"Così il golpe contro Allende cambiò la nostra vita e la musica"
«C’è stato un colpo di stato in Cile. Hanno assaltato il Palacio de La Moneda». È questo il primo rimando all’undici settembre del 1973 che affiora nei ricordi di Horacio Duran Vidal, leader storico degli Inti-Illimani. Il mitico gruppo musicale si è esibito a Troina con un concerto gratuito in piazza Giacomo Matteotti (ore 21.30), unica tappa meridionale del loro tour 2023.
La band musicale cilena è ormai assurta a simbolo artistico dell’impegno civile. Vanta al suo attivo brani musicali ormai divenuti classici della musica di denuncia. Il loro brano più noto in Italia è “Alturas”, sigla della trasmissione radiofonica “L'altro suono”, oltre all’intramontabile “El pueblo unido jamás será vencido”, firmato da Sergio Ortega. Grandi poeti come Pablo Neruda e Rafael Alberti hanno firmato i testi delle canzoni del gruppo cileno.
Nel 1967 a dare vita alla formazione fu un gruppo di studenti di ingegneria dell'Università Tecnica di Santiago del Cile. Una tappa fondante per la band è stata quella dell’11 settembre 1973. Le forze armate cilene rovesciarono il neoeletto presidente Salvador Allende, morto suicida nel corso del colpo di Stato. La giunta militare guidata dal generale Augusto José Ramón Pinochet Ugarte, instaurò un regime autoritario e dittatoriale rendendosi responsabile di crimini contro l'umanità. Il regime militare del generale Pinochet ha governato il Cile fino all’11 marzo del 1990.
«Eravamo a Roma quell’undici settembre del 1973 – sottolinea, visibilmente commosso Horacio Duran Vidal – Con gli altri componenti del gruppo ci eravamo recati in visita alla basilica di San Pietro. Erano le tre del pomeriggio quando giunse la notizia del colpo di Stato in Cile. Eravamo in cima alla cupola. Un ragazzo della federazione giovanile del Pci di Roma aveva fatto le scale di corsa. Ci comunicò. emozionato e con il fiatone, quanto era accaduto. Siamo rimasti in silenzio, tutti, per interminabili minuti. Un silenzio che non dimenticherò mai».
Quell’episodio ha rivoluzionato la vostra carriera artistica.
«Avevamo programmato un lungo tour europeo. Ci eravamo già esibiti in Germania, Unione Sovietica, Cecoslovacchia. Milano era stata la tappa successiva a quella di Praga. Ci siamo esibiti per una festa dell’Unità organizzata nel capoluogo lombardo. Dopo il golpe i nostri concerti musicali si trasformarono in una sorta di formazione di gruppi di solidarietà cilena. Con il passare dei giorni ci sentivamo come in mezzo al nulla. Decidemmo di seguire il consiglio di un esponente politico di primo piano, Giancarlo Pajetta che ci esortava a chiedere asilo politico in Italia. A metà novembre ci stabilimmo a Genzano, un paese poco lontano da Roma. Era governato da un grande sindaco, Gino Cesaroni, deputato del Pci. Genzano era soprannominata la piccola Mosca. La popolazione ci accolse a braccia aperte. La mia seconda figlia nacque proprio a Genzano».
Che sentimenti le suscita la ricorrenza del cinquantesimo anniversario del golpe?
«Ho appena compiuto 78 anni, ma non posso nascondere che sono ancora pervaso da sentimenti di grande intensità emotiva. Ho trascorso buona parte della mia vita in esilio, lontano dalla mia patria. L’esilio è un sentimento struggente, lo hanno descritto i grandi poeti. Come ha fatto Ovidio, relegato al confino a Tomi, nella remota regione della Scizia, sulla costa occidentale del Mar Nero. L’esilio non è facile descriverlo, è un sentimento struggente. Noi siamo stati fortunati. La nostra fortuna si chiama Italia. Una grande nazione che ci ha fatto sentire a casa in tutti quegli anni»
Quale è stato il primo ricordo del suo ritorno in Cile?
«Sono tornato in Cile nella primavera del 1990. Era una domenica di sole. Ad accoglierci furono migliaia di persone, migliaia, una folla sterminata. Dietro il finestrino di un pullman tipicamente cileno, ho pianto di felicità. Ancora oggi mi commuovo fino alle lacrime. In quel momento, il mio sentimento è stato quello dell’appartenenza. Sentivo di appartenere a quella terra. Ho percepito che mi apparteneva anche il mio nemico. Ho sentito mio, anche l’odiato Pinochet e i suoi soprusi, quelli che hanno arrecato dolore e morte a migliaia di miei connazionali».
Nel 2004 avete dato vita agli Inti-Illimani Històrico, perché?
«Non è stata una scelta legata a divergenze economiche o politiche. È stata solo un’esigenza musicale. Con una parte del gruppo, Horacio Salinas e Josè Seves, abbiamo scelto di continuare la nostra tradizione musicale. Continuiamo a pensare che un’opera d’arte, una canzone o un brano musicale, non debbano obbedire ai modismi, alle necessità impellenti del consumo. Una canzone non deve essere di moda, deve solo contenere una bellezza emozionale. Una bella canzone è per sempre, anche se non è di moda».
Un suo ricordo della Sicilia?
«La nostra prima volta in Sicilia è stata nel 1975. Ci siamo esibiti all’interno del campo sportivo della Favorita. Ricordo ancora che ci accolse un giovane della federazione giovanile del Pci di Palermo. Si chiamava Mario Azzolini. Ho saputo che è poi diventato uno stimato giornalista della Rai. Ma il ricordo più bello è legato alla città di Siracusa. Non dimenticherò mai quello di uno dei concerti più belli della nostra carriera. Ci siamo esibiti all’interno del teatro greco immersi in un’atmosfera irripetibile, magica e meravigliosa».
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