Con il Disegno di legge sulla scuola arrivano anche nuovi poteri per i presidi e criteri che, al contempo, ne delimitano parzialmente i poteri. La questione di fondo da affrontare è se la scuola debba essere intesa come un’azienda (seppure senza scopo di lucro) oppure no.
Nuovi poteri ai presidi
La Camera dei deputati ha approvato le norme del Ddl scuola che attribuiscono al dirigente scolastico
il compito di conferire “incarichi triennali, rinnovabili, ai docenti assegnati
all’ambito territoriale di riferimento, anche tenendo conto delle candidature
presentate dagli stessi”. Con più proposte di incarico, è il docente che
sceglie. Per i docenti che non abbiano ricevuto o non abbiano accettato
proposte, provvede l’ufficio scolastico regionale (articolo 9). I docenti già
assunti in ruolo a tempo indeterminato alla data di entrata in vigore della
legge conservano invece la titolarità presso la scuola di appartenenza (articolo
8). Se il Senato (dove il governo ha una maggioranza risicata) confermerà la
decisione della Camera, nel nuovo anno scolastico i presidi avranno nuovi
poteri.
Il nuovo super-preside è sottoposto ad
alcuni vincoli nell’esercizio del suo potere di scelta, indicati nell’articolo
7, comma 3: “a) attribuzione di incarichi di durata triennale
rinnovabile (..); b) pubblicità dei criteri adottati dal dirigente per
selezionare i docenti cui proporre un incarico, tenuto conto dei relativi
curricula; c) pubblicità degli incarichi conferiti, della relativa
motivazione a fondamento della proposta e del curriculum dei
docenti sul sito internet della scuola; d)
utilizzo del personale docente di ruolo in
classi di concorso diverse da quelle per la quale possiede l’abilitazione,
purché possegga titolo di studio valido all’insegnamento; e) potere
sostitutivo degli uffici scolastici regionali in caso di inerzia dei dirigenti
nella copertura dei posti.” Insomma, il preside (e la commissione che lo
coadiuverà) avrà flessibilità nella scelta ma dovrà documentare pubblicamente
come e perché ha fatto una certa scelta.
Per le organizzazioni sindacali la riforma trasforma il
preside in un padrone delle ferriere con potere di offrire o negare lavoro a suo
piacimento ai suoi “sottoposti”. In effetti, la legge regola la misura del
“piacimento” del dirigente scolastico nel comma 8 dello stesso articolo, dove si
legge che i dirigenti scolastici saranno valutati anche per come scelgono i loro
docenti, oltre che per i risultati ottenuti: “In materia di valutazione dei
dirigenti scolastici e nelle more della revisione del sistema di valutazione, si
tiene conto dei criteri utilizzati dal dirigente per la scelta, la
valorizzazione e la valutazione dei docenti e dei risultati dell’istituzione
scolastica”. E’ un’indicazione di criteri generica e che rinvia a una
ridefinizione del sistema di valutazione successiva rispetto alla legge di
riforma che potrebbe non arrivare mai.
La scuola è un’azienda: senza scopo di lucro
Con la riforma della scuola di Renzi va in soffitta il sistema precedente,
quello delle graduatorie a cui il dirigente scolastico doveva rigidamente
attenersi. Vale la pena di ricordarne le caratteristiche principali. Con
l’autonomia ottenuta nel 1997-99 (governi di centro-sinistra), il preside
diventa un “dirigente scolastico” responsabile del buon funzionamento
dell’istituto scolastico di cui è a capo, per questo pagato circa il doppio di
un comune docente con la sua stessa anzianità di servizio. Le riforme di allora
furono però riforme a metà. Questo perché rimase che gli obiettivi del dirigente
“si realizzano con l’utilizzo delle risorse finanziarie e strumentali ma anche
con l’organizzazione delle risorse umane assegnate alle scuole”. Parola chiave:
“assegnate”. Il dirigente scolastico era responsabile come un amministratore
delegato della scuola, ma non poteva scegliere i docenti della sua scuola. I
docenti gli erano (sono) assegnati dagli istituti scolastici regionali che da
graduatorie di aventi diritto con diritti determinati in modo arlecchinesco,
cioè mettendo insieme – semplifico – i vincitori mai entrati in ruolo di varie
sessioni di concorsi ordinari (per titoli ed esami) del passato con i vincitori
di concorsi “abilitanti” solitamente più facili e riservati a una o un’altra
categoria di precari meritevoli di tutela. In ogni caso, tuttavia, il buon
funzionamento della scuola dipende da chi è in queste graduatorie, spesso figlie di
iniquità e clientelismi del passato.