La mafia cerca spazio nell’economia legale
Conferme nella relazione della Dia

Società | 28 maggio 2025
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Le strategie della mafia puntano sull'economia legale ma soprattutto sugli affari delle grandi opere pubbliche. E quando si parla di opere pubblico il riferimento non può che andare al Ponte di Messina. Lo segnala l'ultima Relazione annuale della Dia (non più semestrale), riferita al 2024, che tende ad allargare lo sguardo sulle evoluzioni della mafia: i clan, dice la Dia, hanno infiltrato i contesti economici anche fuori dalle regioni di origine e non si può quindi guardare alla delinquenza organizzata solo volgendo lo sguardo verso i territori del Sud Italia. Sarebbe ormai desueto parlare ancora, ad esempio, di sodalizi in Calabria, in Sicilia o in Campania in quanto bisogna più che mai abituarsi a considerare appunto le matrici mafiose della ‘ndrangheta, di cosa nostra o della camorra, aldilà dei confini locali, non trascurandone inoltre la proiezione internazionale. L’intento è dunque quello di descrivere l’operatività delle conventicole mafiose nel loro complesso declinandone poi le presenze a livello territoriale, lo specifico modus operandi adottato nei vari contesti d’area, dando risalto alla descrizione delle azioni di contrasto di tutte le componenti del sistema antimafia.

