La nuova bussola
politica americana

Europa | 28 dicembre 2025
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Picconare Europa, istituzioni dell’Ue, stati, cittadini europei che non siano di destra, possibilmente estrema. L’isteria Maga degli Usa ridisegna la “Strategia di Sicurezza Nazionale” e molla il Vecchio Continente, derubricato da alleato transatlantico a fastidiosa zavorra.
La Casa Bianca ha reso nota la nuova “Strategia di Sicurezza Nazionale”, documento di 33 pagine introdotto da una paginetta e sette righe di presentazione del presidente Trump. “Table of Contents”: I) Cosa è l’American Strategy?; II) Cosa dovrebbero volere gli Stati Uniti?; III) Quali sono i mezzi a disposizione dell’America per ottenere ciò che vogliamo? IV) La strategia. 1.Principi; 2.Priorità; 3.Le aree regionali: Emisfero occidentale, Asia, Europa, Il Medio Oriente, Africa.
Il documento - che comprensibilmente tiene banco nel mondo da giorni - afferma nuova vocazione isolazionista degli Usa e riassetto del loro ruolo nel mondo, traduzione formale della svolta geopolitica che il vicepresidente JD Vance aveva anticipato alla Conferenza di Monaco di febbraio, quando il suo monito all’Europa sembrò una provocazione più che un annuncio di dottrina. Quelle parole diventano linea ufficiale, visione organica.
“La Casa Bianca presenta la strategia come un manifesto di chiarezza dopo anni in cui, secondo Trump, gli Stati Uniti avrebbero perso la bussola della loro politica estera, e la offre al mondo con il tono di una rinascita nazionale. Ma più che un progetto di leadership globale, il documento suona come una dichiarazione di ritiro selettivo, una virata che rovescia decenni di impegno internazionale e mette l’Europa davanti allo specchio della propria fragilità. La mappa che ne esce somiglia a un continente sedotto e abbandonato, mentre Washington stringe alleanze scelte nell’emisfero occidentale e nell’orbita politica di Project 2025”. (Marco Giustiniani “La dottrina Trump isola l’America: ecco la nuova strategia di sicurezza nazionale”, La Voce di New York, 5 dicembre 2025).
Geopolitica e sfere di influenza mascherate
Un presupposto colpisce per il suo linguaggio: l’Europa sarebbe a rischio di “cancellazione della civiltà” in vent’anni, schiacciata dal calo demografico, dalle politiche migratorie e dall’Unione europea che soffoca la vitalità economica e politica dei suoi membri. L’amministrazione Trump fa propria la narrazione delle destre radicali con una naturalezza sempre meno diplomatica, trasformando un’analisi geopolitica in un giudizio culturale. E qui il documento sfiora l’incredibile: la diagnosi dell’Europa decadente e l’invito implicito a lasciarla al suo destino sembrano usciti più dalla penna del Cremlino che dalla Casa Bianca, come se il progetto fosse quello di sganciare gli Stati Uniti dal “peso” europeo e consegnare a Mosca un continente indebolito e isolato. Un paradosso strategico inimmaginabile a Washington dieci anni fa diventa parte integrante della dottrina ufficiale.
“In questo quadro, la guerra in Ucraina – prosegue Giustiniani - diventa un dossier da chiudere rapidamente, non per difendere un principio o l’ordine internazionale, ma per ristabilire un equilibrio strategico con Mosca. È il rovesciamento della stagione atlantista (…): gli Stati Uniti non difendono più la democrazia come missione universale, ma selezionano gli interventi in base alla propria convenienza.
Cuore del documento la Dottrina Monroe in salsa Trump, che riporta la proiezione americana nel suo emisfero naturale. Il resto del mondo sarà valutato caso per caso, senza missioni di lunga durata né ambizioni trasformative. L’America Latina diventa il baricentro della sicurezza nazionale, tra lotta ai cartelli, contenimento delle migrazioni e controllo delle infrastrutture strategiche. Geopolitica delle sfere di influenza mascherata da efficienza operativa.
