La rivoluzione incompleta di Crocetta

28 luglio 2013
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Augurando buone vacanze (a coloro che le potranno fare) e con l’impegno di riprendere la pubblicazione di A Sud’Europa il 2 settembre, ci sembra opportuno qualche considerazione sugli ultimi mesi trascorsi dopo le elezioni regionali e nazionali.

Nella loro diversità di composizione politica ci sono elementi simili tra le due esperienze di governo. Tutte due nascono con maggioranze o di necessità, quella nazionale dopo l’esperienza Monti, o risicata, quella regionale dopo Lombardo, comunque ambedue in equilibrio traballante.

Tutte due sono contraddistinte dall’immensa difficoltà di rimuovere le rovine causate dal fallimento delle politiche del centrodestra- crisi economica, disoccupazione e precariato galoppante, corruzione dilagante, economia criminale in espansione- solo per elencare quelle macro. Non è stato facile allontanare il pericolo di default, ma le soluzioni adottate hanno gravato sui ceti produttivi e sul lavoro dipendente creando nuove povertà.

Entrambi i governi si trovano, dunque, in una posizione difficile che richiederebbe una grande visione unitaria strategica, quasi impossibile per la disomogeneità politica delle rispettive maggioranze e le divisioni interne dell’unica forza politica che ancora non è partito personale o azienda. Mi riferisco al Pd il quale, mentre è alla ricerca della sua identità futura, nel frattempo rischia di rimanere schiacciato dal peso della responsabilità di dover sostenere dei governi la cui azione è titubante e contrastata ad ogni passo dal resto della maggioranza.

Gli italiani assistono al paradosso di un premier in carica, Letta del Pd, che è messo in discussione dalla diatriba precongressuale del suo partito sul futuro candidato a premier solo sulla base di sondaggi mediaticamente enfatizzati, escludendolo fin d’ora dalla corsa. La discussione non riguarda cosa fare per alleviare la disoccupazione, rilanciare lo sviluppo, snellire le procedure amministrative, eliminare l’evasione fiscale e lì economia criminale, ma chi sarà il candidato premier, quanti anni deve avere, come appare in televisione. Infatti, su tutto prevale l’immagine, dissociata dai contenuti sociali, economici, culturali e valoriali.

In Sicilia, per la debolezza strutturale del Pd e del centrosinistra, che ha vinto le recenti elezioni più per la frantumazione del centrodestra che per forza propria, il governo Crocetta, dopo aver annunciato la rivoluzione futura, oggi deve sciogliere i nodi giunti al pettine. Ha dovuto far un passo indietro sul Muos di Niscemi, sembra che lo voglia fare anche sulla pubblicizzazione della gestione delle acque potabili chiesta dai siciliani. Ha creato un caso politico delicato cambiando idea sull’aumento dell’Irpef che la sua giunta aveva deliberato il giorno prima, suscitando il giusto disappunto e sconcerto dell’assessore al ramo, Luca Bianchi, che aveva negoziato col governo nazionale tale misura con l’accordo di Crocetta. La rotazione dei burocrati dirigenti, giusta per introdurre discontinuità, alla fine è apparsa un nuovo spoil system, che ha bloccato diversi rami dell’amministrazione sia per la resistenza passiva dei rimossi sia per i tempi di adattamento dei nuovi.

Inoltre, il governo regionale ha avuto il merito di aprire finalmente la pratica del risanamento della formazione professionale evidenziando l’esistenza di una questione morale che investe anche il suo partito, il Pd.

Si avverte però un pericolo reale dettato spesso dalle esigenze di comunicazione che predilige la drammatizzazione delle questioni più che la loro concreta soluzione. In tal modo la bonifica della spesa pubblica e l’eliminazione degli sprechi, sacrosanta in via di principio e di fatto, sostanzialmente rischia di buttare il bambino (forse anche la bacinella) con l’acqua sporca. La questione morale si complica ulteriormente con la rivendicazione di Crocetta di una doppia militanza e del riconoscimento del ruolo autonomo del suo Megafono da parte del suo partito, il Pd, che l’ha bocciata in modo inequivocabile. Anche per il giusto timore che mentre è impegnato a superare le attuali fazioni e correnti, un tale riconoscimento moltiplicherebbe i pericoli di dissoluzione del partito.

In questo contesto è illuminante la vicenda del sostegno finanziario della Regione alle associazioni antimafia riconosciute per legge, che ancora non è stata abrogata, e degli altri enti culturali ritenuti anch’essi virtuosi (Centro Pio La Torre, istituto Gramsci,  Istoria Patriae, teatri, biblioteche, musei) che mai avrebbero dovuto essere associati a quel sottobosco di sigle create da peggiore consociativismo politico corruttivo. Gli enti virtuosi sono stati inseriti nella famigerata e defunta tabella H, (il governo Crocetta ha fatto bene a decidere di non riproporla) per coprire quelle scelte consociative che ancora oggi si ritrovano nel rimpallo tra Governo e Parlamento: uno accusa l’altro di non assicurare la copertura finanziaria e l’altro la discussione e l’approvazione della legge.

La conclusione potrà essere drammatica in assenza di decisioni chiare entro qualche settimana.

Gli enti, unanimemente riconosciuti virtuosi, a fine anno saranno costretti a  chiudere i battenti.

Sarebbe questa la rivoluzione annunciata e anche da noi auspicata? Speriamo di no!

 Buon Agosto a tutti.   

 di Vito Lo Monaco

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