Non si dimentichi la condizione delle donne afghane
Ci siamo dimenticati dell’Afghanistan. Delle donne afghane. Dopo l’imperdonabile ritirata in poche ore di americani e alleati e il ritorno al potere dei talebani il funesto 15 agosto 2021, una cappa di silenzio ha avvolto il paese. I pur modesti progressi nei diritti di genere negli anni della presenza occidentale (solo a Kabul e in alcune regioni, in altre continuavano a spadroneggiare gli integralisti islamici con le loro regole) sono stati spazzati via dalla barbarie dei talebani.
Il paese è ripiombato nel più tragico oscurantismo. Misoginia, patriarcato, clan, regole tribali, shari’a hanno risotterrato le donne. Cancellate dalla vita pubblica, (re)ingabbiate nei burka. Un crescendo di norme sciagurate. Tutte tese ad annientare presenza fisica nelle strade e non solo sociale o lavorativa delle donne. Ad annullare ogni ruolo femminile che non sia quello di fattrice.
L’inferno per la donna non è nell’oltretomba. È dappertutto nel mondo. Anche in paesi che consideriamo evoluti. Ma in nessuna nazione si raggiungono i vertici di oppressione di genere toccati in Afghanistan. Persino le iraniane soffocate dalla intransigente teocrazia degli ayatollah (almeno possono studiare e lavorare) a confronto delle afghane vivono una condizione fortunata. È tutto dire.
La teocrazia talebana non tollera il minimo dissenso in una nazione ridotta alla povertà. “Il 48% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, 23,7 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria e 12,4 milioni di esse sono in condizioni di insicurezza alimentare. (…) La popolazione è afflitta dall’insicurezza alimentare, causata dalla crisi economica e dagli effetti del cambiamento climatico (…) che distruggono i raccolti di chi (la maggioranza) vive di agricoltura. Le fasce più vulnerabili restano donne e bambini. Le persone non hanno soldi per pagarsi il cibo, spesso il loro unico pasto completo è in ospedale quando vengono ricoverati – spiega Keren Picucci, ginecologa del Centro maternità di Emergency ad Anabah –.
Le mamme sono spesso malnutrite, come possono sfamare i loro bambini?” (“L’appello di Emergency: “Non abbandoniamo gli afghani” “, Agenzia Italia, 15 agosto 2024).
Le adolescenti non possono proseguire gli studi. Alle donne è precluso quasi ogni tipo di lavoro. Chi può cerca di abbandonare il paese. Impresa complicatissima e rischiosa. Riesce a pochi e, soprattutto, a poche.
L’anno scorso è stato vietato di recarsi – ovviamente mai da sole, sempre accompagnate dagli uomini di famiglia! – nel parco nazionale di Bamyan, attrazione turistica nazionale. Una ritorsione. “Molte visitatrici non indossavano il velo”. Non rispetterebbero le regole, non indossando, o facendolo in modo improprio, il velo sul capo. “Hanno vietato loro di andare a scuola, di svolgere la maggior parte dei lavori, perfino di farsi tagliare i capelli dal parrucchiere. Adesso i talebani proibiscono alle donne anche di andare alla Disneyland dell’Afghanistan: Band-e-Amir, primo parco nazionale afghano, nella provincia di Bamyan, un complesso di laghi naturali e speciali formazioni geologiche, completo di attrazioni e posti ristoro, diventato una delle più frequentate mete turistiche della sfortunata nazione asiatica”. (Enrico Franceschini “Afghanistan, nuovo editto dei talebani contro le donne: non potranno più andare al parco nazionale di Bamyan”. La Repubblica 27 agosto 2023).
Transeat la rinuncia a qualche ora di svago. La privazione – da quelle parti ci si è rassegnate a troppe privazioni… – riguarderà una giornata il cui ricordo le avrebbe piacevolmente accompagnate per la vita. Pazienza. Ma perché precludere l’istruzione? Non solo in patria. Anche all’estero.
I talebani vietano alle ragazze di lasciare il paese per andare a studiare a Dubai. È dell’agosto dello scorso anno un servizio della britannica Bbc nel quale sono riportate le testimonianze di alcune studentesse afghane bloccate all’aeroporto di Kabul. In partenza per gli Emirati Arabi dopo aver ottenuto borse di studio, si sono viste negare il diritto di lasciare il paese.
Le statistiche registrano un preoccupante aumento dei suicidi tra le giovani. Sconvolgente. Non stupisce.
Nascono scuole clandestine per le ragazze. Se scoperte, si va incontro ad arresti e torture.