Il Medio Oriente scivola sullo sfondo, da normalizzare più che da guidare, luogo dove gli Usa non intendono più modellare sistemi politici o investire capitale strategico. Gaza, Israele e le monarchie del Golfo appaiono come capitoli di una storia che non detta più la bussola della politica estera americana”. La nuova "strategia di sicurezza”
Al centro rimane la competizione con la Cina, vero asse della dottrina. La deterrenza militare è l’unico linguaggio ancora credibile nell’Indo-Pacifico. Taiwan diventa il punto di equilibrio e di rischio, con un principio: gli Usa non combatteranno da soli, gli alleati devono assumersi costi finora scaricati su Washington. L’eco con l’Europa è evidente.
Sul fondo si muove un’idea identitaria dell’Occidente, un richiamo alla civiltà minacciata che piace ai falchi del Project 2025 e a Orbàn e che ridisegna l’America secondo i codici del nazionalismo assertivo e della selettività strategica. L’Europa, in questa visione, non è più un partner strutturale ma un continente incerto che si può sostenere o lasciare andare a seconda dei casi.
Così conclude il quotidiano on line della comunità italo-americano: “Resta l’impressione netta di una Casa Bianca che non intende più sostenere l’ordine globale che per decenni gli Stati Uniti hanno costruito e imposto. L’America guarda il mondo da lontano, convinta che per essere forte debba essere meno presente. È la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra in cui l’Europa scopre di contare meno, mentre la geografia del potere si sposta altrove. Nel lessico di Trump, “America First” diventa “America Alone”, e il resto del mondo dovrà decidere se inseguire o rassegnarsi a un’assenza che pesa più di mille discorsi”.
La nuova “Strategia di Sicurezza” è infarcita di moniti, ricatti, sminuizioni al Vecchio Continente. Criticato su tutti i fronti, dalle politiche migratorie alla "censura della libertà di parola" alle "aspettative irrealistiche" sull’Ucraina. L'amministrazione americana "si trova in contrasto con i funzionari europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra" in Ucraina, "arroccati su governi di minoranza instabili, molti dei quali calpestano i principi fondamentali della democrazia per reprimere l'opposizione", si legge. "Se continua con il trend" in atto l’Europa "fra 20 anni sarà irriconoscibile", tra "le attività dell'Ue e di altri organismi internazionali che minano la libertà e la sovranità politica, le politiche migratorie che stanno trasformando il continente, la censura della libertà di parola e la soppressione dell'opposizione politica". Nell’Unione Europea? O a Washington prendono un abbaglio confondendo l’Europa con l’autoritarismo e l’antidemocraticità che impera piuttosto nell’America First?
Proveremo a capirne di più sulla nuova “Strategia di Sicurezza Nazionale” con l’aiuto di tre di organi di stampa e think tank specializzati, da tre diversi punti di osservazione. Il primo “strategico” (“Analisi Difesa”), il secondo in ambito eurocentrico, brussellese (“Il Mattinale Europeo”), il terzo geopolitico e in chiave “italiana” (“Limes”).
Scrive Giuseppe Gagliano il 7 dicembre su “Analisi Difesa”: “È un testo che pretende di essere una bussola per i prossimi anni ma finisce per somigliare più a una dichiarazione d’intenti ideologica che a un vero manuale di sopravvivenza in un mondo complesso e frammentato. Dietro il linguaggio solenne, le celebrazioni dell’“America forte” e i toni autocelebrativi, si intravede una potenza che fatica a riconoscere i propri limiti e convivere con la fine della propria supremazia indiscussa. La parola chiave della nuova dottrina è “sovranità”. Dei confini, del mercato interno, del sistema energetico, delle filiere industriali, perfino del discorso pubblico, minacciato da potenze straniere, piattaforme digitali e organizzazioni internazionali. (…) è una ossessione”.
Il problema è che questo ritorno alla sovranità assoluta è pensato solo per gli Stati Uniti. Il documento proclama di difendere la legittimità di ogni Stato a perseguire i propri interessi ma di fatto nega lo stesso diritto quando gli interessi non coincidono con quelli di Washington. La libertà degli altri si ferma dove cominciano i corridoi energetici, le filiere di approvvigionamento e gli spazi di manovra militare voluti dagli Usa”.
