Il Grande Romanzo Messicano di Juan Villoro

L’eclettico Juan Villoro brilla nella misura breve (non tanto in “C’è vita sulla terra?”, Sur, quanto in “Chiamate da Amsterdam”, Ponte alle Grazie) e, adesso non c’è più dubbio, svetta anche nelle architetture maestose. Dimostrazione autentica è “Il testimone” (502 pagine, 20 euro), viaggio narrativo rutilante e complesso, talvolta una di quelle letture da consigliare agli amici, fra cenni e occhiate d’intesa. Dodici anni sono trascorsi dalla pubblicazione de “Il testimone” in lingua originale e l’onore e l’onere di pubblicarlo in Italia è toccato alle edizioni Gran Via, nella traduzione di Maria Cristina Secci.
È un’opera ambiziosa, che punta in alto; Villoro guarda a Borges e a Bolaño, ma finisce per essere inconfondibilmente se stesso, raccontando un paese-mondo molto contradditorio, come il Messico, attraverso gli occhi di Julio Valdivieso (maliziosamente, letterariamente, le iniziali sono quelle dell’autore), docente che, con Paola, la moglie italiana, torna in patria dopo oltre vent’anni per ricostruire la vita di un monumento delle lettere messicane, il poeta Ramón López Velarde. Paola non è l’unica donna chiave del romanzo, ci sono anche Nives, amor perduto di Julio, Olga, vecchia compagna di università, e Ignacia.
Uomo pieno di dubbi, «un arcipelago di solitudini» – in passato rimasto spettatore impassibile di fronte al destino e che in qualche modo prova a tornare sui propri passi – Valdivieso tramite la ricostruzione della propria esistenza, di quello che è stato e di quello che non è stato, può fare altrettanto con la storia messicana. “Il testimone” – complesso, ambiguo, pregnante di storie e di significati – si risolve in un groviglio di intrighi, enigmi, inganni, citazioni letterarie, giochi di specchi, una sfida appassionante per il lettore. C’è il Messico delle telenovele e dei narcos, ci sono amore, letteratura e critica sociale.
C’è la cura per la bella frase, un plot che ha rivoli di storie e un’orchestrazione anche audace della macchina narrativa. Spesso non c’è niente di meglio da chiedere a una storia.
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