C'era una volta il Vietnam dentro al cuore dell' America

Cultura | 28 aprile 2015
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Prima sono venute le canzoni. Peter, Paul and Mary, Where have all the flowers gone che diventava Where have all the soldiers gone ed era di colpo popolarissima tra i ragazzini delle " High Schools", un po ' prima che tra quelli dei college. Ma c' era già stato il Free Speach Movement di Berkeley, guidato dal giovane Mario Savio che aveva aperto la via alla ribellione, dal mattino alla sera alla notte migliaia di ragazzi fuori dalle classi e sui prati ad ascoltare discorsi che diventavano sempre di più Vietnam, e a gridare slogan che diventavano sempre di più contro la guerra. Poi c' era stato Norman Mailer, autore celebre de Il Nudo e Il morto, il grande romanzo anti-guerra premio Pulitzer e leader, per le strade di New York. Ma con lui si incontravano Joseph Heller (Catch 22, per non fare la guerra ti dichiari matto, ma sei sei matto sei l' uomo ideale per fare la guerra), Allen Ginzberg, con i suoi poderosi canti contro le macchine di morte (non le armi, il sistema politico), Harry Belafonte, che da molto prima, ogni anno organizzava (e cantava) una marcia di pace attraverso Manhattan, Sidney Lumet, che, senza calcolare il danno per i suoi film, non aveva mai taciuto, Leonard Bernstein che dalla parte della pace buttava tutto il suo peso di celebrità, bravura. C' era già stata, ed era ancora in corso, la grande predicazione per la nonviolenza di Martin Luther King, che ha esitato a portare il suo movimento nella mobilitazione che si stava formando contro il grande avversario di mezzo Paese : la guerra nel Vietnam. Ti diceva King che c' erano troppi neri fra i soldati che morivano (il Pentagono annunciava ogni sera il numero di morti), ma la nonviolenza pesava sull' espandersi della opposizione alla guerra. Con Joan Baez un concerto diventava un seminario, tutti seduti per terra ad ascoltare Ira Sandpearl, una specie di pifferaio magico, splendido predicatore raccolto in giro per il mondo dalla giovanissima Baez per una improvvisata scuola di pace che duravano ore e nessun ragazzo andava via.

La più forte opposizione democratica Luciano Berio veniva con i suoi allievi di Juliard, la grande scuola di musica di New York, dove allora era il docente più importante.

Veniva (ci siamo andati insieme) alla levitazione del Pentagono, una catena umana tutta intorno al grande centro della vita militare americana, guidati da Mailer e Ginzberg, tra presidi di facoltà e studenti ribelli, tra Myriam Makeba e Stockely Charmichael, mano nella mano con Judith Malina e Julian Beck.

È l' America che il mondo, subito dopo, ha imparato a conoscere, quel popolo della opposizione più forte che ci sia mai stata in un Paese democratico, contro la guerra nel Vietnam che in poco tempo aveva raccolto insieme colonne di marciatori, dall' estrema giovinezza all' estrema celebrità del Paese.

In quei giorni entrava in funzione la televisione a colori. Due delle tre televisioni (NBC e CBS) si sono impegnate subito.

La ABC l ' avrebbe fatto un po ' dopo. La NBC aveva deciso di iniziare con un solo programma a colori alla settimana, un varietà serale affidato a Sammy Davies Junior. Ma la CBS ha deciso che il colore sarebbe apparso per la prima volta nel telegiornale. I telegiornali aprivano sempre con filmati dal Vietnam e giornalisti sul campo di battaglia. La sera della grande inaugurazione del colore nei telegiornali americani, la prima notizia -con un lungo filmato -era l ' incendio del villaggio di Mai Lai : case di legno e bambù che ardevano, si sentiva il crepitare del fuoco e le voci. Erano le grida, attutite dalla distanza, di coloro che stavano morendo nel fuoco. Il cronista ha detto dov' era e il nome del tenente che aveva ordinato l' atto di rappresaglia (il villaggio era ritenuto un covo di Viet Cong) e poi ha taciuto lasciando scorrere le immagini. Il tenente è stato poi processato, e condannato. Ma quel primo programma a colori della CBS è diventato subito il più grande manifesto contro la guerra che abbia mai mobilitato un Paese. I ragazzi di una High School in California avevano avuto un' idea che, da quella sera, è diventata un segnale fortissimo.

