Tutta colpa di Alfredo se D’Urbano non incanta

Più di tre anni fa Valentina D’Urbano si presentava con “Il rumore dei tuoi passi”, un romanzo in cui due anime fragili, a lungo in simbiosi, sceglievano (o erano scelti da) due strade opposte, da una parte il riscatto e dall’altra l’incapacità di salvarsi. “Il rumore dei tuoi passi”, giustamente lodato, era onesto, impetuoso, ruvido, incosciente, imperfetto, eppure travolgente, un’epopea delle periferie e dei giovani, in cui per tanti era facile immedesimarsi. Nel successivo, più complesso e maturo, “Acquanera” scompaiono le atmosfere metropolitane, che cedono il passo a quelle cupe e inquietanti, ma non la predilezione per gli emarginati. Dopo, con “Quella vita che ci manca” D’Urbano era tornata a raccontare storie della Fortezza, quartiere della periferia di Roma nascosto dietro un nome di fantasia, già scenario del debutto. Adesso, con il quarto romanzo, la scrittrice capitolina torna ancora al rione natio, per raccontare la vicenda del suo libro d’esordio, non con gli occhi di Bea – la ragazza che si salva – ma con quelli di Alfredo, il ragazzo che si perde negli pieghe maledette degli anni Ottanta e di cui il lettore apprende pezzi dell’infanzia e del suo arrivo alla Fortezza.
Ci sono scrittori che finiscono per
odiare il loro libro d’esordio o quello di maggiore successo – e in molti casi
le cose coincidono – e ci rimettono mano e altri che mentalmente non riescono a
sbarazzarsene. È questo il caso di D’Urbano e del suo romanzo “Alfredo” (235
pagine, 10 euro) pubblicato direttamente in edizione economica, da Tea e non
come sempre da Longanesi. Come spiegarne la genesi? C’era qualcosa di
irrisolto, evidentemente, ma la fortissima sensazione è che certe pagine siano
più utili all’autrice che ai lettori. Il punto di vista di Alfredo segue il
solco di un’amicizia, di un amore struggente e tardivo, di ferite non rimarginabili
e di precipizi fatali; tutto è immerso in periferie dove non attecchisce nulla,
dall’istruzione agli spazi verdi. Colma vuoti, quest’ultima prova di D’Urbano?
E chi l’ha detto che il non detto, i pezzi mancanti, i passaggi irrisolti, i
grovigli, che i vuoti insomma non siano più importanti, interessanti, letterari
dei pieni? Di quel bel rumore del primo romanzo si perde l’eco; con “Alfredo”
si sente appena qualcosa, di già visto, ma soprattutto senza guizzi, che non
incanta.
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