Il capitolo sul continente americano è il più esplicito: una sorta di “corollario” alla dottrina Monroe, con cui gli Stati Uniti si arrogano il diritto di impedire a potenze esterne di possedere infrastrutture strategiche, basi, porti, reti di comunicazione o risorse. (…) La storia dell’America latina è piena di colpi di Stato, interventi mascherati, pressioni economiche. La differenza è che, oggi, sullo stesso terreno agiscono anche Cina, Russia, Turchia, monarchie del Golfo. Pensare di poterli cacciare con qualche tariffa, base navale, prestito agevolato significa non capire che per molti governi latinoamericani la competizione tra potenze è diventata opportunità, non minaccia.
La cautela verso il continente asiatico

Il capitolo asiatico è in apparenza improntato alla moderazione. Si afferma di non voler la guerra con la Cina, ma voler “riequilibrare” i rapporti economici, proteggere le filiere, coordinarsi con i partner per impedire forme di dominio regionale. Dietro la prudenza lessicale c’è un obiettivo chiarissimo: contenere l’ascesa cinese in ogni settore. Economia, tecnologia, finanza, spazio, mari: la regione del Pacifico descritta come teatro decisivo del secolo. Insistendo sulla necessità di un sistema di alleanze dal Giappone all’India, dall’Australia alla Corea, passando per i Paesi dell’Associazione del sud-est asiatico (Asean). Ma proprio qui la strategia mostra il fianco. Molti di questi Paesi hanno rapporti vitali con la Cina, sia commerciali sia finanziari. Accettare la logica americana del “disaccoppiamento” significherebbe mettere a rischio intere economie, catene logistiche, stabilità politiche già fragili. Washington chiede loro di aumentare la spesa militare, offrire basi e porti, esporsi nel confronto con Pechino.
“La parte dedicata all’Europa – continua “Analisi Difesa” – è impietosa. Si descrive un continente in declino demografico, schiacciato da apparati burocratici sovranazionali, paralizzato da politiche migratorie giudicate suicidarie, prigioniero di dirigenti che censurano il dissenso e soffocano la libertà di espressione. La critica al “modello europeo” è così radicale da sfiorare il disprezzo. Eppure si sottolinea che l’Europa resta “vitale”: centrale per le esportazioni statunitensi, culla di industrie avanzate, infrastrutture, ricerca. Un alleato indispensabile ma considerato inaffidabile sul piano politico e culturale. La guerra in Ucraina è il banco di prova. (…) Per questo indica come priorità chiusura delle ostilità, ripristino di stabilità strategica con la Russia e ricostruzione di un’Ucraina “viabile”. L’interesse, senza giri di parole, non è il destino di Kiev quanto evitare che l’Europa rimanga intrappolata in una paralisi economica e politica che indebolirebbe l’intero blocco occidentale.
Contraddizione di fondo: da un lato si pretende che gli alleati europei aumentino la spesa militare, dall’altro si guarda con sospetto a leadership e governi ritenuti incapaci o poco legittimati. Si chiede all’Europa di essere forte ma non autonoma; responsabilizzata ma sotto tutela; “grande” solo nella misura in cui resta allineata agli Usa su Russia, Cina, energia, commercio”.
Gli Usa dalla logica di aiuto agli investimenti
Altri quadranti regionali. Per mezzo secolo il Medio Oriente è stato il centro della politica estera americana. Epoca finita: grazie alla produzione energetica interna e agli accordi con Israele e monarchie del Golfo, la regione sarebbe ormai meno decisiva. Non disimpegno ma diversa gestione del rischio. L’Iran viene descritto indebolito dalle operazioni israeliane e statunitensi contro il programma nucleare. La questione palestinese? In fase di “normalizzazione” grazie all’accordo per il cessate il fuoco e alla prospettiva di nuove intese tra Israele e Paesi arabi.
