Sorpresa Lamberti, se l’inusuale non è traumatico

Dopo la notte in cui potreste leggere febbrilmente i sei racconti di Luciano Lamberti, argentino che va per i quarant’anni (nato a Cordoba, dove in genere nascono calciatori più che scrittori), darete una spiegazione al ritratto fotografico che c’è in terza di copertina, a quegli occhi spiritati e alle due sigarette, una in bocca e l’altra sull’orecchio. La letteratura di Lamberti è così, giocosa e un po’ selvaggia, va al di là degli schemi consolidati. Più Cortazar che Borges, se dobbiamo proprio affidarci a paragoni azzardati, che è meglio accantonare subito, pur riconoscendo a queste pagine la capacità di regalare il piacere della lettura. Lamberti dà nuova linfa alla prosa breve con un libro smilzo edito, con grande cura grafica e tipografica, da Gran Via, “Il pappagallo che prevedeva il futuro” (91 pagine, 10 euro), tradotto da Vincenzo Barca.
Forse
l’autore argentino, per come sparge soprannaturale tra le sue
pagine, per come intreccia misteri e ambiguità, ha qualche debito
verso Stephen King, che ovviamente è fluviale e massimalista, a
differenza di Lamberti, conciso e dallo stile piuttosto semplice.
Qualche similitudine, comunque, c’è. Basti pensare a “La canzone
che cantavamo tutti i giorni”, secondo racconto della raccolta, in
cui il fratello del protagonista s’allontana durante un’escursione
del bosco e, al ritorno, non è più lui. O a “Il Teatro Naturale
di Oklahoma”, quinto racconto, in cui un anziano è capace di
dialogare con gli animali, chiarendo i pensieri di una giumenta
innamorata e di un orso russo depresso. Sono due storie esemplari
dell’intero volume, che non sposa in modo convinto nessun genere
(ammesso che i lettori non sappiano che forse tutta la letteratura è
di genere e ragionare in termini settoriali è strada sbagliata…)
in cui l’inusuale, il terribile, l’anomalo, il grottesco,
l’obliquo della vita – non mancano, oltre agli animali, mostri,
alieni, giganti, e creature o entità, chiamate Residenti –
emergono in qualsiasi momento nella quotidianità, sono dietro
l’angolo, parte integrante del paesaggio, però, tutt’altro che
traumatici.
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