Il metodo Falcone: seguire il denaro

Dall'analisi effettuata dagli investigatori della Dia il denaro rappresenta la principale risorsa utilizzata dalla criminalità organizzata per consolidare il potere e accrescere la propria influenza, ed esso costituisce anche un mezzo “da seguire” per individuare i veri responsabili delle condotte illecite, beneficiari effettivi dei profitti di reato. Il tracciamento e l’analisi dei flussi finanziari, come affermava Giovanni Falcone, rappresentano dunque una metodologia centrale nel contrasto alle mafie, non solo nella sua dimensione repressiva ma anche nella prevenzione. Per tale motivo, un’attenzione particolare è stata riservata anche alle risultanze tratte dalle interdittive antimafia emesse dalle Prefetture, con numerosi richiami nei vari capitoli che, sotto questo profilo, presentano una sorta di fil rouge che lega tutto il documento. L’accentuazione della vocazione economica delle consorterie si sposa, soprattutto nelle regioni trainanti per l’economia ove maggiore è la presenza imprenditoriale e più vivaci gli scambi finanziari, con la determinazione di evadere il fisco da parte di alcuni titolari di imprese che tendono ad aggirare le regole della libera concorrenza. Si tratta di fenomeni difficili da intercettare poiché in molti casi gli imprenditori, piuttosto che incolpevoli vittime dei mafiosi, ne diventano in qualche modo conniventi e complici. Quando, infatti, le tangenti frutto della prevaricazione delle consorterie vengono coperte da fatture fittizie, trasferendo il costo della mazzetta sul piano fiscale, si ottiene la convenienza da parte dell’imprenditore vittima a non denunciare l’estorsione. L’attrattiva esercitata dalle organizzazioni mafiose non si orienta, tuttavia, solo verso il settore meramente produttivo e dei servizi, ma si estende anche e soprattutto, grazie ad una efficace capacità di stringere patti ed accordi secondo un comportamento ormai da tempo già collaudato, ad una certa tipologia di funzionari “infedeli” della pubblica amministrazione, irretiti dalla prospettiva di facili, benché illeciti, guadagni.
Cosa nostra e le altre organizzazioni mafiose siciliane costituiscono un fenomeno estremamente complesso, radicato nella storia e nella società dell’Isola. Le numerose operazioni di contrasto, condotte nel corso degli anni – che hanno visto la cattura di importanti latitanti e la continua aggressione da parte dello Stato ai patrimoni illeciti accumulati in decenni di attività criminale – hanno inciso significativamente sul potere di Cosa nostra. A Palermo e nelle province occidentali, la prolungata assenza di una leadership solida e riconosciuta ha determinato ciclici avvicendamenti e tentativi di stabilizzazione tra le nuove e le vecchie generazioni, configurando un modello di coordinamento fondato sulla condivisione delle linee d’indirizzo e su una gestione operativa “intermandamentale”. Oltre a cosa nostra, in Sicilia sono presenti altre organizzazioni criminali di matrice mafiosa come la stidda, storicamente radicata nel quadrante meridionale dell’isola. La stidda si caratterizza per una struttura orizzontale, composta da gruppi autonomi storicamente nati in contrapposizione a cosa nostra, ma che attualmente hanno attuato con quest’ultima intese di condivisione e spartizione degli affari illeciti. In Sicilia orientale, e in particolare a Catania, la pluralità delle consorterie – che comprende articolazioni di cosa nostra nonché altre formazioni mafiose distinte ma affini per natura – ha generato una coabitazione criminale in cui la resilienza e la fluidità strutturale rappresentano i tratti distintivi di cosa nostra catanese. Quest’ultima, diversamente dalla rigida organizzazione palermitana, si caratterizza per un marcato dinamismo affaristico alternando con le altre organizzazioni di tipo mafioso periodi di pacifica convivenza, ovvero di non belligeranza, a momenti di frizione che talvolta degenerano in momenti di fibrillazione tra clan. Anche a Catania le innumerevoli azioni investigative e le condanne comminate hanno costretto, nel tempo, le diverse organizzazioni mafiose a un ricorrente ricambio nelle posizioni apicali sebbene tutte siano comunque sempre riuscite a mantenere perlopiù inalterata la loro operatività. Considerate le complesse relazioni tra le famiglie di cosa nostra e gli altri clan presenti nella Sicilia orientale, gli attuali equilibri si configurano, infatti, come assetti a “geometria variabile”, in ragione della fluidità delle leadership criminali e dei business illeciti oggetto di contesa, elementi che generano alleanze e tregue tra i diversi clan. Nei territori di Siracusa e Ragusa si evidenziano, inoltre, le influenze della cosa nostra catanese e, in misura minore, della stidda gelese, mentre a Messina le consorterie presentano un modus operandi che, da un lato, si rifanno all’ortodossia di cosa nostra palermitana e, dall’altro, risente dell’influenza dei gruppi criminali etnei. Cosa nostra manifesta una presenza capillare su tutta l’Isola, con proiezioni che, già nei decenni passati, si sono estese all’estero. I principali interessi criminali includono il traffico di stupefacenti, che ha visto la capacità di instaurare relazioni e forme di cooperazione con altre matrici mafiose (ndrangheta e camorra) e soggetti stranieri per l’approvvigionamento della droga; le estorsioni, che costituiscono uno strumento tradizionale di controllo territoriale, oggi caratterizzate da modalità persuasive che evitano la violenza, limitandosi all’imposizione di forniture di beni, servizi e manodopera a prezzi maggiorati; il gioco e le scommesse online, strumenti funzionali al controllo del territorio e al riciclaggio dei capitali illecitamente accumulati. L’interesse mafioso si estende ai settori dell’economia legale: l’infiltrazione nei processi decisionali degli enti locali, l’acquisizione diretta o indiretta di attività economiche tramite imprenditori compiacenti e prestanome, e l’infiltrazione del comparto agro-alimentare mediante truffe finalizzate all’indebita percezione di finanziamenti pubblici destinati allo sviluppo agro-pastorale. Il duplice approccio nel contrasto alle organizzazioni mafiose, sia repressivo-penale che quello preventivo-amministrativo ha consentito alla magistratura e alle forze di polizia, con arresti di esponenti di vertice e l’aggressione ai patrimoni illeciti, di incidere in maniera significativa sugli aspetti strutturali delle mafie ma anche sul loro potere economico. In particolare, i numerosi sequestri e confische di prevenzione antimafia hanno prodotto negli ultimi anni risultati ragguardevoli in linea con una precisa strategia finalizzata a privare i sodalizi mafiosi delle enormi risorse economiche e finanziarie illecitamente accumulate.
In Sicilia, quindi, coesistono organizzazioni criminali eterogenee e non solo di tipo mafioso. Nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento opera in modo preponderante cosa nostra, che, a seguito delle incessanti operazioni di polizia, non riuscendo a ricostruire un organismo di vertice, tenderebbe a rimodulare i propri schemi decisionali, aderendo a un processo orientato verso la ricerca di una maggiore interazione tra le varie articolazioni provinciali. Nello specifico, cosa nostra, impegnata in ciclici avvicendamenti e nei tentativi di stabilizzazione tra le nuove e le vecchie generazioni, ha adottato un modello di coordinamento basato sulla condivisione delle linee d’indirizzo e su una gestione operativa collegiale ed “intermandamentale”. Nella provincia di Agrigento si continua a registrare una “zona” permeabile anche all’influenza della stidda, che è riuscita con gli anni a rinforzare la propria statura criminale, fino a stabilire con le famiglie di cosa nostra patti di reciproca convenienza per la spartizione degli affari criminali. Trapani, fortemente influenzata nel corso degli anni dalla mafia palermitana, è caratterizzata da un familismo particolarmente accentuato ed un forte senso di appartenenza ed omertà. Nelle province della Sicilia orientale, oltre alle articolazioni di cosa nostra, vi sono anche organizzazioni criminali autonome di tipo mafioso dai contorni più fluidi e flessibili. Nella città di Catania operano importanti famiglie mafiose riconducibili a Cosa nostra, che al suo modello fanno riferimento sotto l’aspetto strutturale e funzionale, nonché altre componenti criminali per le quali è stata da sempre riconosciuta la mafiosità che, sebbene organizzate secondo un modello simile a cosa nostra, risultano da questa ben distinte.

