Cosa frena l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro
Invecchiamento della popolazione, crisi economica e pur necessarie riforme pensionistiche hanno inciso molto sull’occupazione dei giovani e degli uomini adulti. Solo uno sviluppo vivace può permettere il ritorno ai tassi di occupazione pre-crisi.
Come cambia la demografia del lavoro
Sulla triplice spinta della crisi, dei mutamenti sociali e delle
modifiche legislative, la demografia del mercato del lavoro italiano è
profondamente cambiata. Grazie ai dati della Rilevazione sulle forze di
lavoro dell’Istat, è possibile leggere con precisione quanto è avvenuto
nel decennio 2007-2016.
Nel 2007, in Italia lavoravano più di 22 milioni e 500 mila persone. Con
la crisi, il numero degli occupati è progressivamente diminuito, fino
al minimo nel 2013, con meno di 22 milioni di lavoratori, crescendo poi
rapidamente nel triennio successivo, per ritornare nel 2016 quasi ai
livelli pre-crisi (tabella 1). La crisi occupazionale è quindi superata?
Purtroppo la realtà è molto più articolata e meno rosea.
Per cominciare, la percentuale di occupati è diminuita (figura 1),
perché nel frattempo la popolazione 15-74 anni è aumentata di quasi
800mila unità. Inoltre, le differenze per genere ed età sono enormi
(figura 2). Colpisce la perdita occupazionale dei giovani (15-29), più
accentuata per gli uomini (-12 punti percentuali fra 2007 e 2014), ma
forte anche per le donne (-6 punti percentuali), visto che la
proporzione di studenti non è cambiata in modo significativo nel corso
del decennio (attorno al 43 per cento fra gli uomini e al 48 per cento
fra le donne). Solo nell’ultimo biennio si osserva una lieve ripresa, ma
i livelli pre-crisi sono ancora lontani.
Fra gli adulti 30-54 anni, gli andamenti sono diversi per genere: fra
gli uomini la proporzione di occupati si riduce di più di 8 punti
percentuali in appena sette anni, e mostra nell’ultimo biennio solo una
lievissima ripresa. Per le donne, invece, nel decennio la proporzione di
occupate cala di appena un punto percentuale. Di conseguenza, la
forbice fra uomini e donne adulte si riduce di 7 punti percentuali nel
periodo, ma a causa dell’arretramento dei primi più che dell’avanzamento
delle seconde.
Del tutto diverso è lo scenario fra i lavoratori maturi. Il tasso di
occupazione nella classe 55-74 anni cresce per entrambi i sessi di dieci
punti percentuali, superando nel 2016 il 38 per cento fra gli uomini e
il 22 per cento fra le donne. Il recupero – già in corso nel 2007-2011 –
accelera nel quinquennio successivo, a causa della legge Fornero del
dicembre 2011 che ha alzato bruscamente l’età alla pensione. Senza la
modifica legislativa, la progressione sarebbe stata assai più lenta: nel
2016, il tasso di occupazione fra i lavoratori maturi sarebbe stato del
33 in luogo del 38 per cento fra gli uomini, del 20 in luogo del 23 per
cento fra le donne. Dalla figura 2 si può stimare che il numero di
occupati maturi nel 2016 sia stato di 560mila unità superiore rispetto a
quello che sarebbe stato senza la riforma Fornero (340 mila occupati
uomini e 220 mila occupate donne in più), un terzo della diminuzione di
occupati nella classe 15-54 anni avvenuto nel corso del decennio.
Non è detto che a un numero maggiore di nuovi pensionati sarebbero
corrisposte – in automatico – più assunzioni di giovani e di adulti.
Tuttavia, con squilibri generazionali così imponenti è facile supporre
che la permanenza sul lavoro degli adulti maturi abbia fatto da “tappo”
all’ingaggio di molti giovani e adulti disoccupati.
Solo lo sviluppo crea nuovi posti di lavoro
La riforma Fornero allinea il mercato del lavoro italiano ai
mutamenti demografici e gli squilibri che genera sono figli della
timidezza delle riforme precedenti. Anche l’aumento dell’occupazione
femminile è un importante segnale di modernizzazione del mercato del
lavoro italiano. Tuttavia, le riforme pensionistiche, l’invecchiamento
della popolazione e la crisi economica hanno inciso in modo pesante
sull’occupazione dei giovani e degli uomini adulti. La situazione più
drammatica, a nostro avviso, è quella di questi ultimi, spesso con figli
a carico e senza una famiglia di origine che possa aiutare a sostenere i
costi della disoccupazione. I dati suggeriscono cautela nell’agevolare
in modo selettivo le assunzioni dei giovani, per non penalizzare gli
adulti disoccupati.
La decontribuzione per i neo-assunti e il Jobs act hanno mitigato gli
squilibri generazionali, permettendo che l’accelerato incremento della
proporzione di occupati fra i lavoratori maturi non penalizzasse ancora
di più gli adulti e i giovani, contribuendo altresì alla “ripresina”
della loro occupazione durante il biennio 2015-16. Ma per ritornare ai
tassi di occupazione pre-crisi anche fra i giovani e fra gli adulti ci
sarà bisogno di altre centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. E
perché ciò accada non sarà sufficiente agevolare ulteriormente le
assunzioni: l’Italia dovrà imboccare la strada di un continuativo e
vivace sviluppo economico.
Tabella 1 – Occupati in Italia negli anni 2007, 2013 e 2016 per genere e per età. (dati in migliaia)
Nota: A differenza di quanto fa l’Istat, gli studenti che lavorano vengono classificati come studenti, non come lavoratori.
Figura 1 – Occupati complessivi e tasso di occupazione per genere
Figura 2 – Tasso di occupazione per genere ed età
* La linea tratteggiata è frutto della estrapolazione per il quinquennio 2012-16 (post-riforma Fornero) della retta interpolata ai valori per il quinquennio precedente (pre-riforma). L’interpolazione lineare coglie molto bene l’andamento del quinquennio 2007-11 (R2>0,9 sia per gli uomini sia per le donne). (info.lavoce)
(Gianpiero Dalla Zuanna è senatore della XVII Legislatura per il Partito democratico).Ultimi articoli
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