Magistratura, la riforma che serve al potere

Politica | 17 dicembre 2025
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Torniamo sulla riforma della giustizia che sarebbe meglio chiamare “riforma della magistratura”. In effetti chi è solito leggere la stampa del Centro di studi e ricerche Pio La Torre ricorderà che, già il 3 giugno 2025, il Centro ha pubblicato un articolo, a mia firma, sul tema che tratta la separazione delle carriere della magistratura. Non si può rimanere silenti davanti allo scempio della carta costituzionale più bella del mondo.
Sono passati appena sei mesi circa e l’argomento ritorna a galla perché quella proposta di legge è divenuta legge. La fonte aggiornata del mutamento normativo risiede nella legge di riforma costituzionale della magistratura approvata il 30 ottobre 2025, con particolare riferimento alla separazione delle carriere tra magistrati giudicanti (giudici) e requirenti (pubblici ministeri), e alle principali questioni costituzionali e politiche.
Vediamo preliminarmente cosa cambia con la riforma costituzionale. Innanzitutto la magistratura non sarà più un ordine unico con possibilità di cambiare ruolo, ma sarà formalmente articolata in due carriere distinte: quella della magistratura giudicante e quella della magistratura requirente con la conseguenza che chi entra nell’una o nell’altra funzione vi rimarrà fin dall’inizio e non potrà più cambiare ruolo in corso di carriera.
Vi saranno due consigli superiori della magistratura – per intenderci, due Csm – uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, entrambi presieduti dal presidente della Repubblica, con composizioni e competenze diverse. Vi sarà inoltre una Alta Corte che gestirà le funzioni disciplinari per i magistrati giudicanti o pubblici ministeri. Il governo e tutti coloro che lo sostengono affermano che la separazione delle carriere servirebbe a garantire maggiore imparzialità del giudice, evitando legami tra chi accusa e chi giudica. Invero non vedo come l’imparzialità del giudice possa dipendere dalla separazione delle carriere; e poi, quale sarebbe il metro di valutazione dell’imparzialità? Chi decide se e come il giudice è stato parziale? Peraltro la questione è di lana caprina perché investe un aspetto che riguarda i rapporti umani intrattenuti dai giudici o dai pubblici ministeri. Mi riferisco a quelle relazioni interpersonali sociali che normalmente intercorrono tra persone e che sono basati su amicizia, semplice conoscenza, interessi comuni o impegni professionali. Volendo essere comunque obiettivi, si può condividere che la separazione delle carriere possa rappresentare un tentativo di ridurre le correnti interne nel sistema giudiziario.
Molti costituzionalisti sostengono che la Costituzione del 1948 ha voluto un ordine giudiziario unitario proprio per preservare l’indipendenza della magistratura nel suo complesso, senza frammentazioni che possano renderla più vulnerabile a pressioni esterne. In effetti la riforma modifica articoli della Costituzione storicamente intesi a garantire l’indipendenza e l’autonomia della magistratura in un quadro unitario.
Purtuttavia, sotto il profilo meramente pratico, la separazione dei ruoli non è una novità, perché già con la riforma Cartabia del 2022 la mobilità dei magistrati da una funzione all’altra aveva subito parecchie limitazioni. Sembra, peraltro, che solo una piccolissima percentuale – assolutamente irrilevante – abbia cambiato le proprie funzioni, da giudice a pm e viceversa, con un’incidenza sulle pratiche quotidiane, davvero irrisoria.
Un colpo alla Costituzione
Ebbene, quasi tutta la magistratura non vede di buon grado la riforma in quanto ritiene che si verrebbe a determinare un’apertura di potere politico verso i pubblici ministeri; in buona sostanza gli oppositori della riforma temono l’intromissione del potere esecutivo o del potere legislativo in quello giudiziario, magari sotto forma di specifiche direttive alle quali i pm dovranno attenersi. Ecco! Questo sarebbe in fondo un altro colpo ferale non più – o non solo – alla magistratura ma direttamente alla carta costituzionale.
Ancora una volta dunque, il legislatore interviene presentando proposte che perseguono il fine di distruggere, fino alla cancellazione, la nostra Costituzione insieme a quel principio sulla separazione dei poteri – tanto discusso da Charles Louis de Montesquieu nell’opera “L’esprit des lois”.
La legge costituzionale approvata il 30 ottobre 2025, non avendo raggiunto la maggioranza qualificata di due terzi nelle Camere, andrà a referendum confermativo nella primavera del 2026 per essere definitivamente introdotta nella Costituzione.
Una legge di natura divisiva
La riforma ha ovviamente natura divisiva; infatti il mondo giudiziario – ma non solo quello – si divide in due parti, ciascuna delle quali avanza le proprie ragioni più o meno argomentate.
