La lotta alla mafia comincia dal Parlamento
Rischiando di apparire ripetitivi, in questi mesi abbiamo insistito sulla necessità di considerare tra le priorità del Governo Letta, di scopo o di larghe intese, comunque si voglia chiamare, la questione del ruolo politico delle mafie e le criticità emerse nell’applicazione del corpo legislativo antimafia.
La recente divulgazione delle intercettazioni di Riina, al 41 bis nel carcere di Milano, che hanno allarmato tutti i democratici, ci consegnano ancora una volta un quadro ambiguo. Chi ha fatto trapelare il contenuto delle sue conversazioni ai media, avvisando anche Riina di essere intercettato, il quale, d’ora in poi, starà più attento? Chi vuole che Riina non parli oltre delle stragi e magari dei suoi rapporti con politici e uomini dello Stato? La risposta spetta ai giudici per quanto riguarda i processi, ma per il resto è compito del governo e degli uomini delle istituzioni preposti all’attuazione delle leggi della Repubblica impedire questa opacità.
A questo punto, sarà utile riepilogare brevemente l’elenco delle modifiche da introdurre nell’orientamento del governo e nella legislazione subito dopo l’approvazione della legge di stabilità e chiusa l’umiliante questione della decadenza dal Senato di un pregiudicato.
La prima, squisitamente politica, investe l’essenza della visione antimafia del governo. Il Presidente Letta nelle sue dichiarazioni programmatiche ha sostenuto che alcune regioni meridionali sono condizionate dalle mafie. È un’impostazione superata dai fatti e dalla percezione pubblica degli ultimi decenni. Le mafie condizionano lo sviluppo dell’intero paese vista la loro proliferazione nel centro nord, rappresentano un pericolo per tutta l’economia legale e per la democrazia. Esse sono diventate, inoltre, sempre più parte integrante di gruppi politici locali e nazionali come evidenziano tanti processi giudiziari.
Ovviamente un governo di necessità, con una maggioranza eterogenea, sconta difficoltà maggiori per cancellare ogni rapporto tra mafia affari e politica, sopratutto se la maggioranza comprende anche alcuni beneficiari di tale rapporto.
La rottura del Pdl apre nuove possibilità anche per affrontare questo tema il quale non riceve molta attenzione nemmeno nel dibattito congressuale del Pd. Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane.
Il secondo tema è assicurare un iter parlamentare spedito al disegno di legge d’iniziativa popolare, promosso dalla CGIL e sostenuto dal movimento antimafia, incardinato nella commissione giustizia della Camera. La proposta mira a difendere il lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate garantendo la prosecuzione della loro attività nella legalità.
Terzo argomento riguarda l’insieme delle proposte di modifica del cd Codice antimafia, già formulate, all’interno delle quali considerare l’adeguamento del 416 bis per perseguire con efficacia i nuovi comportamenti delle “mafie in movimento”, delocalizzate e silenti, nel mondo della finanza e dell’economia legale. Basta prendere visione dei nuovi rapporti con i poteri politici locali e il sistema economico nel centro nord per rilevare sottovalutazione e negazione da parte delle classi dirigenti. In tale tema rientrano tutte le proposte avanzate per la gestione e il riuso sociale dei beni sequestrati e confiscate. Rapidità di procedure, governance con le forze sociali, coordinamento tra tutti i soggetti preposti alle misure di prevenzioni patrimoniali, coordinamento tra procure, tribunali e Agenzia nazionale dei beni confiscati per assicurare la continuità produttiva delle aziende e accompagnarle verso il circuito economico legale, utilizzo di manager appositamente formati e esperti dei vari settori merceologici. Il messaggio deve essere che lo Stato è più forte di ogni mafia. Per questo motivo la vendita del bene confiscato deve essere considerata una residuale possibilità, il primo obiettivo è gestione sociale e competitività produttiva.
Ultima tema, nell’ordine logico seguito, è cosa fare nella prossima legislatura europea. Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione, molto ampia, con la quale invita i paesi membri, il Consiglio d’Europa, La Commissione e se stesso a introdurre nei propri codici i reati di associazione mafiosa, la confisca dei beni mafiosi, di realizzare una procura antimafia europea, di adottare misure di contrasto alla corruzione, al riciclaggio e all’autoriciclaggio, ai traffici illeciti e a tutte le criminalità organizzate. In questa risoluzione è incluso l’invito ad adottare misure penali contro il voto di scambio e per la decadenza dai pubblici incarichi dei condannati per mafia e corruzione.
A tal proposito l’Italia da tempo ha introdotto, col 416 ter, il reato di voto di scambio, ma solo per denaro e non per altre utilità. Coloro che si sono opposti a quest’ultima aggiunta sono ancora all’opera nel Parlamento per impedirne l’introduzione che darebbe applicabilità certa alla norma. Tra gli obiettivi segnaliamo anche questo perché la classe dirigente dia un segnale di civiltà politica e giuridica.
Un Parlamento senza Dell’Utri, Cosentino, Berlusconi (l’elenco ovviamente è molto incompleto) potrebbe chiudere definitivamente quella fase di vischiosità e dire alla Nazione che si vuole cambiare.
Vito Lo Monaco
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