Farm Cultural Park di Favara, dove abitano i sognatori

Può un paese che è stato suo malgrado simbolo di un certo modo deteriore di essere siciliani (abusivismo, mafia, degrado urbano, criminalità comune, confusione e caos) mutare nel suo contrario? E cioè essere l' orgoglioso vessillo di un' inversione di rotta possibile, di una trasfigurazione che porta con sé bellezza e, dunque, speranza? Un processo che dura da anni e che parte dalla visione propria dei «pazzi» o dei «coraggiosi» inventori dal nulla (nel nulla, forse) della «Farm Cultural Park», uno dei luoghi più visitati dopo la Valle dei Templi. Tutto questo, come spiega l' ispiratore e il fondatore Andrea Bartoli, si deve «al lavoro, all' intraprendenza e alla determinazione di una piccola comunità di sognatori». La storia e lo slancio «verso una nuova utopia» è raccontato in «Favara». Titolo rosso su un album di foto scattate dall' agrigentino Angelo Pitrone, che a buon titolo possiamo definire un grande fotografo tale e tanta è ormai la sua produzione (di altissima qualità) soprattutto fra le pieghe, i volti e le contraddizioni della Sicilia. Il sottotitolo del volume stampato col testo inglese a fronte è «Storia di una rigenerazione possibile - The Story of the Regeneration of a Town in Sicily», - (Spazio Cultura Edizioni, 48 euro).
Sono
93 gli scatti a colori di Pitrone, preceduti dai testi dell' architet
to Armando Sichenze, dell' italianista Salvatore Ferlita, Maurizio Pi
scopo, insegnante alla scuola elementare Lambruschini di Palermo e un
contributo del notaio Bartoli.
La
«farm» favarese è un luogo del centro storico che nasce su un
substrato di degrado e abbandono. In cui, oggi, convivono spazi
comuni, locali, murales, piazze pronte a per formances e come
attrezzata a favorire lo sviluppo della creatività; accanto puoi
trovare la vecchina vestita di nero seduta sull' uscio di casa: ed è
questo contrasto che sviluppa una strana magia, una strana
malìa.
Realtà
parallele, come le chiama Sichenze, in cui «processi rigenerativi
confinano continuamente con processi di macerazione materiale e
culturale».
Accade
a Favara, in quella che con mirabile sintesi Ferlita chiama «la
culla dei paradossi». Un posto - come spiegò il romanziere genius
loci, Antonio Rusello in un suo racconto - troppo forte per Gesù.
Che allora diede ascolto al Padre e scelse «una copia meno forte
della Sicilia», la Palestina. E la mano colta di Fer lita trascina
agilmente il lettore sino alla fine del suo saggetto che - fra
letteratura, storia, gustose citazioni e piccole divagazioni
sociologiche - dà il senso di un «paese eccessivo, parossistico,
iperbolico». E controverso a partire dal nome: Favara significa in
arabo «sorgente d' acqua», ma difficilmente si incrocia un
paesaggio più secco e riarso.
«Il
paese dell' anima», lo chiama Maurizio Piscopo che a Favara è nato
e lì - fra vanelle e cortigli - ha subìto l' imprinting che lo
avrebbe consegnato alla ricerca delle tradizioni popolari in tutte le
sue declinazioni, soprattutto quella musicale. Ed ecco, subito dopo
le parole, nel volume dislaga il colore. Quello delle fotografie di
Pitrone - appositamente scattate per questo progetto -, tutte in
bilico fra morte e resurrezione, violenza e pace, armonia e degrado,
utopia e distopia, bello e brutto, attrazione e repulsione. Fa vara,
insomma.(Giornale di Sicilia)
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