La violenza sulle donne,
“non lasciamole sole”
Società | 1 dicembre 2025

Ci si emoziona sempre quando i temi di cui si parla riguardano le persone più fragili, a maggior ragione nel caso delle donne vittime di violenza. Ci si emoziona quando le storie le raccontano loro stesse, ma si supera ogni limite e l’emozione impone la necessità di una riflessione ancora più ampia quando si riflette su cosa non ha funzionato, cosa è mancato per non essere riusciti a salvarle quando la cronaca ci riporta l’ennesimo caso di femminicidio.
È una riflessione che andava fatta a pochi giorni dalla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e che la ventesima edizione del Progetto Educativo Antimafia ha voluto proporre per la seconda conferenza dal titolo “La violenza contro le donne e femminicidio'', tenuta nell’aula magna dell’istituto ''Vittorio Emanuele III''. È stato un momento di forte emozione per tutti, non solo per il tema che ha destato l’attenzione degli studenti dell’istituto ospitante, come delle 130 classi collegate da tutta Italia, ma anche perché ad aprire la conferenza, introdotta dalla professoressa Antonella Sannasardo, funzione strumentale dell’educazione civica e della legalità, sono stati gli studenti Sofia Ruta e Gabriele Bono, quinta A Informatica, Domenico Lapi e Francesco Incandela, quarta A Meccanica, che hanno letto brani tratti dai libri di Serena Dandini (“Ferite e morte”) e Riccardo Iacona (“Se questi sono gli uomini”). Una partenza forte che ha ceduto il passo all’analisi non solo quantitativa ma anche qualitativa del fenomeno da parte di Alessandra Dino, sociologa Unipa, seguita dall’intervento dell’avvocato Monica Genovese su quello che succede prima, durante e dopo l’arrivo delle vittime nelle aule di tribunale.
“Ogni storia è una storia diversa - afferma Alessandra Dino rivolgendosi ai ragazzi - ma dalle vostre letture si coglie un campanello d'allarme da non sottovalutare, come anche l'elemento dell'isolamento che consente all'uomo violento di esercitare la sua violenza allontanando la donna da tutte le persone care. Molto spesso questo avviene nell'ultimo incontro, che si chiede dopo una serie reiterata di violenze. Altro elemento importante è il fatto di considerare la violenza contro le donne non come un problema privato, ma come una violazione dei diritti umani, tant'è vero che Kofi Annan ne ha parlato come la violazione dei diritti umani più vergognosa”.
“Altro elemento importante che veniva fuori dalle narrazioni dei ragazzi – ha aggiunto la sociologa - è l'accanimento, la violenza sul corpo femminile: ‘Prima ti strangolo, poi ti metto in bocca il fazzoletto con la candeggina, dopodiché magari ti butto giù dal balcone’. Le donne molto spesso vengono colpite al viso perché si vuole distruggere la loro identità, la loro specificità. Da non sottovalutare un altro dato importante che riguarda lo stereotipo ed è quello della vittima perfetta”. Alessandra Dino ha richiamatole parole della sociologa Tamar Pitch: “Lo statuto di vittima viene attribuito a chi ha un'innocenza e un'assoluta passività. Le vittime vere sono quelle che hanno fatto di tutto per non diventarlo”.
Ma cosa succede quando le storie seguono la strada che dovrebbe portarle nelle aule di tribunale?
“Parto – ha detto l’avvocato Monica Genovese - dal 1981: allora avevo 13 anni. Se un ragazzo violentava una ragazza e poi i genitori di lui andavano dalla famiglia di lei proponendo il cosiddetto ‘matrimonio riparatore’, la violenza sessuale non era più reato, veniva estinta. C'è voluto una donna con la D maiuscola, il cui nome è Franca Viola, che si è ribellata, non a uno qualunque ma al nipote di un mafioso di Alcamo. Il violentatore l’ha portata in un casolare, l'ha tenuta chiusa per otto giorni, l'ha lasciata digiuna, l'ha stuprata. Dopodiché i genitori di questo ragazzotto sono andati dalla famiglia Viola per offrire la riparazione del matrimonio. Franca, appoggiata dalla famiglia, ha fatto finta di accettare la proposta ma poi è andata dai carabinieri a denunciare la violenza subita. Hanno denunciato non solo uno stupratore, un violento, ma il nipote di un capo mafia, lo hanno portato in tribunale e, grazie ai giudici giusti, ai pubblici ministeri giusti, lo hanno fatto condannare a una pena di circa undici anni. Ci è voluto tutto questo per portare all'abrogazione di quelle norme del codice penale che prevedevano il cosiddetto matrimonio riparatore che estingueva il reato, come anche di una circostanza attenuante e cioè la violenza fatta in un momento di ira, il cosiddetto raptus. Siamo chiamati tutti a essere responsabili, ma soprattutto preparati”.
“È un grande passo quello della vittima che supera la vergogna, il disagio, il fatto che magari un padre abusa di lei, la violenta, la picchia. E magari viene dagli inquirenti lasciata per due ore in attesa di essere sentita. Oggi mi rivolgo a un pubblico composto soprattutto da uomini e al quale chiedo di smettere di pensare che il problema della violenza di genere sia solo un problema delle donne. Già da tempo arrivano al mio studio molti ragazzi, uomini, destinatari della violenza di genere. Sono controllati, pedinati, non possono andare in palestra, la fidanzata controlla dove sono, con chi parlano, con chi hanno scambiato messaggi con Whatsapp, a chi hanno messo il like su Facebook, Instagram o qualunque altro social. Ognuno di noi deve fare la sua parte e iniziare a parlare di rapporti in maniera naturalmente molto più serena, molto più tranquilla, priva di stereotipi, di competizione, allontanandoci anche dalla violenza che ogni giorno questi maledetti social ci propinano”.
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