Il medico siciliano che salvò gli ebrei certificando false malattie

Cultura | 6 marzo 2018
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Ottobre 1943. Nel reparto di Malattie infettive del Policlinico universitario di Roma, durante un ordinario giro di visite, un pediatra scopre un paziente ricoverato senza alcuna patologia confermata da un referto ufficiale. «Mi hanno trovato il male di Kesselring», esclamò il finto malato, ispirandosi al nome dell’ufficiale nazista a capo delle truppe italiane. E il medico decise subito di trattenerlo, dandogli la falsa qualifica di “aiuto medico”. Pochi mesi dopo nella clinica che sarebbe stata denominata “degli appestati”, furono ricoverati su ordine del pediatra e infettivologo siciliano Giuseppe Caronia, classe 1884, intere famiglie di ebrei italiani, militari in fuga e rifugiati politici: tutti con finte diagnosi di tifo, morbillo e broncopolmonite per giustificare dei soggiorni terapeutici all’interno del reparto medico più temuto dai tedeschi, dal quale i nazisti si tennero sempre alla larga perché temevano di essere contagiati dalle epidemie. 

Giuseppe Caronia, originario di San Cipirello, nascose, salvandole da morte certa, intere famiglie ebree condannate dalle leggi razziali. Oltre 89 persone, tra cui molti bambini, i cui nomi sono stati raccolti tutti in una lista, scoperta solo alla fine degli anni Novanta nelle carte private del medico, eletto “Giusto tra le Nazioni” nel 1998, ventuno anni dopo la sua morte. Fu uno Schindler siciliano, la cui storia rimase sepolta per oltre cinquant’anni tra le carte al buio dell’archivio di “Villa Rossa”, la sua casa di Taormina, e le memorie silenziose dei piccoli ebrei che salvò. Oggi Palermo lo celebra per la “Giornata europea dei giusti”. Le lettere, gli articoli e gli studi privati saranno resi pubblici grazie a una donazione all’Archivio storico comunale e sarà affissa una targa nel giardino dei Giusti di via Alloro. Uno dei più piccoli salvati dal medico fu Eugenio Sonnino, appena cinque anni. Caronia ricoverò suo padre dopo avergli fatto iniettare dei virus inattivi per provocare i sintomi del tifo e giustificarne il ricovero. Lui e la famiglia furono nascosti al Policlinico. Dalle finestre dell’ospedale videro cadere le bombe sul quartiere romano di San Lorenzo, ma anche i volti sorridenti dei soldati americani, i primi di giugno del ’44. Divenuto professore di Demografia alla Sapienza, Sonnino cominciò a fare ricerche su quel pediatra «gentile e sicuro» che accoglieva i suoi pazienti in una sala d’attesa con mobili a misura di bambino. Sono proprio i materiali raccolti da lui negli anni a confluire oggi nell’archivio di Palermo. Quella di Caronia fu una lezione di coraggio e di solidarietà negli anni più duri della lotta al fascismo. Un atteggiamento che non divise l’uomo dal professionista. Perché per lui «la dote più importante per un medico è il senso di umanità» che lui esercitò rischiando la vita. Soprattutto salvando i bambini, una ventina quelli ricordati nella sua lista. Lui, che figli non ne ebbe mai. A San Cipirello la scuola media del paese oggi porta il suo nome. In Sicilia, Caronia tornò poche volte, eppure fu sempre legato alla sua terra, tanto da consigliare al presidente Alcide De Gasperi, di cui fu medico di fiducia, di trasferirsi in Sicilia anziché in Trentino, in un famoso articolo comparso nella rivista “Concretezza” di Giulio Andreotti. Il ricordo del medico giusto perseguitato dal fascismo negli ultimi cinque anni è diventato oggetto di studio di un giovane studente di Studi storici dell’Università di Palermo, Enrico Isidoro Guida, che alla sua figura ha dedicato due tesi di laurea. Nella sua casa in corso Calatafimi custodisce parte dell’archivio originale composto da duecento fotografie, lettere autografe e documenti della vecchia villa sulla scogliera di Taormina. «La storia di Caronia mi ha appassionato fin dal primo momento – racconta Guida – è un personaggio controverso e fascinoso». Così rivive il ricordo di un medico che disse sempre a chi lo ringraziò di non aver fatto altro che il suo dovere. E che salutava con gentilezza dicendo: «Pace, Shalom per sempre!». (La Repubblica Palermo)

 di CLAUDIA BRUNETTO E MARTA OCCHIPINTI

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