Avevano chiesto a tutti coloro che si recavano al lavoro in auto, ogni mattina e ogni sera, di tenere i fari accesi, se erano contro la guerra.

Le televisioni locali, nei loro programmi sul traffico, hanno cominciato a mostrare le carovane di auto e furgoni con i fari accesi. E dopo un po ' la notizia è diventata un bollettino, insieme al carico di traffico e alle condizioni meteorologiche. E ha dimostrato il saldarsi della popolazione adulta con quella giovane e giovanissima che aveva iniziato la grande, ininterrotta dimostrazione. I genitori sono diventati alleati e sostenitori dei figli, anche perchè in quegli anni il servizio militare era obbligatorio e solo con complesse e costose pratiche universitarie si poteva rinviare. E allora si è cominciato a vedere, per le strade, il rito, pericoloso (arresto, prigione) ma frequentissimo di un cerchio di ragazzi intorno ad alcuni di loro che bruciavano la lettera di arruolamento. In una situazione come questa Joan Baez è stata arrestata, processata subito, e condannata a tre mesi nella prigione di Santa Rita. E quando, allo scadere della condanna, sono andata a prenderla con la sua auto e c' era una folla in attesa, ci siamo resi conto che l' opposizione al Vietnam stava diventando un culto e che i protagonisti di quel culto erano ormai diventati, soprattutto agli occhi dei più giovani, dei " santi " laici, di un tipo che non si era mai visto, perchè qui mancavano del tutto la violenza e la vendetta di ogni rivoluzione. Ma si stava anche creando un ponte di solidarietà e reciproco sostegno, che forse non è mai esistito, né prima né dopo, fra i corrispondenti di guerra e i loro lettori, ovvero una vasta parte di opinione pubblica. I lettori e spettatori Tv facevano causa comune con i giornalisti, quando i giornalisti dichiaravano non vera e pericolosa la famosa frase sulla " luce alla fine del tunnel", sul buon andamento della guerra, sull' uso negato del napalm, sulla defoliazione che ha trasformato le foreste in scheletri pietrificati per un lungo periodo. Nelle strade, nelle scuole, nelle case dell' America di quegli anni, il Vietnam è stato soprattutto grande giornalismo, grande televisione e ininterrotta denuncia. Per la prima volta nella storia dei conflitti, i corrispondenti fraternizzavano con i soldati (con la pubblicazione di moltissime storie che sarebbero rimaste sconosciute) ma non con i comandanti. Ero a Saigon, nel continuo andare e venire di quegli anni, quando il già celebre collega del New York Times David Alberstam ha dichiarato la separazione dei giornalisti dai vertici militari.

Giornalisti sul campo con i soldati D ' ora in poi si stava sul campo con i soldati, ma non si andava ai rapporti dei generali, che i buoni giornalisti consideravano apertamente " propaganda". Il fatto da ricordare, nella storia del giornalismo, è che i direttori e gli editori hanno sostenuto e difeso la scelta dei loro inviati. E la fiducia dei lettori ha dato forza contro il rischio di censura. Mai, nella vita di tutti i giorni, l' America è sembrata tanto tragica. La fotografia della bambina nuda che fuggiva sotto le bombe è diventata subito il simbolo di quella guerra (e dell' opposizione a quella guerra, condiviso da tanti). Mai l' America è apparsa come una grande piazza coraggiosa e libera. Non contro i suoi soldati. Contro i suoi politici. Sono i giorni e le ore in cui le TV americane trasmettono ogni istante dell' offensiva del Tet, in cui i Viet Cong hanno quasi raggiunto l' ambasciata americana di Saigon, e che anch' io ho potuto filmare per un programma della Rai di allora, TV 7. Sono stati giorni di tante violente, inimmaginabili battaglie fra una enorme armata e bande di ribelli scalzi. Quei giorni sono stati rappresentati per sempre dall' immagine di un uomo con la camicia bianca che ha il braccio teso, impugna una pistola e spara alla testa di un uomo giovane e ammanettato, in mezzo a una strada.

