Venti anni di toghe rosse in Italia

23 agosto 2013
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L’obiettivo è la “scomparsa del reato commesso da Berlusconi e sanzionato da tre gradi  di giudizio”. Per conseguirlo   si sta praticando un    “sovvertimento della realtà”, un “rovesciamento clamoroso  del senso” (Ezio Mauro su “la Repubblica” ).  Muove nella stessa direzione anche  la campagna di attacchi ossessivi  contro  Md (Magistratura democratica).  Vale a dire che quando una decisione non piace – come nel caso del giorno -   si prescinde totalmente dal  punto essenziale se  essa sia giusta o meno: si cerca invece di svalutarla nel merito  tirando in ballo  -  a vanvera -  le “toghe rosse”,  accusandole  di malefatte assortite che si possono sintetizzare nella colpa di esistere  e di essere indipendenti.

In realtà parlare del  colore della toga è una furbata. Perché  le vicende giudiziarie degli ultimi vent’anni sono lì a dimostrare che le contestazioni del Cavaliere riguardano l’intiero ordine giudiziario, e perciò uno spettro assai ampio nel quale  sfuma e diventa impercettibile  l’eventuale   diverso colore delle toghe ( quale che sia, perché se vogliamo  ci sono anche le toghe “azzurre”...). All’inizio della storia , è vero, ad essere oggetto di attacchi apodittici erano solo alcuni procuratori. Ma poi, man mano che i processi si sviluppavano,  sono finiti nel mirino anche i magistrati giudicanti tutte le volte che hanno deluso certe aspettative.  C’è stato persino un attacco - personalmente condotto da Berlusconi a reti Tv unificate - contro le Sezioni unite della Cassazione, massimo organo della giustizia ordinaria, “colpevole” di non aver applicato la “legge Cirami” come si  sarebbe voluto ( un “assaggio” dell’odierna offensiva contro la Sezione feriale della Cassazione?).  Anche l’empireo della Corte costituzionale è finito sotto i colpi  delle contestazioni basate sulla pretesa “politicizzazione” dei magistrati. E’ evidente allora ( e non da oggi: ebbi a scriverlo già dieci anni fa in una lettera aperta  all’allora premier Berlusconi) che il problema non è costituito da singole toghe, sfumature cromatiche incluse. L’attacco è a geometria variabile, nel senso che può subirlo qualunque magistrato - pubblico ministero o giudice, quale che sia la città o l’ufficio in cui opera - che abbia la “sfortuna” di imbattersi in vicende “scomode”. In sostanza, giustizia giusta sembra essere – per il Cavaliere – solo quella che gli conviene , come prova il disinvolto passaggio dal  bastone  alla carota (“c’è un giudice a Roma o Milano”, non solo a Berlino,  e via incensando...) quando le pronunzie gli risultino favorevoli. Ma ragionando in questo modo  si rischia di sovvertire  le regole fondamentali del nostro ordinamento. E non è cosa bella.

Nella logica berlusconiana, poi, “toghe rosse” è  sinonimo di “Magistratura democratica”, gruppo di magistrati eletto a paradigma di un sistema giudiziario malato in quanto “politicizzato”. In verità fino agli anni Sessanta ( non qualche era geologica fa!) la magistratura – secondo la definizione di Luigi Ferrajoli – costituiva “un corpo burocratico chiuso, cementato da una rigida ideologia di ceto”, collocato in tutto e per tutto “nell’orbita del potere”.  Mai vista, onestamente, una magistratura più “politicizzata” di quella.  Eppure i giudici erano tutti bravi e belli, perché non davano fastidio al “potere”.  Ma quando hanno cominciato ad assumere un ruolo di attenzione agli interessi di  tutte le componenti sociali (anche quelle prima penalizzate), quando hanno dato segni di indipendenza rispetto al blocco dominante, pretendendo  di esercitare il controllo di legalità anche verso obiettivi “forti” prima mai neppure sfiorati, ecco scattare le accuse di politicizzazione delle quali il “nuovo” potente  Berlusconi  è indiscusso campione e primatista.   Mentre si può star certi che nessuno protesta o leva accuse verso i i giudici che si tirano indietro.   In questa benefica modernizzazione della magistratura ( che poi non è altro che adeguamento dell’intervento giudiziario al principio  costituzionale della legge uguale per tutti) un ruolo formidabile ha  storicamente svolto proprio Md. Che pur coi suoi limiti ( chi non ne ha?) ha avuto il merito straordinario di introdurre, nel corpo fin lì  monolitico  e conformista della magistratura, elementi di rottura che l’hanno resa   capace di cose che prima non si aveva voglia o coraggio  di fare.   Fino a spingersi  - o scandalo! –  nel pianeta inesplorato dei reati del potere.   Le letture caricaturali della storia di Md , avanzate spregiudicatamente per propaganda personale o di cordata, possono anche  – come i ritornelli pubblicitari ripetuti fino alla noia – entrare in qualche testa, magari in tante: ma non per  questo sono meno grottesche.

 di Gian Carlo Caselli

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