Africa. Gli Usa annunciano di passare da una logica di aiuto allo sviluppo a una logica di investimenti e scambi, privilegiando Paesi giudicati “affidabili” e pronti ad aprire i mercati a imprese e tecnologie statunitensi. Si insiste sulle potenzialità del continente in termini di minerali critici, energia, crescita demografica. Si parla di accordi per nucleare civile, gas, infrastrutture. L’Africa come un grande magazzino da cui estrarre materie prime e consenso diplomatico, non come insieme di società complesse, con interessi propri, memorie di colonizzazione, nuove classi dirigenti che non intendono più essere destinatarie di progetti decisi altrove. Se l’unico parametro di scelta sarà la fedeltà alla linea statunitense, la competizione con Cina, Russia, India, Turchia, monarchie del Golfo non farà che accentuare la frammentazione del continente, alimentando nuovi “clientelismi” geopolitici anziché sostenere una crescita autonoma.
“In tutto il documento – conclude Giuseppe Gagliano – si respira l’idea che l’economia possa e debba essere usata come strumento integrale di potere. Tariffe, controlli sulle esportazioni, sanzioni finanziarie, incentivi fiscali, controllo delle filiere: tutto viene concepito come parte di un’unica macchina di pressione, da attivare verso avversari e alleati recalcitranti. Si promette una grande “reindustrializzazione” interna: riportare in patria produzioni strategiche, rilanciare l’industria degli armamenti, garantire energia abbondante e a basso costo grazie a idrocarburi e nucleare, respingere le politiche di riduzione delle emissioni considerate un regalo ai rivali. Programma ambizioso che però si scontra con ostacoli. Il primo sociale: riportare fabbriche e catene produttive negli Stati Uniti richiede non solo investimenti pubblici e privati ma anche manodopera qualificata, infrastrutture, sistemi educativi, alloggi, servizi. (…) In conclusione, un documento che fotografa il momento storico degli Stati Uniti: grande potenza che non si rassegna a essere “una” delle potenze, che vuole difendere il primato con tutti gli strumenti ma al tempo stesso non offre una visione condivisibile del futuro”. (…).
L’Europa è nel mirino
Dall’analisi geostrategica ai …bocconi amari inghiottiti a Bruxelles. “Il Mattinale Europeo” è una newsletter quotidiana informatissima su quanto avviene dentro e fuori i Palazzi di Rue de la Loi. Fornisce in italiano, francese e spagnolo analisi, contesto e prospettiva su ciò che accade nella capitale belga e in Europa. Titolo inequivocabile che “Il Mattinale Europeo” l’8 dicembre 2025 dedica alla “Nuova Strategia”: “Ora siamo soli”. A firma di Oliver Grimm: “È ufficiale: il cambio di regime in Europa e la distruzione dell’Unione europea ora fanno parte della Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. “La nostra ampia politica per l’Europa dovrebbe dare priorità (…) a coltivare la resistenza alla traiettoria attuale dell’Europa all’interno delle nazioni europee”.
“La traiettoria attuale dell’Europa”, secondo la Casa Bianca di Trump, sarebbe “declino economico (…) oscurato dalla prospettiva reale e più netta della cancellazione della civiltà”. C’è un colpevole indicato nel documento: l’Ue. “I problemi più ampi che l’Europa deve affrontare includono le attività dell’Unione europea e di altri organismi transnazionali che minano la libertà politica e la sovranità, politiche migratorie che stanno trasformando il continente e creando conflitti, censura della libertà di parola e repressione dell’opposizione politica, tassi di natalità in caduta, e perdita delle identità nazionali e della fiducia in sé stessi”.
“La strategia dichiara effettivamente guerra alla politica europea, ai leader politici europei e all’Unione Europea” - conclude Max Bergmann del Center for Strategic International Studies di Washington - è un sostegno esplicito ai partiti nazionalisti di estrema destra, emersi negli ultimi 15 anni nella politica europea. Va ancora oltre e invoca un intervento diretto nella politica democratica degli alleati europei degli Stati Uniti”.