Cosa nostra catanese e i connotati imprenditoriali

La configurazione di cosa nostra catanese, distante dagli schemi di quella palermitana, è riuscita a sviluppare una connotazione fortemente imprenditoriale. Nelle provincie di Siracusa e Ragusa, tangibili sono le influenze di cosa nostra catanese e, in misura minore, della stidda gelese nel solo territorio ibleo. Per quanto riguarda la criminalità organizzata a Messina, la peculiarità delle consorterie presenti è quella di avere da un lato un modus operandi assimilabile a cosa nostra palermitana, dall’altro di risentire dell’influenza dei gruppi criminali etnei. Alle tradizionali fonti di guadagno, droga ed estorsioni che si confermano costituire la spina dorsale dell’azione criminale mafiosa, si rileva nelle consorterie criminali la partecipazione ed il reclutamento di una manovalanza giovanile da impiegare prevalentemente per lo spaccio di droga, nonché una diffusa disponibilità di armi che coinvolge tutte le province siciliane. Le evidenze investigative eseguite nella regione hanno mostrato come la tradizionale compartimentazione territoriale di cosa nostra è risultata essere sempre meno rigida nel corso degli anni, riscontrandosi nel contempo episodi di sconfinamenti territoriali dei vari mandamenti anche in province diverse. La propensione delle organizzazioni criminali di tipo mafioso, presenti sul territorio siciliano, è quella di ricorrere in via residuale a manifestazioni di violenza, prediligendo piuttosto una strategia di silente infiltrazione del tessuto socioeconomico con l’obiettivo di individuare “la scia dei soldi” per aggredire quei settori produttivi dell’economia legale più remunerativi. Questa strategia mafiosa tende a rafforzare l’interlocuzione con professionisti ed ambienti amministrativi locali, privilegiando un approccio corruttivo, come riscontrato dalle recenti evidenze giudiziarie. In tale ottica, un contributo può verosimilmente essere dato da imprenditori e funzionari pubblici compiacenti, se non addirittura contigui agli ambiti della criminalità mafiosa. Caratteristica della criminalità siciliana nel tempo è stata la sua capacità di modellare il proprio modus operandi in funzione del tessuto sociale ed economico caratteristico delle varie realtà territoriali dell’Isola. Il comparto dell’agricoltura e della zootecnia, particolarmente fiorente nelle aree dell’entroterra siciliano, rappresenta un settore di traino per l’economia siciliana, pur tuttavia è oggetto delle attenzioni di organizzazioni criminali, anche non mafiose, che mirano all’acquisizione dei flussi finanziari derivanti dai contributi comunitari devoluti per il sostegno allo sviluppo rurale. Le recenti attività di contrasto hanno evidenziato, nello specifico settore, condotte fraudolente volte a intercettare ed acquisire indebite percezioni di denaro in danno della Comunità europea. L’azione di contrasto alle consorterie mafiose è proseguita non solo con le attività repressive e preventive giudiziarie summenzionate, ma anche sul fronte della prevenzione amministrativa che ha permesso alle Prfetture delle province siciliane, grazie a meticolosi accertamenti eseguiti dalla Dia e dalle altre forze dell’ordine, di emettere numerosi provvedimenti interdittivi.
I provvedimenti sono così suddivisi: 45 della Prefettura di Palermo, 33 della Prefettura di Trapani, 25 della Prefettura di Agrigento, 5 della Prefettura di Caltanissetta, 15 della Prefettura di Enna, 40 della Prefettura di Catania, 13 della Prefettura di Siracusa, 4 della Prefettura di Ragusa e 21 della Prefettura di Messina. In sintesi, l’analisi dei dati ha consentito di rilevare che la maggior parte dei provvedimenti interdittivi antimafia (123) sono stati adottati nelle province dell’area occidentale della Regione, ove sarebbero emersi in prevalenza tentativi di infiltrazione in società o aziende operanti nei settori dell’edilizia, della ristorazione ed affini, del settore sanitario e in quello dei servizi funebri, dei servizi per la manutenzione di strade ed autostrade, del trasporto merci su strada e del settore agricolo (coltivazioni agricole nonché allevamento di animali). In merito alla Sicilia orientale sono stati 78 i provvedimenti interdittivi emessi dalle Prefetture nei confronti di società a serio rischio di infiltrazione mafiosa, molte delle quali attive nei settori dell’edilizia (compresa l’estrazione, la fornitura ed il trasporto di materiali inerti), della somministrazione di cibi e bevande e alberghiero, dei trasporti, del noleggio di macchinari industriali, dell’agro-alimentare (compreso l’allevamento di bestiame), della produzione di energie rinnovabili attraverso impianti a contenuto tecnologico innovativo e della gestione di attrazioni e attività di spettacolo in forma itinerante (giostre).
L’analisi dei provvedimenti interdittivi ha evidenziando innanzitutto la capacità delle organizzazioni mafiose di diversificare i propri interessi in svariati ambiti economici. Alcuni dei destinatari sarebbero stati già attinti da precedenti provvedimenti interdittivi, altri sarebbero risultati contigui a soggetti colpiti da provvedimenti giudiziari per reati di mafia, oltre che destinatari di misure di prevenzione. La contiguità, ancora riscontrata nel periodo in esame, tra imprenditori e soggetti mafiosi sarebbe caratterizzata da rapporti di fiducia, ovvero da stretti vincoli di parentela tra gli organi di amministrazione e soggetti condannati, in via definitiva, per associazione di tipo mafioso.

