Il ritorno al futuro dei pogrom
Cultura | 21 febbraio 2017
Come “G.” Howard Jacobson disegna una storia d’amore in un universo distopico con una tragedia sullo sfondo. Nitida la critica alle nuove forme di controllo dell’umanità
Primo. I romanzi di Howard Jacobson, inglese di Manchester, stanno sparendo dalla circolazione, anche negli store on line si fa fatica a trovare i suoi primi quattro libri apparsi in Italia, grazie alle edizioni Cargo. Spassosi e profondi, i libri di Jacobson vanno recuperati in fretta da quanti hanno a cuore la letteratura che resta nel tempo. Bompiani ha provvidenzialmente pubblicato gli ultimi due titoli e l’auspicio è che si occupi anche della backlist.
Secondo. Fra i tanti bravi autori sponsorizzati da Jonathan Safran Foer (che, a memoria, ha dispensato blurb entusiasti anche per Alameddine, Pierpont, Genichiro), Jacobson è di gran lunga quello che scrive storie che tengono più compagnia e che restano più a lungo in mente. Senza stare a pensare a paragoni impegnativi, ricorrenti e che sanno più di etichetta (il ritornello che perseguita mediaticamente Jacobson è quello di essere una specie di Philip Roth inglese…).
Terzo, probabilmente l’ultimo romanzo di Jacobson – una distopia in piena regola – è quello che meno introduce al suo universo narrativo, “G.” (381 pagine, 22 euro), tradotto da Milena Zemira Ciccimarra, ha tra le sue pieghe una storia d’amore tra una giovanissima artista orfana, Ailinn Solomons, e un falegname di mezza età, Kevern Cohen, che non sanno di essere sorvegliati nel microcosmo di Port Reuben, una città di mare. Non un amore “normale” (perché è qualcuno, qualcosa, un potere esterno che li spinge a stare assieme), ma solo una delle tante conseguenze di una società in cui tra le autorità ce n’è una chiamata “Oggidì”, che si occupa del «controllo dell’Umore Pubblico» e su cui incombe il ricordo di una catastrofe storica («Quello che è successo, se è successo»), una violenza di massa, nuovi pogrom antisemiti o un secondo Olocausto, si intuirà, lungo lo scorrere delle pagine, che la comunità cerca di dimenticare. La satira delle sue precedenti commedie sociali cede il passo a uno sguardo cupo e inquietante sul mondo post-apocalittico che verrà o che probabilmente già è. “G.” fa venire alla mente certo Saramago, certo Huxley o “1984” di Orwell e parla tutt’altro che velatamente delle nuove forme di controllo dell’umanità, come Google e i social network.
Salvatore Lo Iacono
di Salvatore Lo Iacono
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