“Horus la libertà e una barca” o l'amore di Chiappisi per il mare

Cultura | 7 giugno 2017
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«È il marinaio che decide la rotta, non il vento». Questo l’assunto del nuovo libro di Giovanni Chiappisi: “Horus la libertà e una barca”, Qanat editore. L’autore, con vezzo svagato, confessa che è ormai un ex. Ha fatto tutto nella vita: pilota di rally, cronista del “Giornale di Sicilia”, proprietario di un ristorante in Brasile. Il suo impegno adesso è quello di non fare nulla. Da cinque anni si divide tra l’aggrottamento indolente nella pancia della sua barca e ardite navigazioni.

 La protagonista del libro è una Jeanneau Sun Odissey, una barca a vela di dieci metri. Una casa con terrazza vista mare cangiante. Il libro è stato scritto in venti giorni, alla vigilia di un delicato intervento a cuore aperto che gli era toccato in sorte. È una lunga cronaca di vita, non un diario di bordo. Racconta il periplo della Sicilia. Novanta giorni di navigazione in senso antiorario per scrutare l’Isola dal mare. Cinquecento miglia lontano dai clangori metallici, dai frastuoni visivi e sonori. Base di partenza San Nicola l’Arena, un borgo talmente minuscolo da non meritare nemmeno il rango di comune. Il libro è un divertissement eccentrico.

A cominciare dalla decisione di stamparlo con due copertine diverse. Addirittura quattro le prefazioni, due di mare e due di terra. L’editing è stato curato da Marina Finettino. Giovanni Chiappisi è un autentico personaggio. Dichiara schernendosi che è stato premiato cronista dell’anno per duecento righe prive di notizie. Un reportage che ha segnato un epoca giornalistica, raccontando truccato da “negro” non il razzismo ma l’indifferenza dei palermitani. Ha intervistato grandi autori della letteratura europea come Günter Grass. In verità Chiappisi è un narratore-marinaio. Non c’è narrazione senza mare. Momenti fondanti del libro sono l’approdo a Sciacca.

 La lenta risalita a piedi del monte Kronio dove, in un cimitero che guarda il mare, riposano i suoi genitori. Mirabile la cronaca della fonda al largo di Capo Granitola, quando ritto alla cappa, depone fiori nel cimitero blu per dirla con Tahar Ben Jelloun, il mare dei disperati. Tra le pagine trovano asilo ormeggi arditi, attraversamenti burrascosi dello Stretto di Messina, incontri balzachiani nei porti guadagnati. Elenca un glossario ipnotico di andature al lasco, onde di mascone, abbisciamenti di cime. Il finale di partita è la memoria di un vecchio pescatore siciliano. Un lungo silenzio, poi la confessione: dopo la sua morte, ha chiesto di essere dato in pasto ai pesci.

 di Concetto Prestifilippo

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