"Chi semina racconta", dieci donne dall'agricoltura sociale alla legalità
Dieci giovani donne fra i 18 e i 35 anni che,
in un bene confiscato alla mafia e intitolato al piccolo
Giuseppe di
Matteo, ucciso da Cosa Nostra, vengono formate per
organizzare e gestire
attività di agricoltura sociale che coinvolgano i giovani
siciliani in
un percorso di legalità e incentivazione all’occupazione. E’
questo
l’obiettivo del progetto “Chi semina racconta”, finanziato
dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri e oggetto di un
seminario che si è
tenuto questa mattina presso la sede di Libera Palermo di
piazza
Castelnuovo, a Palermo, dal titolo “Chi Semina Racconta: il
punto sul
progetto e i prossimi passi”.
Realizzato dalla Cooperativa sociale Placido Rizzotto
(capofila), da
Libera Palermo, da Orizzonte Donna onlus e dalla Rete delle
Fattorie
sociali Sicilia, con la collaborazione di alcuni partner
esterni (Cnca,
l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni del Ministero
della
Giustizia e l‘associazione Famiglie Persone Down), il
progetto, partito
lo scorso settembre, ha una durata di 18 mesi e prevede in
una prima
fase la formazione di giovani donne disoccupate e nella
seconda attivtà
didattico-educative per 300 minori ospitati in comunità
alloggio o
autori di reati e giovani affetti da sindrome di Down.
“Si apre la fase più entusiasmante del progetto, quella
della
restituzione delle competenze apprese dalle operatrici di
agricoltura
sociale ai più giovani - ha detto il presidente della
Cooperativa
Rizzotto Francesco Galante - il che avverrà in un bene
confiscato al
centro di un territorio di enorme valenza storica e
simbolica, con la
creazione di un’enclave agricola a bassissimo consumo ma
dalla grande
produttività. Sono in fase di preparazione l'orto didattico
e la serra
dotata di impianti per la coltivazione idroponica, una
tipologia di
agricoltura mista ad allevamento sostenibile basata su una
combinazione
di coltivazione intensiva e allevamento, già sperimentata in
varie parti
del mondo, e che la Fao ha in particolare sostenuto nella
Striscia di
Gaza”.
“Libera Palermo si è occupata del tutoraggio di queste
ragazze che
vivono a San Giuseppe Jato e San Cipirello - ha aggiunto
Chiara
Cannella, formatrice di Libera Palermo - hanno appreso
realtà e
situazioni legate ai beni confiscati alla mafia che non
conoscevano.
Hanno acquisito consapevolezza dell’importanza di
riutilizzare i beni
confiscati nell’interesse del territorio, di diffondere la
cultura della
legalità e di guardare all’agricoltura sociale come
strumento di
inserimento nel mondo lavorativo“. Il seminario ha previsto
anche
l’intervento di Laura Bargione, rappresentante della Rete
delle Fattorie
Sociali, e di Gloria
Maria Lamia, una delle dieci ragazze coinvolte nel
progetto che ha raccontato il lavoro sin qui svolto. “Il
corso di
formazione - secondo Claudia Cardillo, formatrice della Rete
Fattorie
Sicilia - è stato un’occasione per conoscere le potenzialità
dell’agricoltura sociale e le varie forme nelle quali può
essere attuata
nel territorio della Valle dello Jato. Ragionare di
inclusione sociale,
di servizi per la riabilitazione e delle 'terapie verdi'
proposte dalla
zooantrologia applicata, dei percorsi del benessere con
l’aiuto degli
animali e delle piante, di turismo sociale e della didattica
è stato
impegnativo ed entusiasmante”.
Entro la prossima settimana verrà allestita la serra
didattica
all’interno della quale è prevista anche la coltivazione
acquaponica,
ossia un sistema integrato fra l’allevamento dei pesci e la
coltivazione
di vegetali senza l’uso di sostanze chimiche, creando un
ecosistema
integrato.
“Chi semina racconta” è stato finanziato con circa 219mila
euro
nell’ambito dell’avviso promosso dal Governo nazionale
“Giovani per la
valorizzazione dei beni pubblici”. Il progetto si svolge nel
territorio
dell’Alto Belice, in provincia di Palermo, in cui la
disoccupazione
giovanile tocca punte del 70% e quella femminile del 44%,
con una forza
lavoro dedicata per la maggior parte al terziario e
all’industria.
L’agricoltura sociale è ormai una pratica consolidata in
Sicilia, offre
prodotti dai chiari connotati etico-sociali e consente di
recuperare
antiche tradizioni.
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