Solo dieci giorni fa, il segretario al Commercio degli Stati Uniti, Howard Lutnick, ha ricattato gli europei per conto dei magnati della Silicon Valley vicini a Trump. L’Ue deve eliminare le sue norme sulle società digitali per “definire un quadro con cui noi siamo a nostro agio”, ha detto Lutnick. Solo allora la Casa Bianca forse, ma solo forse, prenderà in considerazione l’ipotesi di ridurre l’opprimente tariffa del 50 per cento su alluminio e acciaio europei. Questa non è cooperazione. È coercizione imperialista. L’Ue è nel mirino di Trump. Da quando alla Trump Tower il 16 giugno 2015 ha annunciato la sua candidatura.
“(…) Una grande maggioranza europea vuole la pace, ma quel desiderio non si traduce in politica, in gran parte a causa della sovversione dei processi democratici da parte di quei governi”, dice il documento facendo eco alla propaganda della Russia di Vladimir Putin.
La replica di Bruxelles è stata affidata solo a un portavoce: “La Commissione “continuerà a impegnarsi in modo costruttivo pur garantendo la competitività dell’Europa”, “la partnership transatlantica è unica e, come sempre, gli alleati sono più forti insieme.” Solo alla fine della dichiarazione c’è qualcosa che assomiglia a un ripensamento. Una piccola difesa della sovranità politica: “Per quanto riguarda le decisioni relative all’Unione Europea, esse sono prese dall’Unione Europea, per l’Unione europea, incluse quelle relative alla nostra autonomia normativa, alla protezione della libertà di espressione e all’ordine internazionale basato sulle regole”.
Mamma America non pensa più di salvare il mondo
Terza e ultima analisi sulla “Strategia”. Cosa comporta per il mondo e, in particolare, per l’Italia. La firma Lucio Caracciolo su “Limes” l’8 dicembre con il titolo “L’ora di una strategia italiana” (pubblicata il 7 su “Repubblica”): “America e Italia abitano mondi diversi. O noi ci adattiamo a quello americano o veniamo espulsi dalla lista dei paesi d’interesse del capocordata. Con noi, tutti gli europei che secondo la Strategia di sicurezza nazionale stanno cancellando la loro stessa civiltà. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: fine dell’Europa americana perché l’America deve concentrarsi su sé stessa. Sanzione di un disimpegno annunciato. Graduale ma inesorabile. Destinato probabilmente ad accelerarsi, Trump o non Trump.
Allo scadere dell’ottantesimo anno di semiprotettorato a stelle e strisce, noi italiani e altri europei siamo invitati a varcare la linea d’ombra che separa l’adolescenza dalla maturità geopolitica. Mamma America non può né vuole salvare il mondo perché deve salvarsi la vita. Per tornare grande deve scaricare parte della zavorra imperiale. E se noi non ci allineiamo saremo parte di quella parte. (…) L’America nazione fra le nazioni, che come tutte le altre si fa gli affari suoi, con la differenza che si considera prima fra i non pari. Rinuncia a redimere il mondo, a cambiare i regimi altrui disperdendo potenza, credibilità e amor proprio in guerrette senza senso. Il nemico non è la Cina, tantomeno la Russia. È il morbo liberal che ha favorito l’immigrazione senza freni, ha diffuso una forma radicale di politicamente corretto (woke), ha deindustrializzato il paese con la follia della globalizzazione. La priorità è cambiare il proprio regime in senso autoritario e concentrarsi sul proprio continente. Tutto il resto, competizione con la Cina per l’Indo-Pacifico compresa, viene dopo.
L’Unione Europea non conta. Benvenute invece le nazioni europee disposte a difendersi anzitutto con i propri mezzi, quindi utili a risparmiare forze e denari americani. E a ristabilizzare i rapporti con la Russia, che l’America considera reintegrabile nel sistema continentale. Anche per evitare che a integrarla sia la Cina”.
E l’Italia? E la tanto decantata e insistita suggestione meloniana di rendere l’Italia un ponte tra Usa e Ue? Caracciolo è sferzante: “L’Italia non è citata. Fra gli europei si evoca la Germania, in senso critico, si allude alla Francia che si illude di battere la Russia. Non manca una scappellata di prammatica a Inghilterra e Irlanda. Ma Washington non intende abbandonare l’Europa, che “rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti”. Per questo “vogliamo lavorare con paesi allineati che intendono restaurare la loro antica grandezza”. Difficile immaginare che Trump si rivolga a Roma. Probabile che intenda Parigi, Londra e Berlino. Decisivo che li degradi da alleati ad allineati potenziali.
