Tanti beni confiscati, perché è necessario usarli e valorizzarli
L'analisi | 7 settembre 2024
Lo dico da subito anche in questa sede, l’ho detto pubblicamente in più occasioni e prima dell’estate ne ho discusso anche con Franco La Torre, al quale mi lega un’antica e profonda amicizia: se vogliamo rendere onore a Pio La Torre e ai tanti magistrati e ai rappresentanti delle forze di polizia che sono morti nella lotta alle mafie e a quegli uomini e donne di ieri e di oggi che con abnegazione continuano a lavorare nella lotta alle mafie, dobbiamo rafforzare la normativa attuale nell’effettiva valorizzazione e utilizzo dei beni confiscati.
Un bene confiscato abbandonato è una sconfitta dello Stato (in tutte le sue articolazioni) nell’azione di contrasto alle mafie e un affronto a tutti quegli uomini e donne che hanno lottato nella fase di sequestro e confisca dei patrimoni mafiosi.
Di converso un bene immobile confiscato e recuperato per finalità pubbliche, sociali ma anche economiche ha un impatto sociale e pubblico fondamentale, di grande rilevanza, che è determinante nel rallentamento del ricambio generazionale delle organizzazioni criminali. Di questo sono sempre stato convinto e tali convinzioni sono diventate nel tempo la missione principale di Agrorinasce scrl Agenzia per l’innovazione, lo sviluppo e la sicurezza del territorio nelle azioni di recupero e di valorizzazione dei beni confiscati alla camorra nei Comuni soci.
Agrorinasce è una società pubblica promossa dal Ministero dell’Interno nel 1998 in un’area ad alta densità criminale della Campania tra i Comuni di Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano d’Aversa e Villa Literno; negli anni successivi hanno fatto ingresso anche i Comuni di Santa Maria La Fossa e San Marcellino, tutti in Provincia di Caserta, la Regione Campania e, infine, nell’anno 2024 il Comune di Torre Annunziata, primo Comune della Provincia di Napoli.
In oltre 25 anni di attività Agrorinasce ha valorizzato più di 200 beni confiscati grazie a progettualità e finanziamenti pubblici per circa 80 milioni di euro. Amministra oggi 160 beni confiscati nei Comuni soci che sono gestiti da 67 soggetti gestori tra realtà sociali, comunità cristiane e imprese private che, a loro volta, impiegano circa 200 giovani lavoratori.
In questi Comuni non ci sono beni confiscati abbandonati, nonostante al momento della confisca appaiono vandalizzati e con problemi di abusivismo. Oggi su tutti i beni nei Comuni soci esistono progetti, finanziamenti e attività pubbliche, sociali e produttive realizzate al loro interno. Ciò ha senz’altro avuto effetti positivi nel raggiungimento degli obiettivi iniziali del progetto e cioè quello di rallentare il ricambio generazionale delle organizzazioni criminali. Già nel 1998, in un territorio dominato dal clan di Casal di Principe, avevamo analizzato che l’azione delle forze di polizia e della magistratura era indispensabile, ma non sufficiente per sconfiggere i clan, i quali dopo gli arresti e le condanne tendevano a rigenerarsi con nuovi assetti criminali e/o con nuovi affiliati. Era, pertanto, necessario agire anche sul fronte della prevenzione: una delle azioni fondamentali era appunto il recupero e la valorizzazione dei beni confiscati alla camorra. Alla fine degli anni ’90, all’indomani dell’approvazione della legge 109/96, che ha modificato e integrato la legge 575/1965 (a sua volta modificata e integrata dalla legge Rognoni La Torre dell’anno 1982), è stato introdotto l’importantissimo tema del riutilizzo dell’uso sociale dei beni confiscati. Alla fine degli anni ’90 in tutta Italia c’erano poche centinaia di beni immobili confiscati alle mafie. Nel corso degli anni l’attività di sequestro e di confisca è diventata sempre più importante sia per le forze di polizia sia per la magistratura e con risultati straordinari. Anche la legge si è costantemente evoluta, ma poco è stato fatto per l’effettiva valorizzazione e utilizzo dei beni confiscati.
