La ripresa c'è ma non diminuiscono le diseguaglianze
In
Italia, il risanamento del debito pubblico non è accompagnato da forti
investimenti per lo sviluppo, mentre il recente caso di salvataggio di quattro
piccole banche ha messo a nudo come il capitalismo finanziario di debito si è
affacciato anche nel nostro paese. La domanda che poniamo riguarda il dopo
questa fase non volendo rinunciare alla speranza di un futuro migliore.
Senza
una politica alternativa credibile della sinistra si afferma il populismo di Le
Pen, per ora fermato, ma che è stato votato anche da masse lavoratrici fino a
ieri a sinistra; senza una visione strategica dello sviluppo mondiale che
superi i divari tra paesi sviluppati e sottosviluppati, che avvii una politica
globale per l’ambiente e l’energia per rimuovere le cause nazionali e
internazionali della povertà e della fame, sarà impossibile superare i
conflitti d’area e sconfiggere la politica terroristica del Daesh.
Nel
nostro piccolo già sin dall’inizio del 2015 con la proposta di legge
d’iniziativa popolare contro la povertà avevamo messo il dito nella piaga del
ritardo di sviluppo della Sicilia e del Meridione. I dati allarmanti sono
stati, via via, confermati dal Rapporto Svimez, dai rivelamenti aggiornati
dell’Istat e ora più recentemente dalle indagini sul sistema universitario,
della Fondazione Res, e sulla situazione sociale, del Censis. Il divario tra
Nord e Sud, in termini di prodotto pro-capite si è allargato, il Meridione non
sembra partecipare alla ripresa. Il Sud, dal 2008 al 2014, ha perso ben 576.000
unità di lavoro sul totale di 811.000 perse dal paese. Nel Sud l’occupazione
dei giovani si riduce; tra i giovani di 15/34 anni risulta occupato uno su
quattro, per quanto riguarda le donne una su cinque. Nel Centro Nord il 50,4%
delle persone è collocato nei due quinti più ricchi, nel Mezzogiorno il 61,7%
si colloca nei due quinti più poveri. Non per caso la povertà assoluta al Sud è
quasi doppia di quella al Centro Nord: 10,5% contro 5,6%. Al rischio povertà
nel Centro Nord è esposto un individuo su dieci, al Sud uno su tre.
D’altra
parte avendo indebolito, con le politiche di austerità e con i tagli alla spesa
pubblica, i processi di accumulazione del capitale umano, sociale ed economico
della società meridionale, sono scomparse decine di migliaia di imprese, i
giovani rinunciano a studiare e a cercare lavoro, o emigrano.
Tutte
le indagini sin qui citate concordano sulla necessità che un rilancio delle
politiche di sviluppo passa attraverso gli investimenti nell’innovazione,
formazione e conoscenza intrecciati con gli interventi di una nuova
infrastrutturazione, cioè per una politica attiva di sviluppo, occorrano
politiche di sistema interconnesso.
La
logistica, la rigenerazione urbana e ambientale, rilanciata dall’accordo di
Parigi sul clima, la riqualificazione urbanistica, l’industria culturale,
l’agroalimentare, l’agroindustria, la desertificazione industriale, necessitano
di politiche economiche, sociali e industriali rinnovate nel processo e nei
prodotti.
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