La Casa Bianca di Lyndon Johnson, prima, di Richard Nixon dopo, sono rimaste isolate nelle affermazioni trionfalistiche su una guerra senza esito ma con un numero altissimo di morti. Il fatto è che prima di allora, in altre guerre, i giornalisti c' erano, ed erano sempre stati " con i nostri ragazzi". E dopo quella guerra non sono più stati ammessi, nessuna guerra è mai più stata documentata e narrata con un continuo reporting come atto di libertà al servizio dei cittadini. Subito dopo è nato il giornalismo embedded che ha voluto impedire per sempre la comunicazione diretta fra eventi di guerra e cittadini. Si era capito che la guerra, quando non è un film, è una serie di eventi insopportabili che, come una operazione chirurgica, deve essere lasciata nei luoghi appartati in cui si svolge, e poi narrata da bollettini. A un certo punto, dopo l' andare e venire nel Vietnam del Sud, dove si combatteva nelle città, nelle campagne, nei villaggi, e da dove veniva l' impulso di opposizione che ha avuto un ruolo così grande da cambiare l' America c' è stato, per alcuni, il tentativo di vedere e sapere che cosa accadeva nel Vietnam del Nord.

Insieme ai tre piloti prigionieri Negli stessi giorni, poco prima di Jane Fonda, ci siamo andati Joan Baez e io, arrivando per via di terra dalla Cina, (tutti e due sospetti perchè, durante i ricevimenti non brindavamo mai " alla vittoria " o ai leader, ma solo " alla pace"). Intanto continuavano, con pochi intervalli, i bombardamenti su Hanoi e Haiphong, e questo possiamo dire : erano spaventosi e non credevi di uscirne vivo. Una notte sono stato portato, all' improvviso, a incontrare, nel carcere che tutti chiamavano " Hanoi Hilton", tre piloti americani prigionieri. I miei accompagnatori avevano scritto, in buon inglese, su un foglio di carta un elenco di domande che avrei dovuto fare. Ho restituito il foglio spiegando che in quelle condizioni non avrei fatto alcuna domanda, tranne il nome e il grado, per poter dimostrare alle famiglie che erano vivi. E poichè gli accompagnatori, benchè scontenti, hanno insistito nel lasciarmi 10 minuti per ciascun prigioniero (un giovane tenente dell' Oklahoma, un quarantenne capitano di Boston, un ragazzo delle Haway) ho spiegato loro che non avrei fatto domande, data la loro non libertà di rispondere, ma avrei tenuto le telecamere accese per il tempo previsto. Pochi giorni dopo le immagini dei tre prigionieri (nome, grado, reparto e un saluto con le lacrime agli occhi alla famiglia) sono state trasmesse in molti telegiornali americani, sui giornali, nei commenti di quel grande e ininterrotto flusso di notizie che era la guerra del Vietnam. Questa è la cronaca di un periodo della Storia in cui la democrazia è fatta di disobbedienza e di coraggio. Quando mi sono unito, insieme ad Andrea Barbato, alla campagna elettorale di Bob Kennedy per le primarie presidenziali (vinte tutte, fino alla sua uccisione di Los Angeles) ho spesso sentito dire dal giovane Kennedy che il Vietnam è stata la più grande prova di democrazia di quel Paese. Poi, con la Convenzione democratica di Chicago, gli scontri durissimi della Guardia Nazionale contro i ragazzi (la celebre fotografia di Newsweek : la baionette a contatto con canottiere e magliette di migliaia di giovanissimi), la polizia che abbatte a pugni i giornalisti più celebri e coraggiosi, lo stesso partito dell' assassinato Bob Kennedy che approva la guerra, la Storia è andata da un' altra parte.


 di Furio Colombo

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