Il giustiziere della notte vendica i bambini

Come Bufalino, come Busi – autori che, più di lui, sono nel firmamento – anche Antonio Moresco ha annunciato tante volte l'addio alla scrittura o quantomeno alla pubblicazione. L'ha fatto anche nei mesi scorsi, dopo aver dato alle stampe l'ultimo romanzo, edito stavolta da Giunti, dove è approdato seguendo Antonio Franchini, editor delle meraviglie alla Mondadori, che gli aveva spalancato le porte del “canone” di Segrate, dopo anni ai margini della società letteraria e del bel mondo editoriale. Non che Moresco si sia integrato troppo e prova ne è il modo in cui è entrato – in punta di piedi – ed uscito – sbattendo la porta – al premio Strega. Le paillettes del riconoscimento della Fondazione Bellonci sono abbastanza lontane per ragionare, senza considerazioni che esulano dal nocciolo della questione, sulle qualità de “L'addio” (274 pagine, 15 euro), suo ultimo romanzo, e non impiegar tempo a interrogarsi sulla veemente reazione di disprezzo per i giochi di potere dello Strega, firmata Maresco. Chi, come lui, viene considerato un gigante in Italia (e se non lo fosse, sarebbe comunque ben oltre la media), come fa a perder tempo su un premio che ha sempre tenuto in considerazione il “peso” degli editori e comunque non è più quello delle stagioni d'oro?
Meno ambizioso di molti precedenti solo per la mole, “L'addio” è però una summa dei temi delle sue opere precedenti, un'indagine metafisica e apocalittica su ciò che è più insensato, il male (inestirpabile) e la morte, indagine travestita da pseudo storia poliziesca, che strizza un po’ l’occhio all’hard boiled. Ci sono un adulto e un bambino (gli echi si sprecano…), ovvero un poliziotto morto (ucciso in servizio), l'investigatore D'Arco, e una specie di piccolo Virgilio, senza voce e con una cicatrice sul collo, che l’accompagna. La missione di D’Arco? Vendicare in tre notti l’infanzia violata – passando dalla città dei morti a quello dei vivi, estremamente simili – versando il sangue di stupratori, trafficanti d’organi, pedofili e aguzzini vari, prima di un incontro finale, con l’Uomo di Luce.
Farsi
trasportare dalla corrente delle frasi e dalle ossessioni di Moresco
– senza soffermarsi molto su simbolismi e architetture di violenze
e orrori in salsa splatter che si susseguono ridondanti – può
anche essere un’opzione di lettura, dinanzi a un punto di vista
così visionario e mistico, fondato su un oltranzismo stilistico
estremo. “L’addio” piacerà a chi ama i grossi tomi precedenti
di Moresco, dove le nozioni di tempo e spazio sono frantumate, la
lettura è una vertigine di domande retoriche e situazioni
inquietanti, grottesche e prive di speranze.
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