Se mettiamo a confronto chi parteggia per il pro e chi per il contro otterremo una visione rappresentativa di opinioni che stanno, fra di loro, agli opposti estremi. Alcuni costituzionalisti e giuristi sostengono che la separazione delle carriere possa rafforzare la terzietà del giudice, distinguendolo nettamente dal pubblico ministero che conduce l’accusa. In tal caso, la magistratura giudicante, separata da quella requirente, offrirebbe un modello accusatorio più equilibrato, sostengono i giuristi favorevoli alla riforma. Gli stessi giuristi peraltro, per quanto attiene all’influenza delle correnti interne alla magistratura, sostengono che, se questa fosse separata, contribuirebbe alla formazione di un modello accusatorio più equilibrato. A ben vedere, i negazionisti offrono una serie di valutazioni della riforma, non sufficientemente fondate. Invero appare sempre più concreto il sospetto che la riforma faccia parte di un più ampio programma del governo e della maggioranza di destra, che prevede l’introduzione di nuove leggi di impronta autoritaria con ampi poteri dell’esecutivo in modo da predisporre il terreno fertile per l’introduzione di forme di governo dispotiche, assolutiste. Anche questo sarebbe un ulteriore tassello per la cancellazione della Costituzione della Repubblica.
Sono molti i costituzionalisti – fra quelli più autorevoli – che sottolineano come la Costituzione italiana del 1948 abbia previsto un ordine giudiziario unitario per tutelare l’indipendenza della magistratura nel suo complesso. La frammentazione in due carriere potrebbe, secondo questi critici, creare un’alterazione degli equilibri tra poteri dello Stato. Anche la creazione di due Csm e di un’Alta Corte disciplinare viene giudicata come il rischio – sempre più concreto – dell’indebolimento della componente rappresentativa qualificata dei magistrati, poiché parti degli organi saranno sorteggiate senza tenere conto di criteri di esperienza o qualificazione. E dunque appare quanto meno ovvio che il legislatore voglia ricorrere al metodo del sorteggio per la nomina dei componenti dei due Csm al fine di abbassare il livello di qualità degli stessi e in modo da affidare al caso la nomina, senza necessità di valutare le competenze, la preparazione e la maturità dei candidati a tutto discapito della qualità e dell’autonomia degli organi di autogoverno.
Ma è così che piace alla maggioranza di destra; è così che il governo potrà operare con pieni poteri. Proprio come avviene nei paesi a gestione totalitaria, dove l’ignoranza del popolo costituisce lo strumento necessario e indispensabile per legiferare in tutta serenità.
Non possiamo che ribadire che la riforma modifica l’assetto originario della Costituzione disdegnando il concetto di ordine giudiziario unitario, quale elemento ritenuto fondamentale per l’indipendenza complessiva della magistratura.
Peraltro i pm sarebbero vieppiù sottoposti a pressioni politiche anche mediante l’imposizione di linee guida da parte del Governo, generando così una pubblica accusa dipendente dal Governo che avrebbe raggiunto quel tanto agognato programma che vedrebbe l’accentramento dei poteri nelle sue mani.
Di tutto questo la maggioranza e lo stesso presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ci hanno fornito ampia prova ancor prima dell’approvazione delle legge in questione se teniamo in debito conto la gestione della ‘res publica’ fin qui utilizzata: decreto d’urgenza (anche quando l’urgenza non c’è), presentazione alla Camera dei deputati o in Senato per la discussione degli emendamenti (anche se molto frequentemente non vengono discussi per disposizione del presidente della Camera), approvazione della legge molto spesso con voto di fiducia.
Il sorteggio che nega il merito
Il sì del Senato è stato commentato da Giorgia Meloni come “un passo importante verso un impegno che avevamo preso con gli italiani e che stiamo portando avanti con decisione”.
Nel caso in questione, per la premier, le modifiche garantiscono il giusto processo e limiteranno l'influenza delle correnti politiche interne alla magistratura italiana.
Il secondo partito della maggioranza, Forza Italia, ha dedicato la riforma al fondatore Silvio Berlusconi che ha imposto questo tema nel dibattito politico. Berlusconi venne eletto per la prima volta al governo nel 1994, dopo le inchieste giudiziarie sulla corruzione nella politica che segnarono la fine della cosiddetta Prima Repubblica in Italia e fino alla sua morte è stato al centro del dibattito politico con i magistrati fatto di inchieste, processi e minacce da parte degli esecutivi da lui presieduti fino al 2011 e delle maggioranze di centrodestra successive.
