Voci dal sottosuolo per esorcizzare la morte

A vent’anni dalla morte Gesualdo Bufalino è stato ingiustamente dimenticato, almeno in Italia – e chissà perché, non risulta infatti che da allora siano stati scritti libri belli come i suoi (i capolavori di Elsa Morante sono precedenti). In Turchia, invece, c’è chi, come minimo, ha letto il suo “Le menzogne della notte” – che vinse il premio Strega ed è forse il suo titolo commercialmente più fortunato all’estero, con molte traduzioni – traendone ispirazione per un altro bel romanzo. Edito da Nottetempo, tradotto da Anna Valerio, “Istanbul Istanbul” (304 pagine, 16,50 euro) è firmato da Burhan Sönmez, nome non inedito in Italia (si ricorda il suo “Gli innocenti”, pubblicato da Del Vecchio), che coniuga letteratura e politica, profondità e leggibilità, senza tralasciare un epilogo bellissimo e poetico.
Non è un semplice narratore, Burhan Sönmez. È avvocato specializzato in diritti umani, giornalista, e scrittore pienamente impegnato in Turchia, tra gli oppositori di Erdogan. Già protagonista delle rivolte di Gezi Park e Taksim, difensore delle minoranze, Sönmez vive fra Turchia e Inghilterra. E dimostra che dalle parti del Bosforo – assieme ad Hakan Gunday, pubblicato in Italia da Marcos y Marcos – oltre Pamuk c’è tantissima vitalità. Come ne “Le menzogne della notte” i quattro protagonisti che s’alternano come voce narranti sono reclusi in un carcere (una specie di fortezza borbonica nelle pagine di Bufalino; le celle nei sotterranei di Istanbul per gli oppositori al potere dell’opera di Sönmez) e – di età, cultura e pensieri differenti – lottano a parole, affabulando, contro le torture e la morte che li aspetta. In “Istanbul Istanbul” raccontano e si raccontano lo studente diciottenne Demirtay, Kamo il barbiere-poeta, il Dottore, un medico, e Küheylan, vecchio rivoluzionario.
La città del sottosuolo non è così dissimile da quella che si vede in superficie, caotica e buia, sofferente e in disarmo, spettrale, sopraffatta dalla barbarie e dalla violenza: in quella sotterranea l’immaginazione e l’arte del racconto – spesso una dichiarazione d’amore per la tormentata metropoli – con storie vissute o che si vorrebbe aver vissuto, provano a contrastare il dolore e il sangue dei supplizi disumani inferti ai dissidenti detenuti in un luogo dove qualsiasi forma di rieducazione è utopia, dove anzi vigono sopraffazione e annientamento, sintetizzati nel sadismo dei carcerieri. Non ci sono riferimenti espliciti all’attualità, ma è solo un dettaglio insignificante…
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