo. «Era come se le donne fossero invisibili», ha sottolineato. E ha aggiunto di aver perfino visto i soccorritori estrarre cadaveri di donne, in assenza di parenti stretti di sesso maschile, afferrandone i vestiti per evitare di toccarle.
Dopo il disastro, agenzie internazionali e organizzazioni sanitarie hanno chiesto ai taleban di revocare le restrizioni per affrontare l’emergenza. L’Oms ha esortato i taleban a consentire alle operatrici sanitarie di viaggiare senza tutori maschi per raggiungere le aree colpite. (…)”.

Io ostetrica volontaria


Racconta sempre su Avvenire nella stessa pagina Asia Salarzai (“Io, ostetrica volontaria, unica possibilità di aiuto per puerpere e ferite”) che con il fratello medico visitava le aree sinistrate: “(…) Dobbiamo poi affrontare un’altra sfida, quella rappresentata dal fatto che molte donne vittime del sisma appaiono restie a condividere i loro problemi con noi personale medico femminile per vergogna e per pudore. Ecco perché la nostra presenza è importante. Riluttanti ad aprirsi con noi, figuriamoci se possono essere disposte a farlo alla presenza di professionisti uomini. E infatti ho assistito a casi in cui pazienti donne, per imbarazzo, restrizioni culturali e norme tradizionali, si sono rifiutate di esporre il loro stato di salute a medici uomini, persino quando la loro vita era a rischio. (…) La situazione ci ha mostrato che, anche in condizioni di emergenza, numerose pazienti sono disposte a sopportare il dolore e a rischiare la morte, piuttosto che ricevere cure da personale maschile. Mi muovo come ostetrica in questo contesto. Sappiamo tutti che le donne nella nostra società affrontano un gran numero di sfide. Molti sono convinti che una donna non dovrebbe uscire liberamente di casa o lavorare in modo indipendente. (…) Ovunque andiamo dobbiamo essere consapevoli del nostro comportamento, e dei limiti, per evitare di diventare bersaglio di giudizi negativi e di maldicenze. È la realtà con cui noi donne di questa società dobbiamo confrontarci”.
Questo non può definirsi Medioevo. È decisamente peggio, molto più arretrato. Nel nostro Medioevo i medici visitavano e curavano sia uomini che donne. Qui siamo alle prese con l’oscurantismo fatto sistema e con una considerazione oggettistica, schiavistica del genere femminile. Altro che “rispetto” della donna declamato da questo Islam afghano ultrafondamentalista! Dobbiamo rispettare le religioni e le culture degli altri paesi ma non possiamo, con il nostro silenzio e la nostra indifferenza, renderci complici di simili eccessi e nefandezze.
Poche settimane fa, il 3 novembre, un altro terremoto ha colpito l’Afghanistan settentrionale. Meno violento sebbene si siano contate decine di vittime e centinaia di feriti. È probabile che si siano ripetuti gli stessi inaccettabili comportamenti registrati nel sisma di agosto.
In Afghanistan le donne sconoscono i più essenziali diritti ma oggi il mondo pensa ad altro. Ed è piuttosto da rilevare che già da qualche tempo diversi stati – ha cominciato la Russia di Putin – hanno riallacciato relazioni diplomatiche con il governo talebano di Kabul. Alcuni per realizzare infrastrutture ferroviarie comuni, come Uzbekistan e Pakistan; altri come la Cina e di recente l’India per essere presenti in quello scacchiere geografico piuttosto strategico e agitato. Ufficialmente questa ripresa di contatti viene motivata e nobilitata spiegandola con l’intento di esserci per moderare alcune delle politiche interne più repressive del governo talebano come l’ostracizzazione sociale e lavorativa delle donne, la repressione della libertà di espressione e l’imposizione di educazione e legge basata sulla sharia. Sarà. Ma non ci pare che Russia e Cina siano così ansiose di difendere i diritti umani. Piuttosto tendere la mano ai talebani rientra nella logica di presenza e presenzialismo delle superpotenze in quante più aree possibili.
 di Pino Scorciapino

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