Oggi, infatti, a mio personale avviso il più grande problema che abbiamo è il numero relativamente basso di beni confiscati effettivamente valorizzato e utilizzato rispetto al numero complessivo di beni confiscati alle mafie presenti in Italia. I numeri sono chiari e sono quelli ufficiali riportati nelle relazioni annuali dell’Agenzia Nazionale.
Al 31 dicembre 2021 i beni immobili confiscati in Italia ammontavano a 38.587, di cui 19.332 beni immobili destinati agli Enti territoriali e 19.255 beni in gestione alla stessa Agenzia. Entrambi i dati erano in crescita rispetto al 31 dicembre 2020.
Al 31 dicembre 2022 i beni immobili confiscati in Italia ammontavano a 43.310, di cui 21.236 destinati agli Enti territoriali e 22.074 in gestione alla stessa Agenzia.
Al 31 dicembre 2023 i beni immobili confiscati in Italia ammontano a 43.422, di cui 23.658 destinati agli Enti e 19.764 in gestione alla stessa Agenzia.
I beni confiscati sono presenti in tutte le Regioni d’Italia e in circa duemila Comuni. Il solo Comune di Palermo ha oltre 1.500 beni confiscati, ma vi sono anche Comuni piccolissimi con centinaia di beni confiscati (succede anche nei Comuni soci di Agrorinasce).
Se pensiamo alle aziende, la situazione presenta notevoli criticità. Le aziende confiscate in Italia al 31.12.2023 sono state 2.781, in grandissima parte destinate alle procedure liquidatorie.
I soli numeri esposti mettono in risalto la complessità della questione e la situazione è ben chiara anche leggendo la relazione annuale dell’Agenzia.
Ma ci sono molte questioni che non sono affrontate:
° Quanti dei 23.658 beni confiscati destinati agli Enti territoriali sono effettivamente utilizzati per le finalità previste dalla legge? Manca al riguardo un data base che illustri la situazione nel dettaglio in tutta Italia;
° Quanti dei 19.764 beni confiscati in gestione all’Agenzia Nazionale sono effettivamente ‘destinabili’ agli enti territoriali (senza problemi di occupazione di familiari, di abusi edilizi o di altre problematiche che rendono difficoltoso l’opera di valorizzazione del bene confiscato)?
Negli ultimi anni, infatti, un numero sempre maggiore di Comuni rifiuta di essere destinatario di beni confiscati e l’Agenzia Nazionale si ritrova ad amministrare (e non gestire) un numero sempre crescente di immobili confiscati che nessuno vuole. La stessa Agenzia Nazionale nella sua annuale relazione analizza il fenomeno della ‘destinabilità’ degli immobili in gestione.
° Anche il bando indetto dall’Agenzia a favore degli enti del terzo settore non ha prodotto i risultati sperati. Su circa 1400 beni confiscati previsti nel primo bando indetto dall’Agenzia sono stati presentati poco più di 60 progetti da parte del terzo settore e a valere su 240 beni confiscati. Sono pur sempre un risultato che va comunque verificato successivamente negli anni, anche perché tali beni dovranno essere destinati agli enti locali che in precedenza li avevano rifiutati e concessi agli enti del terzo settore che ne ha fatto richiesta. Un bando che ha richiesto poi molto impegno e tempi lunghi di gestione che non sono stati ancora ultimati.
Molto importante è poi la dimensione media dei beni confiscati (sempre più grandi e con fabbisogni di finanziamenti pubblici ingenti) e la loro distribuzione territoriale, spesso, concentrati nelle principali Regioni d’Italia e in Comuni particolarmente colpiti dalle organizzazioni criminali.
Infatti, ad eccezione delle principali città d’Italia (prima fra tutte la città di Palermo), la concentrazione dei beni confiscati, in termini numerici, è sempre più ristretta a determinate aree territoriali che spesso coinvolgono Comuni di piccole e piccolissime dimensioni che hanno scarsa capacità di progettazione e di spesa dei finanziamenti pubblici.