Scuole negate a un milione e mezzo di ragazze
Un quadro sociale desolante, senza prospettive. Documenta Antonio Bonanata: “I talebani hanno “deliberatamente privato” 1,4 milioni di ragazze afghane dell'istruzione secondaria da quando sono tornati al potere, esattamente tre anni fa, con il trionfante ingresso a Kabul delle milizie sciite e la fuga rocambolesca del personale americano dall’aeroporto (indelebili le immagini della folla accalcata allo scalo della capitale, con alcuni disperati aggrappati agli aerei in decollo).
Un governo – tornato al potere a venti anni dalla cacciata imposta dall’esercito americano dopo la guerra d’invasione del Paese, conseguenza dell’11 settembre 2001 – che non è stato riconosciuto dalla comunità internazionale.
Il dato sulla privazione dell’istruzione secondaria per le donne viene pubblicato significativamente oggi dall’Unesco. “L'Afghanistan è l'unico Paese al mondo a vietare l'accesso all'istruzione alle ragazze di più di 12 anni e alle donne”, denuncia la direttrice generale dell'agenzia Onu per l'educazione, la scienza e la cultura, Audrey Azoulay, in un comunicato. “Il diritto all'istruzione non deve subire alcun negoziato né alcun compromesso. La comunità internazionale deve restare pienamente impegnata per ottenere la riapertura incondizionata delle scuole e delle università per le ragazze e le donne afghane” aggiunge Azoulay. (Antonio Bonanata: “L'Unesco traccia un drammatico bilancio nel terzo anniversario del ritorno al potere degli estremisti islamici.
L'attenzione del mondo per le afghane ai recenti Giochi Olimpici. L'emiro Akhundzada: La Shari'a è nostra responsabilità fino alla morte". Rai News, 15 agosto 2024)
Non sia mai che le insegnanti e le professoresse afghane possano insegnare ai maschi. Il risultato? Ancora Bonanata: “I talebani hanno inoltre vietato alle donne di insegnare ai ragazzi, mentre il Paese soffre della mancanza di insegnanti uomini qualificati, che ha portato anche a un drastico calo delle iscrizioni. L'Unesco teme di conseguenza un possibile aumento “del lavoro minorile e dei matrimoni precoci” ma anche una penuria di competenze che potrebbe nuocere allo sviluppo dell'Afghanistan a lungo termine.
Migliaia di ragazze e donne afghane sono rifugiate in Europa, negli Stati Uniti e in Canada. Documentano un apartheid di genere e una crisi umanitaria senza precedenti.
Economia a crescita zero, disoccupazione record, povertà alle stelle, un terzo dei 45 milioni di afghani sopravvive soltanto con pane e the, aiuti umanitari ridotti all'osso, depressione e suicidi femminili in aumento, clima di paura diffuso. (…). Ogni minimo mancato rispetto alla legge islamica vigente comporta intimidazioni, persecuzioni, punizioni corporee, anche pubbliche, fino all'arresto e alla tortura in carcere”. Libertà e diritti restano aspirazioni tabù per le afghane. E le prospettive non lasciano un briciolo di speranza né per loro né per gli uomini. (…) La data di questo terzo anniversario – conclude Bonanata – è anche l’occasione, per la leadership talebana, di riaffermare quelli che vengono considerati principi irrinunciabili, un vero indirizzo di vita e di potere: “L’applicazione della Shari'a è nostra responsabilità fino alla morte” ha detto l'emiro Hibatullah Akhundzada, recluso nel suo feudo a Kandahar, nel sud del Paese, da dove governa l’Afghanistan per decreti o istruzioni.
Una legge “per promuovere la virtù e prevenire il vizio”
Pochi giorni dopo i “festeggiamenti” per il terzo anniversario del vittorioso ritorno al potere, la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato un provvedimento legislativo: 35 articoli in buona parte demenziali. “In Afghanistan si restringe ulteriormente il perimetro delle libertà e dei diritti delle donne, anche degli uomini, dopo la promulgazione di una nuova legge restrittiva da parte dei talebani, tornati al potere da 3 anni. L'indirizzo è chiaro già dal titolo dato al provvedimento legislativo - per "promuovere la virtù e prevenire il vizio" tra la popolazione - in conformità con la Shari’a (legge islamica), ha annunciato il ministero della Giustizia talebano. La legge (…) emana divieti già generalmente noti nell'Emirato Islamico, ma la sua promulgazione è destinata a rafforzare il già stretto controllo della popolazione” (Agenzia Italia 22 agosto 2024).
Le chicche della normativa: “Il potente Ministero della Propagazione della Virtù e della Prevenzione del Vizio (Pvpv) sarà responsabile dell'applicazione del testo.
