Via tanti talenti, cresce l’emigrazione italiana
Società | 3 dicembre 2025
C’è un dato che colpisce più di tutti: gli italiani sono in continuo movimento. I flussi migratori non sono solo quelli dal Sud al Nord, ma anche verso l’estero. È una mobilità, tuttavia, che negli anni è diventata più circolare e complessa: si parte, si ritorna, si riparte. E ad emigrare non sono solo i laureati, ma soprattutto i diplomati. A fotografare l’emigrazione italiana che, negli ultimi vent’anni (2006-2024), è diventata un fenomeno strutturale toccando nel 2024 il record storico di 155.732 partenze, è la XX edizione del Rapporto Italiani nel Mondo (Rim) della Fondazione Migrantes.
La mobilità interna al Paese continua a impoverire il Sud e le aree interne: dal 2014 al 2024 più di un milione di persone ha lasciato il Mezzogiorno per il Centro-Nord, contro 587 mila cittadini che si sono spostati in direzione opposta. Il Sud, dunque, sconta un saldo negativo di oltre 500 mila persone. I più mobili sono i giovani tra i 20 e i 34 anni (quasi il 50%), seguiti da adulti in età lavorativa. Sono le province interne e montane a pagare il prezzo più alto in termini di perdita di popolazione, chiusura di scuole e servizi, impoverimento sociale.
Le disuguaglianze territoriali di un’Italia “a velocità diverse” alimentano non solo l’emigrazione interna, ma anche quella verso l’estero. La mobilità interna, infatti, rappresenta spesso la prima fase di un progetto migratorio più grande, che guarda oltre i confini nazionali. A ben vedere, tuttavia, negli ultimi dieci anni le partenze dal Meridione sono sempre più dirette, senza cioè il passaggio intermedio nelle regioni del Centro-Nord: si parte dal Sud con destinazione Berlino, Londra, Zurigo.
L’Europa resta il baricentro della mobilità italiana (76% degli espatri), con Regno Unito, Germania e Svizzera in testa. I giovani meridionali non sono gli unici a guardare al di là delle Alpi. Anzi. È la Lombardia, motore economico del Paese, a produrre la quota più alta di saldo migratorio negativo: da sola vale circa un quinto dell’emigrazione totale. In un territorio ad alta competizione, il turnover e un mercato del lavoro che non sempre riesce a garantire un futuro soddisfacente ai giovani spingono la forza lavoro a cercare altrove migliori condizioni per l’affermazione professionale. La tendenza a partire è alta anche nelle regioni del Nord-Est, in particolare in Veneto. Da lì si parte per “andare a vedere come va fuori”, come un normale percorso di carriera, ma i più finiscono per restare fuori. Queste le ragioni che spiegano i dati sugli italiani nel mondo: 1,6 milioni di espatri e 826 mila rimpatri in 20 anni, con un saldo negativo di oltre 817 mila cittadini italiani, concentrato tra Lombardia, Nordest e Mezzogiorno. E ancora: al 1° gennaio 2025 risultano iscritti all’Anagrafe per gli italiani all’estero (Aire) 6,4 milioni di persone, pari quasi a un italiano su 9: l’“Italia fuori dell’Italia” è ormai la ventunesima regione.
Accanto ai giovani, tra gli italiani residenti all’estero crescono anche le donne (+115,9% in vent’anni, dati Aire) e gli over 50, spesso nonni o lavoratori che raggiungono figli e nipoti all’estero.
Ad incoraggiare a partire sono le fragilità strutturali del Paese – lavoro precario, disuguaglianze territoriali, riconoscimento del “merito” – ma anche la scelta di perseguire una progettualità personale. Ecco perché lo speciale del Rapporto 2025, “Oltre la fuga: talenti, cervelli o braccia?” invita a superare la visione riduttiva e quasi tragica dell’espatrio e della mobilità come mera “perdita, strappo, trauma”. L’emigrazione non sarebbe, dunque, una fuga, ma una scelta alla ricerca di dignità, riconoscimento e mobilità sociale.
di Alida Federico
La mobilità interna al Paese continua a impoverire il Sud e le aree interne: dal 2014 al 2024 più di un milione di persone ha lasciato il Mezzogiorno per il Centro-Nord, contro 587 mila cittadini che si sono spostati in direzione opposta. Il Sud, dunque, sconta un saldo negativo di oltre 500 mila persone. I più mobili sono i giovani tra i 20 e i 34 anni (quasi il 50%), seguiti da adulti in età lavorativa. Sono le province interne e montane a pagare il prezzo più alto in termini di perdita di popolazione, chiusura di scuole e servizi, impoverimento sociale.
Le disuguaglianze territoriali di un’Italia “a velocità diverse” alimentano non solo l’emigrazione interna, ma anche quella verso l’estero. La mobilità interna, infatti, rappresenta spesso la prima fase di un progetto migratorio più grande, che guarda oltre i confini nazionali. A ben vedere, tuttavia, negli ultimi dieci anni le partenze dal Meridione sono sempre più dirette, senza cioè il passaggio intermedio nelle regioni del Centro-Nord: si parte dal Sud con destinazione Berlino, Londra, Zurigo.
L’Europa resta il baricentro della mobilità italiana (76% degli espatri), con Regno Unito, Germania e Svizzera in testa. I giovani meridionali non sono gli unici a guardare al di là delle Alpi. Anzi. È la Lombardia, motore economico del Paese, a produrre la quota più alta di saldo migratorio negativo: da sola vale circa un quinto dell’emigrazione totale. In un territorio ad alta competizione, il turnover e un mercato del lavoro che non sempre riesce a garantire un futuro soddisfacente ai giovani spingono la forza lavoro a cercare altrove migliori condizioni per l’affermazione professionale. La tendenza a partire è alta anche nelle regioni del Nord-Est, in particolare in Veneto. Da lì si parte per “andare a vedere come va fuori”, come un normale percorso di carriera, ma i più finiscono per restare fuori. Queste le ragioni che spiegano i dati sugli italiani nel mondo: 1,6 milioni di espatri e 826 mila rimpatri in 20 anni, con un saldo negativo di oltre 817 mila cittadini italiani, concentrato tra Lombardia, Nordest e Mezzogiorno. E ancora: al 1° gennaio 2025 risultano iscritti all’Anagrafe per gli italiani all’estero (Aire) 6,4 milioni di persone, pari quasi a un italiano su 9: l’“Italia fuori dell’Italia” è ormai la ventunesima regione.
Accanto ai giovani, tra gli italiani residenti all’estero crescono anche le donne (+115,9% in vent’anni, dati Aire) e gli over 50, spesso nonni o lavoratori che raggiungono figli e nipoti all’estero.
Ad incoraggiare a partire sono le fragilità strutturali del Paese – lavoro precario, disuguaglianze territoriali, riconoscimento del “merito” – ma anche la scelta di perseguire una progettualità personale. Ecco perché lo speciale del Rapporto 2025, “Oltre la fuga: talenti, cervelli o braccia?” invita a superare la visione riduttiva e quasi tragica dell’espatrio e della mobilità come mera “perdita, strappo, trauma”. L’emigrazione non sarebbe, dunque, una fuga, ma una scelta alla ricerca di dignità, riconoscimento e mobilità sociale.
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