Nell’ambito delle iniziative finalizzate al reimpiego di tali beni confiscati, significativi per dimensioni e simbolicità, che possono considerarsi quindi “esemplari”, è stata prescritta attraverso una norma di bilancio (e non quindi all’interno del Codice Antimafia) la Strategia nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati attraverso le politiche di coesione, affidata all’Anbsc in collaborazione con il Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’allora Agenzia per la Coesione territoriale, che, attraverso il Tavolo di indirizzo e verifica (Tiv), ne cura prioritariamente l’individuazione e ne assicura la successiva valorizzazione, mediante l’impiego di Fondi strutturali nonché del Fondo nazionale di sviluppo e coesione, destinati alla progressiva realizzazione del Piano di valorizzazione di beni confiscati esemplari (Pvbce), ad oggi riservato alle Regioni del Mezzogiorno. Ma questa norma non è inserita nel Codice Antimafia vigente e allo stato la Strategia nazionale è ferma.
Altra questione finale da affrontare è poi la missione istituzionale dell’Anbsc, in quanto oggi si occupa unicamente dell’amministrazione e destinazione dei beni confiscati e non della sua gestione/valorizzazione che potrebbe, invece, determinare una crescita del numero di immobili effettivamente ‘destinabili’ e quindi ‘utilizzabili’.
Se vediamo invece lo stato attuale della norma, il Testo Unico antimafia (DLgs 159/2011), alla fase di destinazione finale del bene immobile confiscato, dedica un unico comma di un articolo (articolo 48 comma 3) rispetto ai 120 articoli del TU medesimo.
Il TU antimafia ha rappresentato un momento importante di semplificazione, consentendo l’abrogazione di oltre 10 norme tra cui la stessa legge 575/1965 (incluse quelle che l’hanno modificata e integrata come la legge Rognoni La Torre e la 109/1996), ma oggi - a distanza di oltre 12 anni - ha certamente bisogno di una nuova fase di adeguamento e di rafforzamento in più punti e non solo perché le mafie sono evolute. Oggi è più che mai urgente, anche alla luce della recente e importantissima approvazione della direttiva europea sui beni confiscati che obbliga tutti e 27 Paesi Europei ad avere norme simili in materia di confisca, nella creazione di un’Agenzia Nazionale e nella dotazione di una Strategia nazionale.
L’Italia deve essere sempre il punto di riferimento avanzato nella lotta alle mafie e un esempio per tutti i Paesi europei e del mondo.
Uno di questi punti dell’attuale Testo Unico da riformare e rafforzare è certamente quello relativo all’effettiva valorizzazione e utilizzo dei beni confiscati. Nell’attuale versione non vi è alcun riferimento ad effettive politiche di valorizzazione dei beni confiscati alla camorra né alla citata strategia nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie.
Su tale tema esiste unicamente un comma rispetto a ben 120 articoli del Testo Unico: l’articolo 48 comma terzo, oltretutto più volte rimaneggiato e che in ogni caso andrebbe semplificato e riscritto.
Tali problematiche sono individuabili, anche se in misura diversa, sia per i beni mobili sia per le aziende.
Dobbiamo pensare a una nuova versione del TU antimafia che dovrebbe riformare interamente l’articolo 48 comma terzo istituendo un Titolo del Testo Unico (quindi con più articoli) dedicato all’amministrazione, alla gestione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati. Inserire poi nella norma anche un articolo dedicato alla Strategia nazionale per la valorizzazione di beni confiscati ‘esemplari’ già ripreso dalla direttiva europea dei beni confiscati.
L’idea di fondo è che l’intero Titolo III (l'amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati), venga migliorato per la finalità principale di salvaguardare il bene o l’azienda sottoposto a sequestro e di rendere più efficace l’azione, successiva alla confisca, di valorizzazione del bene immobile per finalità istituzionale, sociale ed economico.