Potenzialmente controlla tutti gli aspetti della vita degli afgani, sociali e privati, e garantisce l'applicazione ultra-rigorosa della Shari’a. Il nuovo testo stabilisce che "le donne devono coprire interamente il corpo in presenza di uomini che non appartengono alla loro famiglia", così come il viso "per paura della tentazione". Ciò comporta l'uso di una maschera (tipo anti-Covid) sulla bocca. Lo stesso vale se "le donne devono uscire di casa per necessità". Le afghane non devono nemmeno far sentire la loro voce in pubblico, recitando canzoni e poesie.
Allo stesso modo, sono stati emanati divieti per i conducenti di veicoli: niente musica, niente droghe (divieto condivisibilissimo questo, ndr), niente trasporto di donne senza velo, donne in presenza di uomini che non appartengono alla loro famiglia, o donne senza un mahram, un accompagnatore che sia un loro parente maschio.
Tra i divieti citati ci sono l'adulterio, omosessualità, il gioco d'azzardo, combattimenti tra animali (anche questi ultimi due condivisibili, ndr), la creazione o la visualizzazione di immagini di esseri viventi su un computer o un telefono cellulare, uomini senza barba o con una barba troppo corta, tagli di capelli "contrari alla legge della Sharia". L' "amicizia" con "un infedele" – un non musulmano – è proibita e le cinque preghiere quotidiane sono obbligatorie.
Ci chiediamo: ma se una donna parla o legge in pubblico attenta all’integrità sessuale maschile? o se un anziano contadino lavora nei campi sotto il sole cocente con i pantaloni corti che tutti usiamo minaccia l’integrità sessuale e religiosa della donna afghana?
La situazione sta raggiungendo tali vertici di soffocamento che qualche “mea culpa” inizia a circolare nel mondo maschile afghano, da sempre tutt’altro che paladino dei diritti delle donne.
Cosa si fa (o non si fa) per le donne afghane
C’è chi ritiene che la condizione femminile in Afghanistan non da oggi sia sotto la lente di osservazione del mondo. Degli organismi internazionali, delle agenzie Onu, delle cancellerie occidentali. Tutti a battersi per i diritti delle donne e di una popolazione schiacciata dal giogo talebano. E non mancano ribalte che offrono occasioni di visibilità alla lotta delle donne afghane. Come alle Olimpiadi di Parigi, grazie ad alcune coraggiose atlete dell’Afghanistan che hanno manifestato dissenso e protesta dopo le loro gare.
Noi siamo tutt’altro che convinti di questo presunto impegno planetario. Per non parlare di quello che facciamo, anzi non facciamo, in Italia. Dove sono l’opinione pubblica internazionale, l’Onu, gli stati, le ong? Dove sono i movimenti per i diritti delle donne operanti in tutti gli altri 192 paesi del mondo? In che modo si stanno battendo per le donne afghane? Dove sono le manifestazioni, i sit-in, i cortei, gli incontri sulle condizioni spaventose delle donne di Kabul e, più ancora, delle province più remote? A nostro avviso si fa troppo poco. Il mondo pensa ad altro.
Si occupa e preoccupa di e per altre aree geografiche esplosive e conflitti, dal Medio Oriente all’Ucraina, alla pericolosa partita a scacchi che Usa e Cina giocano nell’Indo-Pacifico, a Taiwan e dintorni.
Se si introduce l’obbligo di coprire tutto il corpo e anche gli occhi, di fatto si reimpone il burqa. Sui social qualche giovane donna afghana più coraggiosa intona “Bella ciao”. Come fanno le coetanee iraniane dopo l’assassinio da parte della “Polizia morale” di Teheran della martire Mahsa Amini. Lo fa in qualche modo. Clandestinamente. Per protesta. Come forma di resistenza e ribellione. Correndo un rischio enorme.
Non cercate l’inferno chissà dove. È in Afghanistan.
Dove regna la repressione. Dove le più coraggiose non rinunciano a lottare per le più elementari libertà. E lo fanno nel silenzio assordante o nella pavida indifferenza delle istituzioni internazionali e di chi in altri paesi si batte per la parità di genere ma cosa accade in Afghanistan fa finta di non saperlo. Hanno ragione coloro che ritengono che ormai in questo nostro tempo dell’immagine e del digitale ci interessa compulsivamente solo fare e farci selfie, foto e video da mandare a chiunque e dovunque. Per “apparire”, per dimostrare a noi stessi e agli altri che esistiamo.
E non ci interessa più niente altro.
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