Il ritorno dei vecchi uomini d’onore

In provincia di Palermo le incessanti azioni di contrasto nei confronti di cosa nostra se da un lato confermano come la sua struttura sia rimasta perlopiù immutata nel tempo, sotto l’aspetto dei ruoli e delle articolazioni territoriali, dall’altro evidenziano la difficoltà intrinseca nel ricostituire il proprio organismo di vertice della cosiddetta commissione provinciale. L’assenza di una “legittima” struttura di “comando” comporta il ricorso ad accordi intermandamentali, basati sulla condivisione delle linee d’indirizzo e sulla ripartizione delle sfere d’influenza tra gli esponenti dei vari mandamenti.
La direzione e la scelta delle linee d’azione operative risultano essere generalmente esercitate da anziani uomini d’onore che, tornati in libertà, riacquistano il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione. Ad essi si affiancano giovani esponenti di famiglie mafiose. Il controllo economico delle imprese dedite ai servizi funebri e al trasporto dei malati si conferma essere un settore di grande interesse per cosa nostra, come emerso già nell’operazione “Fenice” che nel 2022 aveva colpito la famiglia mafiosa di Misilmeri.
L’architettura della realtà mafiosa non evidenzia, in generale, variazioni rispetto al passato, continuando ad essere suddivisa in maniera diffusa e capillare nel Comune di Palermo in 8 mandamenti, composti da 33 famiglie e nella provincia in 7 mandamenti, composti da 49 famiglie. Negli ultimi anni la competenza territoriale delle articolazioni ha evidenziato, rispetto al passato, caratteri di maggiore flessibilità nonché una minore rigidità nel “passaggio” di soggetti tra i diversi mandamenti.
Le investigazioni hanno anche permesso di accertare, nel capoluogo, spostamenti dell’asse criminale da Porta Nuova, a vantaggio del limitrofo mandamento di Pagliarelli. In particolare, è stato documentato il transito di diversi soggetti, già affiliati al mandamento di Porta Nuova (con aree di influenza ben radicate negli storici quartieri della Vucciria e di Ballarò), all’interno del mandamento di Pagliarelli e, segnatamente, della famiglia di Villaggio Santa Rosalia. L'inchiesta conferma l’esistenza di una cassa comune per le famiglie mafiose di Corso dei Mille, Roccella e Brancaccio. Tra le principali e tradizionali attività illecite gestite da cosa nostra è stato confermato l’interesse nel traffico degli stupefacenti, nelle estorsioni, a cui si aggiunge quello nel controllo dei giochi e scommesse on line. Nel settore degli stupefacenti, cosa nostra mantiene la regìa della gestione, distribuzione e dell’approvvigionamento, quest’ultimo garantito specialmente da consolidati rapporti con la ‘ndrangheta e la camorra.
Le indagini avrebbero anche documentato investimenti in Svizzera e in Sudamerica da parte di appartenenti al mandamento di Pagliarelli, per il tramite di un prestanome, che avrebbero realizzato un importante patrimonio immobiliare e societario in Brasile, evidenziando la strategia di Cosa nostra di proiettare i propri interessi economico in contesti internazionali.
 di Giuseppe Martorana

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