Di taser si può anche morire

Società | 19 agosto 2025
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Quanti altri morti di taser dovremo contare prima che la “pistola elettrica” in dotazione da tre anni alle forze dell’ordine in Italia sia messa al bando? Siamo giunti a cinque vittime, le ultime due nei giorni scorsi in provincia di Genova e a Olbia, in Sardegna. Si dirà (obiezione di chi le produce): non è provato che siano morti di taser, non è provato il rapporto causa-effetto tra scossa e decesso. D’accordo. Ma è quanto meno sospetto che cinque individui siano deceduti dopo essere stati colpiti dal taser. Se non fossero stati colpiti dalla scarica - in alcuni casi da più scariche - il loro cuore si sarebbe fermato per altre cause, ad esempio per infarto? Il dubbio potrebbe rimanere per un singolo caso. Ma cinque coincidenze fanno una prova incontrovertibile: il taser può uccidere anche se chi lo usa non lo utilizza per uccidere.
Nel nostro paese circolano ormai circa cinquemila taser. L’intento di introdurli era persino accettabile sulla carta: nei casi ad accentuata componente di rischio, in presenza di energumeni e violenti fuori controllo o in presenza di esaltati problematici a causa di uso di alcol e droga da riportare alla ragione, in cella o in strutture sanitarie adeguate per calmarsi, il ricorso al taser veniva invocato in quanto ritenuto meno nocivo come conseguenze del ricorso alle manganellate o, peggio, alle pistole. Meno pericolo di feriti e soprattutto di morti. E, perché no? meno conseguenze per agenti delle forze dell’ordine che poi – a causa di feriti o di morti, di arresti molto problematici nelle modalità e conclusi con il ricorso alle armi – avrebbero dovuto affrontare sospensioni, incriminazioni, processi, condanne. Ma quando il rimedio finisce per rivelarsi più letale del danno – al limite persino non direttamente per la scarica elettrica ma di sicuro indirettamente sulle funzioni vitali del corpo umano colpito – allora qualche interrogativo bisogna porselo. E con urgenza. Di troppa tecnologia si può anche morire. E questo rischio non è ammissibile.
I nuovi ritrovati, sbandierati e invocati come la panacea che tutto risolve, si rivelano alla prova dei fatti assai meno risolutivi di quanto si riteneva. Inevitabile un parallelo con l’altrettanto panacea braccialetto elettronico dei killer delle donne. Strumento tecnologico, al passo con i tempi, garanzia di sicurezza per le perseguitate nel mirino di mariti ed ex mariti, compagni ed ex compagni. Così si sostiene. E invece ne spuntano di sempre più difettosi, malcollegati, malfunzionanti. Non risolvono un bel nulla. In una parola: inadeguati. Sempre più ci scappa il morto. Anzi la morta.
Ecco, il taser in dotazione alle forze dell’ordine replica lo stesso copione. Da decisivo ausilio per calmare, sedare, arrestare drogati, ubriachi o violenti per natura e cultura esagitati e molesti per l’ordine pubblico e l’incolumità delle persone a strumento che può uccidere. Che uccide. Non è provato il rapporto diretto? Può darsi, è da vedere se sia così. Ma indirettamente sì, è così: ora parlano i numeri. Situazione che in un paese civile non può essere tollerata. Perché sa tanto di paradossale strumento di tortura “preventivo”. Nuovi ritrovati del genere se li tengano in dotazione le polizie statunitensi – violente, fanatiche di armi e presunte nuove tecnologie – e le polizie (meno tecnologiche ma non per questo meno violente) dei sempre più numerosi stati affascinati, anzi conquistati, dall’autocrazia, dall’autoritarismo, dalla mancanza di rispetto dei più elementari diritti dei cittadini. A cominciare da uno essenziale: il diritto a non perdere la vita anche quando si eccede perché si è fatti e sfatti di droga e alcol o si è impastati ed educati di violenza e nella violenza.
 di Pino Scorciapino

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