All’interno del Titolo III occorrerebbe, quindi, aggiungere un capo specifico “Politiche di valorizzazione dei beni mobili e immobili e delle aziende confiscate” con articoli dedicati per le singole questioni:
° Politiche di valorizzazione dei beni mobili;
° Politiche di valorizzazione dei beni immobili confiscati con destinazione istituzionale per le pubbliche amministrazioni centrali e periferiche;
° Politiche di valorizzazione dei beni immobili con destinazioni istituzionali per le Regioni;
° Politiche di valorizzazione dei beni immobili confiscati con destinazioni istituzionale per gli enti locali;
° Politiche di valorizzazione dei beni immobili confiscati con destinazioni per finalità sociali;
° Politiche di valorizzazione dei beni immobili confiscati per finalità economiche;
° Politiche di valorizzazione delle aziende confiscate;
° Strategia nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati ‘esemplari’.
Con questi numeri non si può nemmeno pensare di responsabilizzare l’intero terzo settore nella valorizzazione dei beni confiscati, né pensare che lo Stato in tutte le sue articolazioni e con lo stato attuale delle finanze pubbliche possa investire nel recupero e nella valorizzazione di oltre 40mila beni immobili in tutta Italia. Con i 300 milioni del dell’ex Pnrr sono stati approvati progetti per valorizzare 254 interventi. Quanti ne occorrono per valorizzarli tutti?
Sono convinto, invece, che la società in tutte le sue articolazioni deve essere protagonista nell’opera di recupero e valorizzazione dei beni confiscati e, quindi, coinvolgere sempre più anche il settore privato. Immaginiamo ancora la città di Palermo con i suoi 1.500 beni confiscati, ma ciò vale anche per Napoli, Roma e Milano, possono mai essere tutti destinati per finalità sociali e abitativi e con quale sostenibilità economica? Noi siamo testimoni privilegiati dell’importanza assunta dal terzo settore specie nella valorizzazione di beni confiscati per finalità sociali e per la diffusione della cultura della legalità (così come siamo testimoni di diverse infiltrazioni della camorra nel terzo settore), ma oggi non può ricadere tutto su di loro. In caso contrario avremmo solo polemiche sull’incapacità dello Stato e delle realtà del terzo settore a recuperare e valorizzare l’enorme patrimonio di beni confiscati.
La norma attuale già consente l’utilizzo dei beni confiscati per finalità economiche coinvolgendo i privati a condizione che gli incassi siano destinati per finalità sociali. Tale norma va senz’altro rafforzata anche per sostenere i Comuni e le realtà sociali negli investimenti pubblici e sociali sui beni confiscati. Così come va affrontato il tema degli ‘aiuti di Stato’ nell’utilizzo per finalità economiche da parte del terzo settore. Su questo aspetto già siamo stati oggetto di controllo da parte dell’Unione Europea e la giurisdizione in materia compete alla Corte dei conti. Noi su questi temi siamo esperti, ma i Comuni invece non hanno adeguate competenze e non possono essere lasciati soli.
Se si affrontassero tutti questi punti e il Testo Unico Antimafia fosse riformato e rafforzato nei termini descritti, allora i risultati in termini numerici e di impatto sociale ed economico dei beni confiscati molto probabilmente risulterebbero largamente maggiori rispetto ai numeri attuali e finalmente potremmo concretamente sperare in organizzazioni mafiose soccombenti non sono in Italia, ma anche in Europa e nel mondo.
Ultimi articoli
- In fuga dall’artigianato, serve una nuova scuola
- Legalità e sviluppo, intesa
tra Centro La Torre e Legacoop Sicilia - Il ricordo del professionista
che non chinava il capo - A Casa Sciascia sezione
di studi economici
dedicata ad Angelo - La ritualità non fa
crescere l’antimafia - Angelo Meli un anno dopo, un impegno che continua
- Le controriforme rafforzano le capacità corruttive delle mafie
- L'Italia investe meno
sull'istruzione superiore - Si allontana la memoria del prete ucciso a Casteldaccia
- La legge Rognoni-La Torre compie 42 anni
Intervista di Emilio Miceli a "Collettiva"