Giovanni il seduttore narciso

Essendo peculiarità dei classici- loro primo requisito- sapersi (doversi?) rinnovare di linguaggio e di senso sull’onda lunga del fluire del tempo (storico, esistenziale), diremo subito che l’intrigante, scrupolosa edizione realizzata da Alessandro Preziosi, quasi a ‘dimostrazione’ di un talento attorale (e qui anche registico) più variegato della contingente notorietà cine-televisiva, mira a focalizzare alcuni lineamenti contemporanei (probabilmente ‘evergreen’) dell’archetipo molièriano-seicentesco , derivante come si sa dal misconosciuto “Burlador de Sevilla” di Tirso de Molina.
Pertanto, se l’ultimo nostro incontro con il ‘seduttor
narciso’- erroneamente accostato al ‘casanovismo’ dissipato e sincero amante
dell’eterno femminino- risaliva alla compulsiva, ginnica
(dadaista?) performance di Filippo Timi, due anni fa all’Argentina di Roma (a
dimostrazione di un’ ‘entità’ demenziale, fascinosa, ma socialmente
perniciosa), il Don Giovanni di Preziosi si afferma, oggi, in tutta la
sua foga antinaturalista, esclamativa, sopra le righe – a compimento di un
‘superomismo’ in cui, più che il ‘piacere di fagocitar fanciulle’, dirompe
l’elemento di una sgargiante, barocca schizofrenia, il cui bersaglio
preferito è l’ipocrisia, la doppia morale, il Giano bifronte di un’aristocrazia
nullafacente, genuflessa al ‘castigo di Dio’, ma incurante, tracimante
qualsiasi rispetto della altrui dignità (femminile o maschile, non importa).
Sino al compimento di una ‘tragedia’ dal gusto
beffardo, pre-shakespaeriano (il ‘redde rationem’ con il
Convitato di pietra, entità impalpabile, freudiana, punitiva di quel
particolare peccato che è la vanagloria frammista alla egolatria), che
conferisce all’opera di Molière struttura ed essenza atipiche
rispetto alla vasta produzione del commediografo francese.
In linea con i canoni estetici dell’allestimento (cupi
ma non funerei, salvo l’habitat cimiteriale del suo epilogo, ove si eccede di
autocombustione, di ‘fiamme infernali’ come nel peggiore effettismo del
"Dorian Gray" cinematografico di Oliver Parker), il
copione originario assume un carattere spiccatamente onirico
, cinematografico (da incubo in bianco e nero) in cui a primeggiare
è un uso della lingua dialogante (adeguatamente tradotta), il cui gusto per
l’intrattenimento, la divagazione, i ‘filosofemi’ del libertinismo asseconda
(organicamente) una struttura di accadimenti in cui, come accennavamo,
tragicommedia e iperbole su susseguono fluidamente e senza stacchi di timbro o
espressività.
Una libertà creativa “apparentemente caotica”- annota
il regista- che integra la sintesi compositiva dello spettacolo e
la compatta struttura di una ‘impaginazione’ scenica,
sfocianti in un “succedersi di quadri resi con vere e proprie ellissi filmiche”
(mediante cangianti, mirabolanti scenografie proiettate in computer grafica:
disegni in prospettiva, dilatati su tre porte con archetto, per virtuale
evocazione del’Olimpico di Vicenza). Le quali danno sostanza, forse
più del ‘messaggio’ etico\esistenziale del nobile viandante (supportato e
sopportato dallo strepitoso Sganarello di Nando Paone), all’empia illusione “di
sublimare le fandonie della seduzione” .
Criminogene ed auto illusorie al solo fine di
“acciuffare una chimera di dispotismo terreno”, convivendo
nella costante, plateale ‘recitazione’ (ostentazione) di ardori, sentimenti,
emozioni: che Alessandro Preziosi (eclettico, robusto ‘attor
giovane e bello’) smaschera- in ultima analisi- quale paradigma di
comportamenti, “di attitudini sociali” consustanziali per ogni epoca di
infingimenti e decadenti vessazioni. Ai danni dei creduloni, dei
più deboli, dei ‘bisognosi’ di servilismo quale unica arma di
sopravvivenza. Le Elvire in dedizione (e poi in convento), le
‘donzelle del contado’ declassate a selvaggina di passo – Molière lo suggerisce
tra le righe di una 'punizione’ convenzionale, luciferina- erano e restano
‘arnesi’ usa e getta, preda del bisogno materiale, emissari del
privilegio classista ad uso di scellerati. Storicamente debellabili, ogni
qual volta il vaso (dell’ingordigia, dell’ arroganza) trabocca.
*****
DON GIOVANNI
di Molière Con Alessandro Preziosi e Nando
Paone
E con Lucrezia Guidone (Donna Elvira), Maria Celeste
Sellitto (Carlotta - Uno spettro), Roberto Manzi (Gusman - Don Alonso - Il Signor
Domenica), Daniele Paoloni (Francisco - Pierino), Daniela Vitale (Maturina -
Violetta), Matteo Guma (Don Carlos - Ragotin - Ramon) Traduzione e
adattamento di Tommaso Mattei scene di Fabien
Iliou costumi di Marta Crisolini Malatesta luci Valerio
di Tiberi musiche originali di Andrea Farri
supervisione artistica di Alessandro Maggi regia di Alessandro
Preziosi Prodotto da Aldo Allegrini, Tommaso
Mattei, Alessandro Preziosi per Khora Teatro e TSA Teatro Stabile
d’Abruzzo
Teatro Quirino di Roma - Teatro Verdi di Salerno - Teatro Sociale di Trento – Da fine marzo in tournée in Sicilia
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