Eccoci al punto per noi dolentissimo. La Nato non è né sarà più la Nato. Non che gli americani vogliano sgombrare le basi nel Vecchio Continente, a partire da quelle sul suolo tedesco e italiano. Evidente però l’intenzione di ridurre le forze per riconcentrarle nell’Indo-Pacifico. E in casa, per combattere il “nemico di dentro” – gli americani anti-americani secondo Trump. Logico se si considera che la Russia non sia più il Nemico, ma una potenza da trattare con “impegno diplomatico” per “mitigare il rischio di un conflitto con gli Stati europei”. E se non si intende spendere un dollaro in più per la ricostruzione dell’Ucraina, del cui destino Trump si lava le mani dando a Biden la colpa di averlo compromesso. Fondamentale l’impegno a “prevenire l’espansione della Nato quale alleanza in espansione perpetua”, così dichiarando insensata la ragione per cui l’Ucraina si difende dall’invasione russa. Altro che Ue l’Europa deve operare “come un gruppo di nazioni sovrane allineate”. Rovesciamento del: “Siamo alleati ma non allineati”, motto francese”.
Conclusioni a cui perviene il direttore di “Limes”: “Questa rivoluzione geopolitica ci coglie impreparati. E imbarazza il governo (di Roma, ndr), che tenta di argomentare l’allineamento fra questa America e questi europei. Già sufficientemente divisi, l’approccio di Trump contribuisce a metterci gli uni contro o senza gli altri. Nel momento in cui il capocordata allenta la corda, inverte il percorso e lascia pendere la minaccia di tagliarla, far finta di nulla e aggrapparci al nostro Olimpo immaginario fatto di diritto internazionale, Nazioni Unite, Unione europea e Alleanza Atlantica, significa slittare nell’irrilevanza. Lusso che non ci possiamo permettere mentre la Russia sta finendo di finire l’Ucraina, la Cina installa le sue stazioni di polizia sul territorio nazionale, la Turchia si piazza dirimpetto allo Stivale e i nostri riferimenti europei – Germania e Francia – sono molto più interessati a competere fra loro che a considerarci. Insomma: vogliamo allinearci all’America? E se non lo vogliamo, quale alternativa? Il mondo non sta ad aspettarci. È irresponsabile giocare agli eterni adolescenti. Abbiamo, per necessità, l’opportunità di stabilire una nostra strategia di sicurezza nazionale basata sulla realtà. (…)”.
A proposito della legittimazione trumpiana della Russia putiniana un commento a caldo di Daniel Cohn-Bendit, anziano ex leader francese del ’68 e dei Verdi: “L’alleanza Trump-Putin è come il patto Ribbentrop-Molotov. È un patto trasversale (…). Vogliono distruggerci, serve un balzo nella difesa comune e nell’integrazione federale”. (Claudio Tito “Tra Trump e Putin è un nuovo patto Molotov-Ribbentrop, il continente deve reagire” in “Repubblica”, 8 dicembre 2025).
Il Patto Ribbentrop-Molotov, ministri degli Esteri di Germania nazista e URSS staliniana, è l’accordo infame di spartizione nel 1939 di Polonia, Paesi Baltici, Bessarabia. Secondo Cohn-Bendit, Trump e Putin lo replicano alle spalle dell’intera Europa con il ripristino di sfere d’influenza.
Postilla. “Mentre non si arresta l'eco delle polemiche suscitate dalla nuova Strategia Usa, con le pesanti critiche all'UE e conseguenti accesi botta e risposta, il presidente americano lancia un nuovo affondo all'Europa. In un'intervista a “Politico” ha definito "deboli" i leader dei Paesi europei, di cui ha denunciato la gestione dell'immigrazione e del conflitto ucraino. "Non sanno cosa fare”, ha detto. Il presidente Usa ha liquidato così gli sforzi europei per una soluzione al conflitto in Ucraina.
 di Pino Scorciapino

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