La legge in discussione accende ancor più gli animi con il serio rischio di dover registrare un “conflitto di poteri” dello Stato. Giorgia Meloni ha definito la riforma ‘epocale’ e ‘storica’ non considerando in alcun modo le perplessità del capo dello Stato che si è guardato bene dal formulare pareri preventivi quando il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, insieme al sottosegretario Alfredo Mantovano, si è recato al Quirinale per presentare a Mattarella il testo della legge.
E comunque, allo scopo di avere le mani libere, la presidente del Consiglio ha voluto che la scelta dei candidati da destinare ai due Csm e all’Alta Corte, avvenga ‘per sorteggio temperato’. In proposito non possiamo fare a meno di considerare come la maggioranza di destra badi maggiormente alla forma della nuova norma – che deve garantire i desiderata dell’organo esecutivo – sacrificando volutamente l’aspetto del contenuto. Il metodo del sorteggio infatti limita notevolmente la scelta dei candidati che dunque prescinde totalmente dagli aspetti meritori.
Alla separazione delle carriere dei magistrati consegue inevitabilmente la cancellazione del principio di autonomia dei poteri dello Stato: giudiziario, legislativo ed esecutivo. Sono certo che, proseguendo con questa politica che tutelerà i colletti bianchi, la ricca borghesia e le classi più abbienti, le Procure dovranno dare la priorità alle indagini sui ladri di biciclette.
Esattamente quello che voleva Berlusconi.
Roberto Scarpinato si pronuncia in proposito: “C’è un disegno ampio e organico per dare vita a un diritto penale di casta separando la gente comune dai ‘signori’ vicini al potere” […] “l’abolizione del reato di “abuso d’ufficio” è parte di un processo di recessione dello Stato, che esiste proprio per garantire il cittadino di fronte al potere”.
Ebbene, lo scempio legislativo è in corso d’opera; prima è toccato all’abuso d’ufficio andare in pensione, ma molto presto, ricordando le parole della senatrice Giulia Bongiorno, vedremo scomparire o, quanto meno, ridimensionare il ricorso all’intercettazione, con divieto di uso del troyan; assisteremo ad una radicale modifica della prescrizione che vedrà, fin da subito, molti imputati liberi dalle accuse delle Procure e molti detenuti ritornare alle proprie case con tante scuse. Abbiamo assistito alla cosiddetta “legge bavaglio” che costituisce un vero attentato alla libertà di stampa; adesso dobbiamo assistere alla riforma della magistratura con le nuove norme sulla separazione delle carriere dei magistrati.
L’attuazione delle nuove norme, pone invero un problema non di poco conto: si tratta della distanza, anche culturale, che si verrà a creare fra giudicante e requirente, per effetto dei diversi percorsi professionali che dovranno affrontare le due figure.
Per quanto riguarda tutte le altre norme della legge di riforma costituzionale, per non essere ripetitivo rinvio al mio articolo pubblicato il 3 giugno 2025 sul sito del Centro Pio La Torre. Importante è sapere che in pochissimo tempo è stata realizzata la figura di un nuovo pm alle dipendenze dell’esecutivo con immediata conseguenza che i processi, sia pure indirettamente, saranno (o potranno essere) controllati dal potere esecutivo.
E così, con molta probabilità dovremo fare i conti con un ‘conflitto di poteri dello Stato’.
Credo che chiunque abbia un minimo di capacità di analisi politica, potrà rilevare come il Paese Italia – già atteggiato all’autoritarismo più integrale – stia andando incontro all’oligarchia più dura.
“O la va o la spacca” dice Giorgia Meloni (utilizzando un linguaggio smodato) con il suo immancabile piglio di arroganza che invero mal si addice ad un presidente del Consiglio che rappresenta la più alta istituzione esecutiva del Paese.
Un presidente del Consiglio non ricopre quella carica per fare scommesse sugli esiti dei programmi presentati ai propri elettori; dovrà piuttosto mostrare sicurezza e dare garanzie alla popolazione.
Sono peraltro convinto che, in tutto questo fervore riformista, assisteremo molto presto anche all’esecuzione dell’azione penale sulla base di liste di priorità approntate dal Guardasigilli; di tal che vedremo, ancora una volta, il potere giudiziario dipendere dal potere esecutivo. In effetti la questione sta tutta qui. Forse non ci sarebbe nulla di strano nella riforma che vede la separazione delle carriere, se non fosse per il fatto che tale riforma è il preludio all’introduzione della dipendenza del pm dall’esecutivo e all’introduzione della discrezionalità dell’azione penale.
Ma a questo punto non possiamo sottacere una grande preoccupazione nascente dal fatto che andremo incontro a uno Stato di polizia.
 di Elio Collovà

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